Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio locali

Se si vuole, l’attività pubblicitaria può essere interpretata come un tentativo di riduzione della complessità. Così il sociologo Luhmann: "(…) la complessità del mondo, la spaventosa molteplicità di possibilità, deve essere riportata entro una dimensione che possa essere vissuta come espressione di un determinato senso".

Lo studioso sostiene che "(…) non è sufficiente cogliere mentalmente la complessità del mondo; occorre anche metterla alla portata dell’esperienza vissuta e dell’azione, e di conseguenza ridurla". La pubblicità comunica all’utente di aver fatto proprio questo. Essa ha badato a scegliere un determinato prodotto tra gli altri, l’ha provato per lui, ne ha misurati i vantaggi e ora ne consiglia l’impiego; vuole quindi dimostrarsi quale strumento di semplificazione del duro lavoro di selezione tra i prodotti umani disponibili. Il rinnovamento della comunicazione pubblicitaria radiotelevisiva nazionale, coincise con l’entrata in gioco della promozione locale da parte delle stazioni indipendenti. Le prime emittenti private italiane (1975-1977) si fondavano su principi di pluralismo informativo, ma si finanziavano con la pubblicità. La concessionaria degli spazi pubblicitari Rai (Sipra) aveva, da sempre, concentrato i suoi interessi sulla grande utenza nazionale, trascurando completamente quella locale, in altre parole gli inserzionisti che operando su un bacino provinciale o regionale non potevano investire budget economici per una promozione (del resto dispersiva) a carattere nazionale. Proprio a questo enorme potenziale di clienti, si rivolsero le emittenti indipendenti per garantirsi la sopravvivenza. La proposta pubblicitaria delle radiotelevisioni private apparve, agli esercizi commerciali locali, interessante per diversi aspetti, sinteticamente qui elencati: 1) utilizzo di un medium nuovo; 2) costo d’inserzione relativamente contenuto; 3) immediatezza d’impiego; 4) costo contatto teoricamente inferiore rispetto ad altri mezzi; 5) assenza di limiti di ordine merceologico; 6) maggiore varietà dell’azione pubblicitaria e possibilità di personalizzazione. Radio%20Power%20anni%2080 - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiOsservando nel dettaglio i punti sopra indicati, notiamo, innanzitutto, che trasmettere la propria immagine su un medium innovativo, quale la radio o la tv privata, presentava un grande vantaggio contingente: l’attenzione del pubblico era fortemente concentrata su di esse; pubblicizzarvi i propri prodotti poteva dare la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio la curiosità dell’utenza. In secondo luogo, pur non essendo facilmente verificabile il "ritorno" di una campagna pubblicitaria sul medium radio-tv indipendente, la possibilità di configurare la pianificazione in base alle proprie esigenze poteva contenere l’esborso economico entro limiti definiti. La promozione radiotelevisiva locale era, infatti, articolata su un numero di passaggi commerciali giornalieri (che vennero chiamati, con un anglicismo, "spot") generalmente variabile tra 1 e 20. La grande scelta offriva condizioni d’accesso in sostanza a chiunque. Il terzo punto evidenzia che la pubblicità radiotelevisiva locale, non essendo soggetta a preventive autorizzazioni comunali – come invece avveniva per affissioni, cartellonistica, volantini, ecc. -, garantiva l’immediatezza della sua realizzazione, accorciando i tempi da uno o due mesi (il lasso di tempo necessario per inoltrare richieste agli organi competenti, attendere il rilascio delle stesse e provvedere all’esecuzione della campagna) ad un paio di giorni, con l’ulteriore vantaggio di poter, in qualsiasi momento, variare il contenuto del messaggio. Il costo/contatto, in altre parole il prezzo pagato dall’inserzionista per ogni ascoltatore, pur essendo difficilmente quantificabile, appariva particolarmente basso, contribuendo così a spostare buona parte del budget pubblicitario