“Il nucleo fondatore era formato da un gruppo di persone, alcune delle quali avevano militato nei gruppi della sinistra extraparlamentare come Avanguardia Operaia, Lotta Continua; altri invece erano persone di sinistra ma che non provenivano da esperienze organizzate".
A introdurre la storia di Radio Siena 103 è uno dei fondadori, il giornalista Dino Castrovilli, che la creò nel 1976 insieme a Guido Bosco e a Guido Giorgetti. "Alcuni di loro – prosegue nel racconto Castrovilli – erano già usciti da questi gruppi e io, in particolare insieme ad altri amici (allora avremmo detto “compagni”) avevamo già fondato a Siena il Circolo Ottobre. Un gruppo che, a livello nazionale, veniva considerato un po’ il “dopolavoro di Lotta Continua”. A livello culturale organizzavamo molte iniziative, concerti e incontri. La particolarità del Circolo Ottobre che avevamo fondato a Siena era quello di essere slegato dai gruppi extraparlamentari (non era un Circolo Ottobre di Lotta Continua); era nato per fare un lavoro culturale. Eravamo in Via di Pantaneto e organizzavamo concerti, ascolti di dischi commentati, campagne di controinformazione sulla droga, sulla musica (facevamo anche un “giornalino”). Avevamo fatto un bel po’ di debiti per pagare le varie iniziative e tutte le altre cose ed era il periodo in cui si incominciava a sentir parlare delle “radio libere”, di Radio Alice e di tante altre che nascevano in quegli anni (parlo del 1975/76), cosicché ci venne voglia di provare a fare una radio". Sugli esordi di Radio Siena 103, Castrovilli ricorda: "Con l’ultimo concerto che organizzammo (quello di Francesco Guccini) riuscimmo a ripagare i debiti del Circolo Ottobre e con i soldi che avanzarono finanziammo parzialmente la nascita della radio, anche se le spese per farlo non furono poi tantissime. Eravamo consapevoli della difficoltà di fare un lavoro culturale a Siena, una città che ruotava parecchio sulle contrade (anzi, diciamo che i luoghi di ritrovo veri a Siena erano proprio le contrade). Già con il Circolo Ottobre avevamo avuto questo tipo di difficoltà, ma nonostante questo volevamo provare un’esperienza nuova: comunicare, mettersi in gioco (anche se in una città abbastanza chiusa) usando un mezzo nuovo. Volevamo una radio per condividere sia i gusti musicali sia i punti di vista sui tanti fatti che accadevano. Allo stesso tempo, però, c’era la volontà di mettersi a disposizione per cercare di tirare fuori, di esaltare quello che a Siena accadeva (se accadeva qualcosa); in pratica, fare un lavoro socioculturale. L’ultima molla scatenante per decidere di provare l’esperienza della radio fu la lettura del libro “Alice è il diavolo: storia di una radio sovversiva” (edito nel 1976 da L’Erbavoglio e scritto dai fondatori di Radio Alice, n.d.r.). Io l’ho letto e mi sono riconosciuto abbastanza totalmente in quella esperienza, anche se era più radicale rispetto alla nostra". Per spiegare la propria vicinanza a Radio Alice e l’ispirazione che da essa trasse, il giornalista cita un aneddoto: "Bisognava scegliere una canzone per fare la sigla della radio: feci una selezione di venti/trenta brani che potevano andare bene per la sigla, fra i quali fu scelta “have you seen the saucers” dei Jefferson Airplane (tratto da un bellissimo disco che è Thirty Second Over Winterland). Ma non a caso io avevo messo molti brani dei Jefferson Airplane nella selezione: avevo tratto ispirazione dalla sigla di Radio Alice che era, appunto, “White Rabbit” dei Jefferson Airplane. Si iniziò così, con la consapevolezza che non eravamo totalmente capaci di parlare ad un microfono o di commentare e spiegare un brano musicale o ancora di parlare agli ascoltatori per telefono". Castrovilli si spende anche sull’eterogeneità del gruppo di conduttori: "C’era chi aveva un po’ di esperienza e chi invece non ne aveva alcuna, ma c’era tanta voglia. Io, ad esempio avevo alle spalle un pass come giornalista, perché lavoravo col Nuovo Corriere Senese (che allora era