Nel mese di aprile, quest’ultimo, nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico del legale rappresentante di A&G Television, ripetitorista in Liguria della rete di Berlusconi, aveva ricevuto dall’interessato “l’impegno a non mandare più in onda i programmi nella stessa ora e nello stesso giorno delle altri emittenti della catena” onde evitare il sequestro degli apparati trasmittenti.Il magistrato genovese, a seguito di denunce presentate dall’Associazione Nazionale Teleradio Indipendenti (A.N.T.I.) e delle indagini condotte dall’Escopost, aveva infatti ritenuto che le norme vigenti erano violate sia che si trasmettesse il medesimo programma in interconnessione funzionale, sia che si attuassero collegamenti strutturali, a nulla valendo (sotto il profilo del rispetto del disposto normativo) l’accorgimento di irradiare nello stesso momento il medesimo programma preregistrato. In conseguenza di quanto sopra, i programmi del network milanese venivano seguiti dall’utenza ligure con un giorno di ritardo rispetto all’intero territorio nazionale; circostanza che, come è facile immaginare, avrebbe dato inizio ad un lungo confronto in ambito politico, sociale e giuridico. Il 27 gennaio 1982 il direttore generale del Ministero delle Poste e telecomunicazioni Ugo Monaco invitava, con un telegramma, le emittenti nazionali Canale 5 (Berlusconi), Retequattro (Mondadori), Italia 1 (Rusconi) a sospendere le trasmissioni entro due giorni, perché avevano di fatto creato delle reti a diffusione nazionale in violazione della legge 103 del 1975 e delle sentenze della Corte costituzionale.
L’ordine, tuttavia, sarebbe caduto nel vuoto. Sarebbe stata, infatti, la RAI a promuovere un intervento sulla questione, depositando, il 1° febbraio, alla pretura civile di Roma tre ricorsi di urgenza contro le reti nazionali ritenute responsabili di aver creato oligopoli privati in contrasto con lo spirito della sentenza 202/1976 della Consulta. Il pretore designato, Roberto Preden, a seguito di una lunga udienza in data 21 aprile 1982, superate le pregiudiziali di incompetenza territoriale e per materia, sospeso l’esame nel merito, respingeva l’istanza cautelare della RAI di inibire la diffusione sull’intero territorio nazionale dei programmi di Canale 5, Italia 1 e Retequattro, rimettendo con provvedimento del 4 maggio 1982 la questione al giudizio della Corte costituzionale (che si sarebbe pronunciata poi con la basilare sentenza n. 826/1988). A motivare la decisione del pretore Preden vi era l’apparente contrasto del monopolio RAI all’esercizio dell’attività radiodiffusiva nazionale con gli articoli 9, 21, 33, 34 e 41 Cost., sulla scorta della sopravvenuta evoluzione del mercato dal tempo della sentenza 148/1981 della medesima Corte.
Per Preden, scriveva Millecanali a riguardo dell’interessante ordinanza: “Non sarebbero oligopoli quelli creati dai vari Mondadori, Berlusconi, Rusconi, bensì grossi gruppi televisivi privati che convivono in regime di libera concorrenza” . Per il pretore romano, infatti (testuale dall’ordinanza): “Il quadro che ne risulta è quello di un sistema misto assai articolato e composito nel quale la (temuta) posizione di influenza predominante di uno o di pochi privati sembra esclusa dalla contemporanea presenza della concessionaria”; un contesto che avrebbe escluso il rischio della formazione di cartelli configuranti una concentrazione oligopolistica, atteso che (testuale dall’ordinanza) “si è verificata di fatto una situazione corrispondente a quella che si sarebbe creata, di diritto, per effetto dell’abolizione del monopolio”. Un’ordinanza, quella di Preden, che sembrava far presagire un futuro meno a rischio per le reti nazionali private.
Scriveva a riguardo la rivista Millecanali nel giugno 1982: “E’ comunque singolare che i privati, dopo aver strillato per due mesi sullo scandalo che un semplice pretore venisse chiamato a decidere su questioni che implicano un giro d’affari di decine di miliardi, siano ora disposti a pubblicare a loro spese migliaia di copie dell’ordinanza”.
Nondimeno, la vicenda si complicava ulteriormente giacché, in sostanziale coincidenza temporale, l’emittente Italia 1 dell’editore Rusconi citava in giudizio la RAI e il Ministero delle Poste e telecomunicazioni chiedendo alla magistratura di accertare la legittimità e la validità delle proprie iniziative, mentre il 29 gennaio 1982, il pretore di Genova invitava Telemond 4 e Tvs, due emittenti che facevano capo rispettivamente ai circuiti di Retequattro e Italia 1, a differire la trasmissione di film diffusi contemporaneamente dalle capofila milanesi.Da quel momento in poi, sarebbe stato un succedersi di provvedimenti giudiziari contrastanti: il 27 ottobre 1983 la Pretura di Milano, nell’ambito di un procedimento giudiziario che interessava le reti Canale 5 e Italia 1 (nel frattempo acquisita da Berlusconi) giudicava l’esistenza dei network perfettamente legittima come consentito era il loro diritto di trasmettere lo stesso programma in contemporanea in tutta Italia servendosi delle televisioni private a loro associate. Esultava il difensore delle reti Fininvest, Aldo Bonomo: “Siamo riusciti a dimostrare che ritenere illegittima la simultaneità delle trasmissioni significa violare l’articolo 21 della costituzione, quello sulla libertà di manifestazione di pensiero“. (estratto da M. Lualdi – Il concetto giuridico di ambito locale nel sistema radiofonico italiano alla luce dell’evoluzione tecnologica” – Planet Editore – Milano – 2007)