dell’utente, da forme promozionali classiche, quali i citati volantinaggio, affissioni, mailing, presenza sulle pagine locali dei quotidiani nazionali o sulle pubblicazioni della zona, verso le radio e tv locali. La quinta affermazione si lega al fatto che l’era di "Carosello", in altre parole della pubblicità radiotelevisiva statale, aveva evidenziato il sostanziale distacco dall’attività del medium dal circuito economico, con una risorsa pubblicitaria molto minoritaria e controllata ("Carosello" era uno spettacolo, più che un volano produttivo), gestita con precisi limiti di ordine merceologico e di programmazione. Vi erano numerosi e severi vincoli di accesso all’azione promozionale radiotelevisiva in clima di monopolio: al di là di considerazioni economiche, non a tutti i potenziali inserzionisti poteva essere garantito l’utilizzo del mezzo, essendo vietata la pubblicità di un gran numero di categorie merceologiche. La vacatio legis, permise all’emittenza libera di proporsi anche a questi utenti sino allora discriminati, e, allo stesso tempo, contribuì a ridurre i filtri d’ingresso alla pubblicità radiotelevisiva statale che, pur mantenendo una rigida impostazione, iniziò a modificare il proprio atteggiamento in proposito, adeguandosi alle regole comunicative ed agli standard commerciali introdotti dai concorrenti privati. E’ proprio in seguito all’attivismo innovatore commerciale delle stazioni locali che la Rai ristrutturò il proprio palinsesto pubblicitario in funzione di un numero maggiore di caroselli con un affollamento unitario inferiore. Contestualmente, diminuì anche la durata del singolo spot e venne, gradualmente, introdotta la pubblicità all’interno dei programmi. Infine, terminando l’analisi dello schema riportato, possiamo riconoscere alle radio e tv private il merito di aver introdotto nuove formule promozionali, quali i giochi a premi, la commercializzazione di programmi informativi (come i notiziari, l’ora esatta, i bollettini meteo o stradali), ma soprattutto le sponsorizzazioni e i redazionali. L’idea di inserire la presenza del marchio di un utente pubblicitario lungo tutta la durata di una trasmissione, permeandone i contenuti, in Italia, risale a poco più di 30 anni fa, e coincide, appunto, con la nascita dell’emittenza locale. Il criterio è semplice e originale: lo sponsor diviene parte integrante del programma, mettendo a disposizione strumenti e premi, assistendo in ogni momento allo spettacolo. regia%20automatica%20anni%2080 - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiLa pressione psicologica sull’utente è quindi molto forte e, soprattutto, consente di integrare alla trasmissione di spot, un’ulteriore comunicazione commerciale. Evoluzione naturale e autonoma della sponsorizzazione, sono i cosiddetti "redazionali", spazi informativo pubblicitario su uno specifico prodotto testimoniati, possibilmente, da un personaggio leader dell’emittente o comunque carismatico. Grande vantaggio di queste formule consiste nell’invertire il ruolo dell’inserimento pubblicitario: con lo spot, il criterio avvantaggia la posizione del messaggio pubblicitario in un programma o in una fascia oraria che si ritengono particolarmente seguiti dal target group ideale per l’utente pubblicitario. Con la sponsorizzazione, il programma, spesso, è creato in funzione dell’investitore, assumendo nella situazione, nei contenuti e nell’immagine le caratteristiche del prodotto promosso. La decisione di investire pubblicitariamente sulle stazioni locali, comunque, non derivava sempre dalla necessità di avere campagne promozionali per un incremento reale delle proprie vendite; spesso a determinare questa scelta era il desiderio di protagonismo nei confronti di un mezzo che stava muovendo i propri passi su un terreno sino allora riservato allo Stato. Il prezzo pagato per la pubblicità sulla radio indipendente era, perlopiù, per i piccoli imprenditori, paragonabile ad un gettone di presenza, che consentiva loro di disporre