Dopo le dimissioni dal Corriere della Sera, il grande giornalista italiano decise di fondare un nuovo quotidiano, forte della consapevolezza dell’esistenza di una platea di lettori pronti ad accoglierlo.
Si era a cavallo tra il 1973 ed il 1974 e, con il sostegno finanziario della Montedison di Eugenio Cefis, che fornì a Montanelli 12 miliardi di lire di allora per tre anni, nasceva Il Giornale Nuovo. In quel periodo, in Italia, già operavano alcune tv libere via cavo, che di lì a qualche anno sarebbero migrate via etere. Montanelli, da acuto scrutatore dell’universo mediatico, era intrigato dal fenomeno, sia come tale che in prospettiva di sinergie con la carta stampata.
Ma il mezzo televisivo appariva ancora destrutturato, le iniziative locali erano economicamente gracili e sebbene qualcuno (Rizzoli) pensasse già in nazionale (Telemalta, progetto di rete tv off-shore con ripetitori eventualmente carrozzati da tv locali in Italia), i costi per creare strutture di spessore erano importanti, mentre l’incertezza legislativa era eccessiva anche per un uomo abituato ad ogni sfida in nome dell’Informazione. Nel 1976, tuttavia, la Corte Costituzionale spazzò via il monopolio RAI con la storica sentenza n. 202 e tutti presero a guardare con maggiore considerazione al nuovo assetto radiotelevisivo misto pubblico/privato che si andava tratteggiando. Anche Indro Montanelli lo fece. Ma non nella direzione della tv, costosa e intricata, bensì della radio, medium più conveniente, duttile e spontaneo. Ideale per diffondere un’informazione basilare e spedita, ma anche per generare approfondimenti interattivi con l’utenza attraverso il telefono, strumento ovviamente inutilizzabile nella carta stampata, ma apoteotico in ambiente radiofonico. Insomma l’integrazione ideale de Il Giornale. Per Montanelli il progetto ideale sarebbe constato di tre emittenti metropolitane pressoché all-news: tre stazioni atte a piantonare le piazze di Milano, Roma e Genova, cruciali sul piano sociopolitico del momento. A Milano si sa che ebbero luogo contatti per l’acquisizione di una delle prime stazioni della città: Radio Montestella, dotata di un buon segnale e di una struttura editoriale di rilievo, che da poco era stata acquisita da un rampante Enzo Campione (attuale patron della concessionaria Radio & Reti) e da Fiorenza Mursia, figlia di Ugo Mursia, noto imprenditore milanese nel mercato del libro.
Montanelli aveva quindi già colto il senso di quella radio metropolitana “scoperta” nel nuovo millennio – la “big town station”, per dirla all’americana – integrata in un complesso editoriale: emittenti riconducibili ad una stessa proprietà, ma operativamente distinte; accomunate per gran parte della giornata da programmazione identica, arricchita e perfezionata da innesti informativi locali. Insomma, l’idea che qualche anno dopo sarebbe stata fatta propria in ambito televisivo (anche se per finalità commerciali) da un lungimirante imprenditore meneghino con il quale Montanelli si sarebbe incontrato e poi scontrato: Silvio Berlusconi (che nel 1979 si sarebbe sostituito a Montedison come azionista di riferimento de Il Giornale, in un sodalizio rotto solo nella prima metà dei ’90 con la discesa in politica).Evidentemente per meglio conoscersi, l’editore di Radio Montestella e il direttore de Il Giornale Nuovo, misero in pista sul finire del 1977 uno dei primi esperimenti di Giornale radio privato in stretta collaborazione con la redazione di un importante quotidiano.
Purtroppo, però, il progetto di Montanelli si fermò lì; complici le vicissitudini personali del giornalista, ma anche in considerazione del particolare clima vissuto dall’informazione italiana nei cosiddetti “anni di piombo”, il progetto “radio metropolitana” abortì, lasciando a tutti noi il dubbio di cosa avrebbe potuto significare per la radiofonia l’ingresso diretto in campo di un gigante del giornalismo. (S.C. per NL)
Ma il mezzo televisivo appariva ancora destrutturato, le iniziative locali erano economicamente gracili e sebbene qualcuno (Rizzoli) pensasse già in nazionale (Telemalta, progetto di rete tv off-shore con ripetitori eventualmente carrozzati da tv locali in Italia), i costi per creare strutture di spessore erano importanti, mentre l’incertezza legislativa era eccessiva anche per un uomo abituato ad ogni sfida in nome dell’Informazione. Nel 1976, tuttavia, la Corte Costituzionale spazzò via il monopolio RAI con la storica sentenza n. 202 e tutti presero a guardare con maggiore considerazione al nuovo assetto radiotelevisivo misto pubblico/privato che si andava tratteggiando. Anche Indro Montanelli lo fece. Ma non nella direzione della tv, costosa e intricata, bensì della radio, medium più conveniente, duttile e spontaneo. Ideale per diffondere un’informazione basilare e spedita, ma anche per generare approfondimenti interattivi con l’utenza attraverso il telefono, strumento ovviamente inutilizzabile nella carta stampata, ma apoteotico in ambiente radiofonico. Insomma l’integrazione ideale de Il Giornale. Per Montanelli il progetto ideale sarebbe constato di tre emittenti metropolitane pressoché all-news: tre stazioni atte a piantonare le piazze di Milano, Roma e Genova, cruciali sul piano sociopolitico del momento. A Milano si sa che ebbero luogo contatti per l’acquisizione di una delle prime stazioni della città: Radio Montestella, dotata di un buon segnale e di una struttura editoriale di rilievo, che da poco era stata acquisita da un rampante Enzo Campione (attuale patron della concessionaria Radio & Reti) e da Fiorenza Mursia, figlia di Ugo Mursia, noto imprenditore milanese nel mercato del libro.
Montanelli aveva quindi già colto il senso di quella radio metropolitana “scoperta” nel nuovo millennio – la “big town station”, per dirla all’americana – integrata in un complesso editoriale: emittenti riconducibili ad una stessa proprietà, ma operativamente distinte; accomunate per gran parte della giornata da programmazione identica, arricchita e perfezionata da innesti informativi locali. Insomma, l’idea che qualche anno dopo sarebbe stata fatta propria in ambito televisivo (anche se per finalità commerciali) da un lungimirante imprenditore meneghino con il quale Montanelli si sarebbe incontrato e poi scontrato: Silvio Berlusconi (che nel 1979 si sarebbe sostituito a Montedison come azionista di riferimento de Il Giornale, in un sodalizio rotto solo nella prima metà dei ’90 con la discesa in politica).Evidentemente per meglio conoscersi, l’editore di Radio Montestella e il direttore de Il Giornale Nuovo, misero in pista sul finire del 1977 uno dei primi esperimenti di Giornale radio privato in stretta collaborazione con la redazione di un importante quotidiano.
Purtroppo, però, il progetto di Montanelli si fermò lì; complici le vicissitudini personali del giornalista, ma anche in considerazione del particolare clima vissuto dall’informazione italiana nei cosiddetti “anni di piombo”, il progetto “radio metropolitana” abortì, lasciando a tutti noi il dubbio di cosa avrebbe potuto significare per la radiofonia l’ingresso diretto in campo di un gigante del giornalismo. (S.C. per NL)