Nella nostra rassegna storica abbiamo spesso citato Tempo Tv, cioè quella che, giuridicamente parlando, avrebbe potuto essere la prima televisione privata italiana con interessi addirittura nazionali.
Tuttavia, non ne avevamo mai approfondito compiutamente tale esperienza, molto importante sul piano giuridico, in quanto avrebbe posto premesse significative per la demolizione (nel 1976) del monopolio tv RAI via etere. Lacuna che cercheremo di colmare oggi. Il 19/12/1956, a Roma, la società di diritto privato Il Tempo TV, amministrata da Renato Angiolillo e riconducibile al noto quotidiano romano Il Tempo, faceva istanza al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni chiedendo l’autorizzazione ad utilizzare canali per trasmissioni televisive al di fuori della concessione statale alla RAI, dichiarando l’impegno a uniformarsi alle norme vigenti sulla stampa e sui pubblici spettacoli.Il Tempo Tv dichiarava di voler realizzare tale programma provvedendo all’installazione di impianti trasmittenti, studi di ripresa e ponti radio mobili per le trasmissioni esterne. L’iniziativa editoriale del gruppo mirava a creare un servizio di radiodiffusione televisiva alimentato dai proventi della pubblicità inserita in un flusso di programmi da diffondere nel Lazio, in Campania ed in Toscana, con eventuale successiva estensione ad altre regioni, utilizzando sei frequenze (inutilizzate da RAI) in banda UHF. Con successiva istanza del 19/02/1957, per l’attuazione del suo programma tecnico, il Tempo Tv richiedeva l’integrazione dell’assegnazione, puntando ad ottenere dieci canali in UHF tra 470 e 547 MHz. Con nota 08/03/1957 il Ministero rispondeva che, posti gli artt. 1 e 168, n. 5, del Codice postale e delle telecomunicazioni, aveva concesso in esclusiva alla RAI-Radiotelevisione italiana, fin dal 1952, l’esercizio dei “servizi di radiodiffusione e di televisione”, sicché non poteva “prendere in considerazione nuove richieste di concessioni per lo stesso servizio”. Risposta ovviamente prevista dagli istanti, che non aspettavano altro che un diniego da impugnare avanti al giudice amministrativo (al tempo, unico), con l’obiettivo di sollevare una questione di legittimità costituzionale sul monopolio delle trasmissioni tv della RAI. Con ricorso notificato il 18 aprile 1957 il gravame veniva impugnato da Il Tempo Tv innanzi al Consiglio di Stato, motivando il ricorso con l’insussistenza, nell’ordinamento positivo, di un monopolio statale del servizio della televisione, e, subordinatamente, rilevando la ritenuta illegittimità costituzionale di tale (eventuale) monopolio, per eccesso del R.D. n. 645/1936 (che approvava il Codice postale), rispetto alla legge di delegazione n. 336/1933, nonché il contrasto con gli artt. 21, 33 e 41 della Costituzione. La Sez. VI del Consiglio di Stato, con decisione interlocutoria parziale del 15/07/1959, n. 504, dichiarava infondata l’insussistenza del monopolio statale e con ordinanza in pari data n. 505 manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa all’esorbitanza del Codice postale dai limiti della delega, rimettendo alla Corte – previa affermazione della rilevanza ai fini del decidere – le sole questioni relative alla compatibilità con gli artt. del Codice postale e delle telecomunicazioni (relativi al monopolio statale), “per la parte in cui concernono la televisione“. L’ordinanza era pertanto notificata alle parti in causa (Il Tempo Tv, RAI-Radiotelevisione italiana s.p.a. e Ministero delle poste e delle telecomunicazioni), nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri il 21/07/1959, dandone contestuale comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 28 luglio successivo (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12/09/1959, n. 220). Il Tempo Tv si costituiva formalmente il 26/09/1959, ma, contrariamente alle previsioni dei suoi giuristi, la Consulta dichiarava la legittimità del monopolio statale radiotelevisivo, pur auspicando che fosse assicurata ad ogni manifestazione del pensiero la diffusione attraverso il mezzo televisivo. Con sentenza del 13 luglio 1960 la Consulta (giudice relatore Sandulli) affermava quindi che, data la limitatezza di fatto dei canali utilizzabili (sic!), la televisione per mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizzava indubbiamente come un’attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all’oligopolio (totale o locale, a seconda che i servizi venissero realizzati su scala nazionale o su scala locale) e siccome tali servizi, se non fossero stati riservati allo Stato o a un ente statale da esso preposto, sarebbero caduti naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti (prevedibilmente mossi da interessi particolari), non poteva considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni “di utilità generale” idonee a giustificare, ai sensi dell’art. 43 Cost., l’avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, perché questo, istituzionalmente, era in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obbiettività, d’imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.Forse fu questa proprio ultima affermazione che peccò un po’ d’ingenuità, accompagnata dall’affermazione dell’esigenza di leggi destinate “ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione all’utilizzazione del servizio non contrastanti con l’ordinamento, con le esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela (varietà e dignità dei programmi, ecc.)”. Sostanzialmente, nel 1960 la Corte Costituzionale confermava pertanto il monopolio RAI, pur esortando lo Stato a garantire un ampio accesso all’utilizzazione del servizio, basandosi sulle caratteristiche tecniche della radiotelevisione, la quale poteva operare solo su ristrette frequenze. De Il Tempo Tv sarebbe così rimasto solo il ricordo, in previsione di tempi più consoni sul piano sociale, culturale, politico e tecnico per l’avvento del regime televisivo concorrenziale. (R.R. per NL)