del passaggio sulla giostra di quel divertente mezzo che faceva il verso alla Rai. Nei primi anni della radiofonia privata italiana, la pubblicità su di essa fu contraddistinta da una buffa creatività che, complice l’assenza di professionalità e di mezzi, generava divertenti quanto banali slogan. Oggi la pubblicità radiofonica è strutturata su spot della durata di circa 20-30 secondi, realizzati con canoni di elevata professionalità. Allo stesso tempo, l’emissione dei gruppi di spot è garantita nelle fasce orarie prescelte (e individuate in funzione del target) e, nelle strutture più evolute, sottoposta a certificazione di messa in onda da parte di istituti terzi. Nel 1975 i pochissimi studi di produzione per comunicati audiovisivi presenti in Italia, erano organizzati per la realizzazione di campagne nazionali sull’emittente di Stato. Non era quindi pensabile che le stazioni locali si rivolgessero a essi per far produrre i propri comunicati, dal momento che il costo della realizzazione avrebbe, di gran lunga, superato l’entità dell’intera pianificazione pubblicitaria. Figurarsi poi parlare di certificazione di avvenuta messa in onda. Ma gli ostacoli di ordine economico e pratico non erano i soli ad impedire che l’emittenza locale usufruisse di questi servizi qualificati: alla base c’era la diffusa tendenza a voler produrre in proprio tutto quello che si sarebbe poi trasmesso. Conseguenza naturale fu che, a causa dell’assoluto digiuno delle più tradizionali regole di comunicazione pubblicitaria dei nuovi operatori radiofonici, furono realizzati spot della durata di qualche minuto, interpretati da speaker improvvisati (che facevano inorridire i professionisti del microfono), basati su testi quanto mai confusionari, ridondanti e, a volte, addirittura grammaticalmente scorretti. radio%20milano%20international%20regia%20automatica - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiCapitava, poi, che il cliente volesse realizzare in prima persona il proprio comunicato, sia sotto l’aspetto del testo che della registrazione fisica (cioè con la propria voce), per il citato generale protagonismo che caratterizzava l’alba della radiofonia indipendente, con risultati spesso al limite del ridicolo. Nonostante ciò il mercato pubblicitario locale decollò immediatamente: il settimanale Epoca, nell’agosto del 1976, tributava un grande successo alla pubblicità delle radio locali, in costante crescita e affermazione tra i mezzi di comunicazione, sottraendo fasce di utenza ai giornali regionali e locali, ma offrendo e creando un servizio nuovo, per un’utenza che difficilmente avrebbe avuto altrimenti accesso al medium. Le prime radio locali, come si è spiegato prima, si basavano, spesso, su personale volontario che non poteva garantire la copertura di tutte le fasce orarie della programmazione. Poiché i sistemi automatici di emissione non erano ancora abbordabili (né erano facilmente reperibili), la conseguenza inevitabile era una decisa approssimazione degli orari di trasmissione degli spot, che finivano, spesso per essere mandati in onda in funzione della presenza di personale negli studi, più che in virtù della fascia prescelta dal cliente. (M.L. per NL)
 
Estratto rielaborato da: M. Lualdi, "Le radio locali: una esperienza comunicativa per il pubblico giovanile (1975-77)" – 1996 – Planet s.r.l. – Milano
 
Le immagini pubblicate sono tratte da: www.luk.it, www.storiaradiotv.it e www.vialocatelli.it/
 
Appendice di approfondimento all’articolo
 