un settimanale del PCI) e poi avevo iniziato a lavorare con Il Tirreno. Non c’era tanta professionalità, ma tanta voglia di utilizzare le possibilità di questo strumento nuovo, che per noi era potentissimo. Ma soprattutto era diventato accessibile economicamente". E anche sul punto Radio Siena 103 non si discostava dal cliché delle radio libere del tempo: "Avevamo due persone all’interno del gruppo – Guido Bosco e Guido Giorgetti – che studiavano elettronica ed erano abbastanza preparati per costruire apparecchiature di trasmissione. Così hanno realizzato l’attrezzatura di base – l’hardware – per trasmettere. Poi ci siamo cercati una frequenza libera, individuata nei 102,5 Mhz e siamo andati in giro, a vedere in tutti i punti della città qual era la potenza del segnale che emanavamo. In quegli anni chi arrivava prima si prendeva la frequenza.Il canale scelto era ancora completamente libero e copriva abbastanza bene tutta la città. La sede era in via di Castelvecchio, in un vecchio scantinato di un nostro compagno, Daniele Bielli, posto sulla collinetta di Castelvecchio. L’abbiamo ripulito tutto (era piano di fango) e poi lo abbiamo insonorizzato; il risultato finale era di un ambiente diviso in due parti: una, più grande, per riunirsi; l’altra, più piccola, con la vetrata, ospitava lo studio. I giradischi li avevano portati gli amici; i dischi, tantissimi, erano contributi di conoscenti che ce li avevano prestati. I microfoni li abbiamo in parte comprati e in parte ce li siamo fatti dare in cambio di pubblicità. Avevamo anche un registratore a bobine Revox che ci serviva di notte per mandare musica; un mixer e un paio di registratori a cassette. Partimmo così, con questa attrezzatura di base; ricordo anche che i primi tempi avevamo fatto dei nastri di prova (anche per testare il segnale). Il costo d’avviamento, insomma, non fu altissimo: la sede era gratis (non pagavamo l’affitto) il trasmettitore e i dischi non ci erano costati niente. Poi è chiaro, ci sono state spese di manutenzione e abbiamo iniziato anche a fare dei debiti". Il fondatore di Radio Siena 103 spiega poi la linea editoriale dell’emittente: "Di sicuro eravamo più una radio “di movimento”, militante, non certamente una radio commerciale o di intrattenimento (anche se avevamo anche noi degli spazi in tal senso). Non facevamo riferimento a nessun gruppo in particolare, né volevamo farlo: il nostro obiettivo era “risvegliare le coscienze”, far sì che la gente fosse più informata, riflettesse di più ascoltando le cose, ragionasse sui fatti che accadevano, e su quelli che non venivano raccontati dai canali tradizionali. Facevamo controinformazione e riempivamo un vuoto: allora c’era solo il Monte dei Paschi, l’ospedale e l’università. Era una radio “di movimento” che dava ampio spazio all’informazione, con piccoli notiziari, rassegne stampa (con commenti più o meno feroci) e telefonate a “inviati”. Più che limitarci a parlare dei fatti che accadevano, speravamo di sollecitare un certo tipo di riflessione in chi ci ascoltava. All’interno della radio circolavano i contenuti del Movimento di quegli anni ma, a differenza di Lotta Continua, per esempio, non abbiamo mai avuto una denuncia (per istigazione o linguaggio osceno, per esempio). Il mezzo funzionava anche se parlava un linguaggio spesso “duro”: non ci vergognavamo a dire “i fascisti non devono parlare”. Mi ricordo che quando arrivò la Polizia Postale – che ci voleva far chiudere per aver “occupato” la frequenza in assenza di autorizzazione – ci “graziò” affermando che eravamo una delle radio migliori per quanto riguarda il tipo di contenuti e per l’intelligenza del linguaggio usato. Sì, nella misura in cui potevamo farlo, avvalendoci di fonti che potevano darci un punto di vista diverso, alternativo, sui fatti che accadevano, facevamo proprio questo. Oppure andavamo ad intervistare, cercavamo di far sapere delle cose che un po’ sconvolgevano l’adagiarsi sui luoghi comuni; cose che altrimenti