Tuttavia, non ne avevamo mai approfondito compiutamente tale esperienza, molto importante sul piano giuridico, in quanto avrebbe posto premesse significative per la demolizione (nel 1976) del monopolio tv RAI via etere. Lacuna che cercheremo di colmare oggi. Il 19/12/1956, a Roma, la società di diritto privato Il Tempo TV, amministrata da Renato Angiolillo e riconducibile al noto quotidiano romano Il Tempo, faceva istanza al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni chiedendo l’autorizzazione ad utilizzare canali per trasmissioni televisive al di fuori della concessione statale alla RAI, dichiarando l’impegno a uniformarsi alle norme vigenti sulla stampa e sui pubblici spettacoli.Il Tempo Tv dichiarava di voler realizzare tale programma provvedendo all’installazione di impianti trasmittenti, studi di ripresa e ponti radio mobili per le trasmissioni esterne. L’iniziativa editoriale del gruppo mirava a creare un servizio di radiodiffusione televisiva alimentato dai proventi della pubblicità inserita in un flusso di programmi da diffondere nel Lazio, in Campania ed in Toscana, con eventuale successiva estensione ad altre regioni, utilizzando sei frequenze (inutilizzate da RAI) in banda UHF. Con successiva istanza del 19/02/1957, per l’attuazione del suo programma tecnico, il Tempo Tv richiedeva l’integrazione dell’assegnazione, puntando ad ottenere dieci canali in UHF tra 470 e 547 MHz. Con nota 08/03/1957 il Ministero rispondeva che, posti gli artt. 1 e 168, n. 5, del Codice postale e delle telecomunicazioni, aveva concesso in esclusiva alla RAI-Radiotelevisione italiana, fin dal 1952, l’esercizio dei “servizi di radiodiffusione e di televisione”, sicché non poteva “prendere in considerazione nuove richieste di concessioni per lo stesso servizio”. Risposta ovviamente prevista dagli istanti, che non aspettavano altro che un diniego da impugnare avanti al giudice amministrativo (al tempo, unico), con l’obiettivo di sollevare una questione di legittimità costituzionale sul monopolio delle trasmissioni tv della RAI. Con ricorso notificato il 18 aprile 1957 il gravame veniva impugnato da Il Tempo Tv innanzi al Consiglio di Stato, motivando il ricorso con l’insussistenza, nell’ordinamento positivo, di un monopolio statale del servizio della televisione, e, subordinatamente, rilevando la ritenuta illegittimità costituzionale di tale (eventuale) monopolio, per eccesso del R.D. n. 645/1936 (che approvava il Codice postale), rispetto alla legge di delegazione n. 336/1933, nonché il contrasto con gli artt. 21, 33 e 41 della Costituzione. La Sez. VI del Consiglio di Stato, con decisione interlocutoria parziale del 15/07/1959, n. 504, dichiarava infondata l’insussistenza del monopolio statale e con ordinanza in pari data n. 505 manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa all’esorbitanza del Codice postale dai limiti della delega, rimettendo alla Corte – previa affermazione della rilevanza ai fini del decidere – le sole questioni relative alla compatibilità con gli artt. del Codice postale e delle telecomunicazioni (relativi al monopolio statale), “per la parte in cui concernono la televisione“. L’ordinanza era pertanto notificata alle parti in causa (Il Tempo Tv, RAI-Radiotelevisione italiana s.p.a. e Ministero delle poste e delle telecomunicazioni), nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri il 21/07/1959, dandone contestuale comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 28 luglio successivo (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12/09/1959, n. 220). Il Tempo Tv si costituiva formalmente il 26/09/1959, ma, contrariamente alle previsioni dei suoi giuristi, la Consulta dichiarava la legittimità del monopolio statale radiotelevisivo, pur auspicando che fosse assicurata ad ogni manifestazione del pensiero la diffusione attraverso il mezzo televisivo. Con sentenza del 13 luglio 1960 la Consulta (giudice relatore Sandulli) affermava quindi che, data la limitatezza di fatto dei canali utilizzabili (sic!), la televisione per mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizzava indubbiamente come un’attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all’oligopolio (totale o locale, a seconda che i servizi venissero realizzati su scala nazionale o su scala locale) e siccome tali servizi, se non fossero stati riservati allo Stato o a un ente statale da esso preposto, sarebbero caduti naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti (prevedibilmente mossi da interessi particolari), non poteva considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni “di utilità generale” idonee a giustificare, ai sensi dell’art. 43 Cost., l’avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, perché questo, istituzionalmente, era in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obbiettività, d’imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.Forse fu questa proprio ultima affermazione che peccò un po’ d’ingenuità, accompagnata dall’affermazione dell’esigenza di leggi destinate “ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione all’utilizzazione del servizio non contrastanti con l’ordinamento, con le esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela (varietà e dignità dei programmi, ecc.)”. Sostanzialmente, nel 1960 la Corte Costituzionale confermava pertanto il monopolio RAI, pur esortando lo Stato a garantire un ampio accesso all’utilizzazione del servizio, basandosi sulle caratteristiche tecniche della radiotelevisione, la quale poteva operare solo su ristrette frequenze. De Il Tempo Tv sarebbe così rimasto solo il ricordo, in previsione di tempi più consoni sul piano sociale, culturale, politico e tecnico per l’avvento del regime televisivo concorrenziale. (R.R. per NL)