La sociologa Aurelia Marcarino fa coincidere il mutamento della pubblicità in Italia, con la fine dell’epoca di "Carosello", avvenuta il primo gennaio 1977. Effettivamente, il tramonto del contenitore di spot, inaugurato nel 1957, ed emblema della pubblicità in casa Rai, è un preciso indicatore di cambiamento in ambito radiotelevisivo ma anche sociale. Di seguito si analizzerà il mutamento in ambito pubblicitario, seguito alla chiusura dell’epoca contraddistinta, appunto, dal programma citato. Potrebbe sembrare incoerente, in una ricerca sul mezzo radiofonico, parlare di un’iniziativa televisiva; si consideri però, che i concetti espressi per quanto riguarda "Carosello", possano essere tranquillamente traslati al comparto della pubblicità radiofonica statale, almeno sino alla prima metà degli anni Settanta. In primo luogo, come abbiamo visto, dal 1976 l’ente radiotelevisivo di Stato non fu più solo nell’etere; a fargli compagnia c’era un numero sempre crescente di realtà editoriali alternative: le emittenti locali. La decisione della Radiotelevisione Italiana di sospendere l’emissione dei propri comunicati commerciali in un unico gruppo, frazionandoli in singoli pacchetti di durata molto inferiore, distribuiti in più fasce orarie, si basava indubbiamente sulla presa di coscienza di una concorrenza che, seppur minimale, rimaneva comunque, un possibile disturbo alla fruizione dei propri programmi, ma anche del fatto che la comunicazione pubblicitaria stava modificando il proprio ruolo, passando da mera indicazione di supporto ai consumatori, a strumento di incentivazione delle vendite per le aziende che investivano in essa. Radio%20Milano%20International%201987 - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiLe vecchie formule promozionali erano obsolete e occorrevano nuove strategie di maggiore e più immediato effetto. Precisa Aurelia Marcarino ("Sociologia dell’azione comunicativa", 1988, Guida Editori, Napoli): "la ricezione di un testo pubblicitario, anche se non consente alcuna possibilità di conversazione fra enunciante e ricevente, implica però che lo spettatore "versi" sé stesso nel progetto comunicativo ed in questo senso comunichi con esso. L’analisi pragmatica testuale consente di individuare attraverso criteri di coerenza le relazioni tra le varie parti del testo ed il contesto a cui si riferisce". Uno dei principali effetti di un mercato deregolato, cioè invaso da una pluralità di soggetti in aspra concorrenza tra loro in assenza di una specifica disciplina di settore, è quello della spettacolarizzazione del messaggio pubblicitario, caratterizzato dal ricorso a elementi suggestivi, anziché informazionali, con conseguente maggiore distacco dalla sua originaria funzione rispetto al consumatore. Lo spot visto come semplice comunicazione circa l’esistenza di un prodotto o di un servizio non era più sufficiente: occorreva che il messaggio imprimesse al ricevente il desiderio di usufruirne, di desiderarne i benefici o gli effetti. Un comunicato, quindi, conciso, altamente differenziato e di forte impatto sull’utente. Se, per dirla con Luhmann, "lo strumento di comunicazione dell’economia è il denaro", lo strumento di comunicazione dell’immagine – intesa come emblema del prodotto – è la pubblicità. Divenne chiaro che ogni "commercial" era un mondo a sé stante, non poteva e non doveva essere parte di un altro. Per questo le catene eccessivamente estese di spot (come "Carosello") diventavano controproducenti, nella misura in cui diminuivano l’efficacia del singolo comunicato a causa dell’elevato contenuto informativo trasmesso dall’intero gruppo, che tendeva a stancare l’utente e a stimolarne meno i desideri, portandolo a una situazione di confusione globale. La fine di "Carosello" segnò anche un deciso mutamento del linguaggio dei break commerciali; la durata contenuta degli spot obbligava il medium a confrontarsi con l’esigenza di costruire enunciati più brevi, che finivano per essere sempre più simbolici. I pubblicitari italiani dovettero, quindi, riconsiderare tutta la struttura del messaggio pubblicitario radiotelevisivo. Lo fecero tenendo presente alcune regole che, nel frattempo, nel resto d’Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, si erano dimostrate essenziali nell’ambito della comunicazione pubblicitaria. Esse possono essere sintetizzate secondo quanto esposto dallo studioso dei media Lazzeri ("Aspetti qualitativi e quantitativi della pubblicità: conseguenze sui