non sarebbero passate sui grandi mezzi di comunicazione di massa. A Siena, ad esempio, imperava La Nazione e noi cercavamo sempre di dare una versione diversa delle cose, contro il conformismo di certe testate. C’era l’intento controinformativo; adesso ci sarebbe da riflettere su quanto siamo riusciti almeno ad innescare curiosità in chi ci ascoltava, per non fidarsi subito del punto di vista di chi ti raccontava i fatti per la prima volta. Sulla droga abbiamo fatto controinformazione: erano anni in cui a Siena cominciava a girare roba pesante e dicevamo che la questura sapesse chi spacciava roba pesante, ma nonostante ciò non faceva nulla. Così denunciavamo come questa “cecità” fosse un po’ funzionale (mi ricordo che avevamo fatto un adesivo in cui un alieno segava una siringa con una foglia di marijuana). Poi abbiamo promosso una campagna contro lo “stato di polizia” che si stava creando con le leggi antiterrorismo. Tutto ciò nasceva da un senso comune dell’essere di sinistra, antagonisti, da un non volersi arrendere alla “bambagia” di Siena, all’ovattamento. Lo abbiamo fatto con uno strumento (la radio) che, francamente, era molto più divertente che l’andare a distribuire volantini alle sei davanti alle fabbriche (ho fatto anche quello). Un segnale di questo orientamento è stato il tentativo di alcuni gruppi organizzati (e di uno in particolare) di “monopolizzare la radio”. All’interno della crisi di Lotta Continua si iniziava a capire che la tradizionale militanza in un gruppo e i consueti strumenti di propaganda non funzionavano più; ci si rendeva conto che con la musica, con altri mezzi, si arrivava di più e meglio, riuscendo a toccare il cuore alle persone. C’erano alcune radio che erano l’emanazione diretta di partiti o gruppi extraparlamentari di quegli anni; noi ci siamo sempre rifiutati di fare da “megafono”. C’è stata una fase in cui facevamo parlare chiunque ci chiamasse, anche solo per richiedere un brano, fare una dedica. Ma non sempre mandavamo in onda le telefonate, anche se tecnicamente potevamo farlo. Poi c’erano trasmissioni fatte a posta per mandare gli ascoltatori in diretta. Il fatto che non ci fosse un “filtro preventivo” delle telefonate ci ha creato qualche piccolo problema, perché non si potevano selezionare le telefonate di chi chiamava per dire oscenità o stupidaggini d’altro genere. Il telefono, comunque, amplificava la bellezza del contatto umano; c’era chi chiamava per farti i complimenti; chi per dirti che gli tenevi compagnia e c’era addirittura chi ti portava dei pasticcini o da bere. “Dare voce a chi non ha voce”, dicevamo. Lo abbiamo fatto in due modi: andando personalmente in giro a registrare occupazioni, assemblee, cortei (poi montavamo le registrazioni per mandarle in onda), oppure ospitando in studio espressioni di talune realtà (operai, sindacalisti), che potevamo considerare “esperti” per un certo tipo di dibattito. Ma questo non fu un aspetto particolarmente funzionante: secondo me il problema fondamentale era che Siena non era una realtà, a livello giovanile, studentesco, come Bologna. L’apertura totale a chiunque avesse qualcosa da dire era un po’ pericolosa: sia per il fatto che rischiavano di andare in onda contenuti che potevano compromettere l’immagine e la “linea” della radio, sia perché spesso capitava che chi veniva a parlare in radio non avesse cura dell’attrezzatura dello studio". Sul fronte della gestione economica Castrovilli traccia un’altra linea comune alla maggior parte delle radio libere del secondo quinquennio degli anni ’70: "All’inizio eravamo partiti con una specie di “orgoglio di Sinistra” e quindi “niente pubblicità per non legarci a nessuno”. Poi, è chiaro, non avendo altra entrata se non le sottoscrizioni o l’organizzazione di concerti, abbiamo iniziato a fare un po’ di pubblicità. Ad esempio il negozio di dischi ci regalava dischi in cambio di pubblicità, ma c’era anche chi ci pagava: era pubblicità fatta da noi, con i nostri mezzi, non