In tutto il mondo la stampa cartacea è in crisi e, tanto per darne la misura, negli USA la raccolta pubblicitaria negli ultimi anni è passata da 50 a 18 miliardi di dollari.
Per far fronte all’emergenza, recentemente in Francia Le Figaro e Le Monde hanno stretto un’alleanza (senza per questo giungere ad una fusione), che unisce le risorse delle loro concessionarie pubblicitarie, mentre altri grandi editori transalpini hanno creato Alliance gravity, una società per azioni i cui partecipanti hanno scelto di condividere anche i dati profilati dei lettori al grido “L’union fait la data”.
Oltreoceano la situazione non è molto differente e il mercato editoriale è dominato dall’oligopolio cd. “GAFA” (costituito da Google, Apple, Facebook e Amazon) che sta polverizzando il fatturato dei giornali. Per questo motivo, il Wall Street Journal, il New York Times e il Washington Post (di proprietà di Jeff Bezos di Amazon) insieme ad altre testate minori potrebbero dar vita ad una join venture denominata News Media Alliance per la raccolta comune della pubblicità online e per contrastare i giganti del web.
Ma l’idea non è così semplice da realizzare. La creazione di una piattaforma di questo tipo negli Stati Uniti violerebbe le norme antitrust ed è paradossale che soluzione e problema ricevano lo stesso capo d’accusa.
La nuova alleanza dei media americani invierà il proprio ceo David Chavern alle commissioni parlamentari per spiegare che la NMA è un tentativo di difesa dai monopolisti del web advertising, gli stessi che si sono resi protagonisti del dilagare delle fake news. Rupert Murdoch, azionista di maggioranza del Wall Street Journal, potrebbe essere un importante intermediario nel dialogo con il governo poiché è un grande amico di Donald Trump, il quale concesse la propria intervista in terra britannica proprio al Times del magnate australiano. Forse la descrizione più significativa dell’attuale momento dell’editoria la diede non più di un mese fa lo scrittore e professore universitario della californiana USC Annenberg School for Communication and Journalism in un’intervista a La Stampa: “La Silicon Valley era molto indipendente ma ora è nelle mani di Google, Amazon e Facebook. Un’enorme quantità di potere centralizzato, io lo definisco “capitalismo di controllo”. Se appena clicchi su un brano musicale, ti succhiano tutti i dati possibili e poi ti ripagano con la pubblicità. Di quello si occupano e non di media”. (M.R. per NL)