consumatori e loro autotutela", 1985, in Barile-Caretti – "La pubblicità ed il sistema dell’informazione", Eri, Torino): 1) la pubblicità è una tappa di una tecnica più ampia: il marketing; 2) la verità non ne è una componente essenziale; 3) la pubblicità costa relativamente cara, ma permette di finanziare molti mass-media su cui esercita un’influenza non trascurabile; 4) essa non è sempre efficace in termini di sviluppo delle vendite, ma consolida comunque un’immagine sul mercato; 5) tende a portare la concorrenza su sé stessa, piuttosto che sui prezzi e la qualità del prodotto; 6) orienta verso il grande consumo ed amplifica l’importanza di certi bisogni a danno di altri; 7) accentua, oltre misura, la tendenza naturale dell’individuo al conformismo, ed offre differenti modelli a questo. La riflessione sugli aspetti concernenti il marketing aziendale, che vede nella pubblicità uno degli elementi marginali nel processo d’identificazione e formazione del consumo del prodotto, si ritiene non necessiti di particolare attenzione in questo contesto, essendo più che altro una considerazione di carattere tecnico. Si valuta invece interessante l’analisi della figura esplicitamente parziale del messaggio pubblicitario, peraltro largamente condivisa dal pubblico. Come abbiamo evidenziato in precedenza, il compito della pubblicità, dalla seconda metà degli anni Settanta, si è spostato da "indicazione per il consumo" a "supporto per le vendite". A prima vista questa distinzione potrebbe apparire come non particolarmente significativa, ma un esame più attento ne mostra caratteristiche diametralmente opposte. L’indicazione al consumatore è "informazione" quasi pura, nella misura in cui comunica a un potenziale acquirente l’esistenza di un prodotto (e le sue peculiarità positive) che potrebbe essergli utile.radio%20locale%20anni%2080 - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio locali L’azione promozionale di supporto alle vendite, invece, differisce dalla citata "informazione", quando cerca di convincere il potenziale cliente che egli "ha bisogno" di quel prodotto per svariati motivi. Diviene, cioè, essa stessa "venditrice" del prodotto pubblicizzato, non limitandosi a elencarne semplicemente le caratteristiche. Con questo non s’intende certo sostenere che la pubblicità anteriore al 1975 fosse assolutamente veritiera nei contenuti, ma solo evidenziare come essa risultasse sostanzialmente descrittiva e quindi lasciasse l’utente in uno stato di minore pressione psicologica. Il terzo punto dello schema di Lazzeri ci porta ad analizzare un aspetto significativo del rapporto medium/inserzionista. L’utente pubblicitario, cioè chi investe in pubblicità, necessita del medium per promuovere i propri prodotti. Il mezzo si mette a disposizione per trasmettere i messaggi del cliente e lo fa ad un prezzo, tutto sommato mediamente rilevante, se si considera che il beneficio che dovrebbe derivarne non è materialmente prequantificabile né garantibile con certezza. Il medium però può continuare a svolgere la propria attività solo in funzione di un determinato apporto economico derivante dagli inserzionisti che decidono di utilizzarlo per le proprie pianificazioni pubblicitarie. Maggiore sarà la quota d’investimento costante di un singolo inserzionista su di un determinato mezzo, maggiore sarà il suo potenziale di controllo sul mezzo stesso. Il fenomeno assume particolare importanza nella misura in cui l’apporto economico di un inserzionista rispetto a quello degli altri, diventa così marcato da permettergli di influire sul contenuto delle trasmissioni, e, addirittura, sull’ideazione stessa del programma, conferendogli un sostanziale controllo sulla gestione del medium. Non è un caso che diverse grandi aziende investitrici in pubblicità sui media radiotelevisivi ne abbiano, in diverse occasioni, assunto il controllo o la proprietà. Sull’argomento, lo studioso del comportamento sociale McQuail, cita la seconda legge del giornalismo di