c’erano né attori né speaker professionisti; cercavamo di prendere le voci più “intonate” fra quelle del gruppo della radio per registrare gli spot. Gli introiti pubblicitari non riuscivano comunque a ripagare le spese della radio: per l’acquisto dei dischi, per le bollette e per l’acquisto di nuova attrezzatura, nonostante il fatto che l’affitto non ci fosse e che il lavoro svolto all’interno della radio fosse naturalmente tutto volontario. Gli introiti pubblicitari aumentarono quando, con grande scandalo di alcuni (me compreso), ci siamo aperti al Palio, con commenti e dirette: lì c’è stato un boom pazzesco di introiti pubblicitari. Ed è stata anche una svolta importante per la radio, che passava da una fase “puritana” – in cui il target era un pubblico di sinistra – ad una più “aperta”. Avevamo la presunzione di passare musica “di qualità”, sia rock che blues e jazz e cercavamo di evitare le cosiddette “canzonette”. Naturalmente all’interno del panorama musicale italiano davamo più spazio a quei cantautori più “impegnati”, a quelli che avevano qualcosa da dire insomma. A proposito di musica: direi che è stata un’esperienza di crescita, perché ognuno portava i propri dischi facendoli conoscere agli altri. Una curiosità: noi ci eravamo dati la regola di non parlare sopra le canzoni, anzi, mettevamo un piccolo momento di silenzio prima e dopo il brano, in modo che da casa gli ascoltatori lo potessero registrare per intero; era una forma di “democrazia musicale”. Alcuni di noi capivano quello che stava succedendo a Bologna, che era la città simbolo del Partito Comunista e in particolare come il movimento del ‘77 stesse mettendo in crisi questo suo “modo soft” di avere un equilibrio tra interessi sociali diversi. Siena era quasi come Bologna, amministrata da forze di sinistra (solo che Bologna “pulsava di più”). Per alcuni il ‘77 è stato la sana rottura di un equilibrio finto. Per me è stata la naturale esplosione di un movimento di crescita." Il giornalista ricorda poi un fatto emblematico che legò Radio Siena al Movimento del ‘77 e a Radio Alice in particolare: "Quando Radio Alice fu chiusa, con il sequestro delle attrezzature, una notte vennero a Siena tre ragazzi di quella emittente e fornimmo loro un trasmettitore per riprendere le trasmissioni clandestinamente. Non tutti quelli di Radio Siena approvarono; ma in quel caso mi avvalsi della mia posizione di leadership. Avevamo un’ideologia, dei riferimenti politici abbastanza tradizionali (marxismo e leninismo). Oggi non credo che il libro di Naomi Klein (“No Logo” n.d.r) e altri siano dei riferimenti così forti. E questo è un bene e un male: un bene perché non hai un dogmatismo; un male perché credo che i punti di riferimento dei nuovi movimenti sono ancora troppo “fluidi”. Ritengo poi che ci sia un problema di continuità: mentre negli anni 70 c’erano delle aggregazioni, dei luoghi anche fisici oltre che virtuali, permeati dal concetto della “militanza”, dell’impegno quotidiano, oggi c’è un impegno più blando e discontinuo. Ci sono ora fenomeni che non hanno continuità o sbocchi; credo che questo, per il potere, sia una soddisfazione incredibile". Castrovilli, infine, traccia il tramonto dell’iniziativa: "Nel marzo del ‘77 ci fu un’assemblea importante e ripresero le trasmissioni che erano state interrotte per problemi economici; ma io partii per il militare e il nucleo centrale si sfaldò. Nessuno aveva la passione o la capacità per portare avanti quest’esperienza. Ad un certo punto, per risanare i debiti, Radio Siena fu venduta al PCI. Se penso a quanto può valere adesso quella frequenza rabbrividisco: potevamo diventare miliardari! Anche perché le varie leggi che si sono succedute lasciarono le cose così come stavano “fotografando l’esistente” e quindi anche noi avremmo potuto tenerci la frequenza che ci eravamo scelti. Adesso Radio Siena è diventata il “braccio commerciale” di Antenna Radio Esse”. E, come è giusto che sia, è tutta un’altra cosa. (R.R. per NL)