Altschull, che informa che il contenuto dei "new media" riflette sempre gli interessi di chi li finanzia – in assoluta coerenza con la teoria della libertà di stampa nella versione di "mercato". Analizzando la quarta condizione dello schema adottato, riscontriamo che, come abbiamo appena accennato, il beneficio – in termini tecnici, "ritorno" – derivante dalla pubblicità non è facilmente né immediatamente verificabile. Radio%20Milano%20Sound - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiLo sviluppo delle vendite, per contro, potrebbe non essere l’obiettivo principale di una campagna pubblicitaria che vede, invece, quale meta primaria il mantenimento di una determinata immagine del prodotto. E’, ad esempio, il caso di prodotti o servizi la cui produzione non può superare una specifica quantità che, però, per essere venduta a determinati prezzi, richiede una costante azione di supporto a livello d’immagine. L’utilizzo dell’immagine per fini commerciali è un meccanismo tipico della società delle apparenze: la sociologia goffmaniana del make-believe insegna che la strategia morale della nuova borghesia è strettamente collegata alle manifestazioni di status e ai giochi d’immagine. Far leva sull’apparenza equivale, in questo senso, a dare l’opportunità a tutti di usufruire dei supposti vantaggi connessi all’acquisto del prodotto pubblicizzato. La quinta indicazione di Lazzeri segnala il ruolo disorientante dell’azione pubblicitaria nel confronto tra un prodotto ed il suo diretto concorrente. L’evoluzione della comunicazione pubblicitaria ha conseguito l’obiettivo di fuorviare l’attenzione del consumatore dal prezzo e dalla qualità di un prodotto a favore del messaggio promuovente il prodotto stesso. Per meglio comprendere il concetto, si pensi a spot pubblicitari così accattivanti e coinvolgenti da porre l’aspetto economico, o la qualità del prodotto reclamizzato, sicuramente in secondo piano, rispetto al desiderio di possederlo; quasi che (il possesso) sia un naturale riconoscimento all’efficacia dell’operazione promozionale. Parafrasando la celebre affermazione mcluhaniana, che "il mezzo è il messaggio", potremmo trasferire il concetto, in quest’ambiente, enunciando che "lo spot è il prodotto". In una situazione di questo tipo, la controffensiva della concorrenza dovrà necessariamente essere giocata sullo stesso campo, poiché un abbattimento dei prezzi o un’elevazione della qualità non sortirebbero i medesimi risultati d’immagine, essendo il "plus" dell’antagonista legato ad aspetti esulanti da vantaggi di ordine immediatamente materiale. Oltretutto è considerato basilare, in ambito pubblicitario, il teorema, individuato dal sociologo Beniger, secondo il quale "se la pubblicità può servire ad indurre fedeltà ad un marchio e quindi a rendere meno elastica la domanda dei prodotti di marca, ne consegue che i produttori di quei beni sono autorizzati ad imporre prezzi superiori in rapporto ai costi". Benché gli economisti non siano sempre concordi nell’attribuire tale effetto alla pubblicità, non vi è dubbio che in molte occasioni gli esperti di marketing cercarono in tutti i modi di convincere gli uomini d’affari a servirsi della pubblicità per controllare la concorrenza in termini di prezzo. Crediamo sia condivisa da tutti la constatazione che maggiore è la notorietà acquisita da un marchio, maggiore sarà la rinuncia dei suoi produttori a porre in evidenza i prezzi nelle iniziative pubblicitarie. Sempre McLuhan testimonia questo aspetto importante della pubblicità, sottolineando che "aumentando la partecipazione del pubblico diminuisce l’importanza del prodotto in sé". A testimonianza dell’immenso valore dell’immagine veicolata dalla pubblicità, è possibile, a parer nostro, attribuire ad essa anche un ruolo tipizzante, in riferimento a Schutz ed alla sua nota teoria. Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che il nome di alcuni prodotti di grande pubblicizzazione è divenuto lentamente identificativo della categoria. Si pensi a casi emblematici a livello mondiale come Coca Cola – indicante un preciso tipo di bevanda -, oppure Jeep – assurto a emblema dei fuoristrada -, o ancora alla nostrana Nutella, addirittura presente nei dizionari quale tipo di alimento. Anche il ruolo di orientamento e modificazione dei consumi è una caratteristica fondamentale della pubblicità. radio%20nbc%20studio%201982(1) - Storia della radiotelevisione italiana. L’evoluzione della pubblicità in coincidenza con l’avvento delle radio localiE’ sotto gli occhi di tutti la costante funzione, in tal senso, della comunicazione pubblicitaria. Basandosi sulle proposizioni della sociologia di Homans, secondo cui a ogni azione corrisponde un effetto positivo (ricompensa) o negativo (punizione) e che quanto più il risultato di tale azione appare degno di valore, tanto più è probabile che essa venga intrapresa, la comunicazione pubblicitaria sviluppa indicazioni in proposito, mostrando quali comportamenti sarebbe corretto che l’utente adottasse al fine di raggiungere un determinato vantaggio. Pure Freud viene, spesso, chiamato in causa, quando si ricorre al soddisfacimento di pulsioni ataviche per supportare la vendita di un prodotto. La pubblicità decide per l’utente quali sono le tendenze, le mode, le necessità e quando un bisogno o un desiderio non sia più tale. Essa, prima che il prodotto o il servizio, impone se stessa come insindacabile giudice delle esigenze del pubblico. Il settimo punto delle caratteristiche riassuntive della pubblicità, che abbiamo adottato come schema base, ci porta a riflettere su come essa vorrebbe i propri utenti, allo stesso tempo, tutti uguali e tutti distinti. Tutti dovrebbero comprare prodotti che non sarebbero, però, per tutti. Secondo questo diktat, l’individuo, comprando un certo prodotto, si differenzierebbe dagli altri proprio in virtù di quello specifico atto possessorio. Medesimamente viene, comunque, fatto notare che non ottemperando alle indicazioni proposte, il ricevente potrebbe rendersi estraneo alla società e alle sue abitudini e regole, esaltate dalla comunicazione, che facendosene portavoce in un’autoassunzione implicita, ne assurge al ruolo di rappresentante. La chiave di lettura del successo della pubblicità è sita, probabilmente, in quella che lo studioso della società Tarde definisce "legge dell’imitazione", in altre parole la tendenza da parte degli individui ad imitare, e quindi a ripetere, quanto è fatto dagli altri intorno a loro. L’astuzia di un’efficace campagna pubblicitaria sta, infatti, nel far apparire perfettamente normale – anzi, auspicabile – il perseguire le indicazioni da essa proposte e proclamate come riconosciute dalla società. Contemporaneamente essa, in un’apparente – ma voluta – contraddizione, prendendo atto della necessità d’individualismo dell’utente, indica il benefit differenziatore che sarebbe acquisito ottemperando al suo invito. Il messaggio pubblicitario, quindi, può essere considerato come un’altra azione verso un conformismo che è opportunamente mostrata in diversi aspetti e scelte, come se si andasse palesando una sorta di democratizzazione della scelta. In una visione più ampia, possiamo scorgere il concetto parsoniano di socializzazione, nella misura in cui il relativo processo è uno scambio tra il socializzando, che interiorizza valori e norme della sua società e tale società, che gli offre gli strumenti per orientarsi nella realtà e interagire con gli altri. Anche se in Parsons l’accento non è posto sull’utilitarismo individuale, ma piuttosto sui processi d’integrazione dell’individuo in un modello culturale, la pubblicità può indubbiamente assumere il ruolo d’indicatore subliminale (di parte) delle vie perseguibili per una "migliore" socializzazione. (M.L. per NL)
 
Estratto rielaborato da: M. Lualdi, "Le radio locali: una esperienza comunicativa per il pubblico giovanile (1975-77)" – 1996 – Planet s.r.l. – Milano

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