Spotify e la Radio (musicale senza conduzione, beninteso) non sono la stessa cosa. Ma all’utente sembra così. Di primo acchito, almeno. Perché in realtà, medio tempore, i due mezzi hanno modelli di business e di fruizione differenti. Ecco il resoconto di un test da uomo qualunque, in un qualunque momento di una giornata qualunque di una qualunque settimana.
Avendo voglia di ascoltare musica anni ’80 (vabbè….), abbiamo selezionato una playlist da Spotify. 8 Minuti e ci stavamo addormentando.
Ne abbiamo quindi scelta un’altra. Troppo rock.
Forse era il caso di affinare i criteri nella direzione “up”, con Madonna, Michael Jackson e Cindy Lauper. E lì abbiamo avuto qualche dubbio sulle effettive qualità da profiler del pluridecantato algoritmo di Daniel Ek. Secondo lui, il nostro desiderio si concretava in una playlist di lagne statunitensi.
Stanchi, abbiamo chiuso Spotify ed aperto l’app di un noto brand bouquet (italiano) di radio verticali.
Selezionata una delle tante declinazioni anni ’80 di un decorato marchio radiofonico di origini milanesi, abbiamo aperto il vaso di Pandora. Una scelta musicale elitaria, con una sequenza perfetta di bombe. Intro ed outro al posto giusto, un suono ben processato. E la sensazione di una radio “viva”, anche se solo musicale.
Spotify ci è apparsa invece come la compilation di una volta: tanti pezzi, alcuni belli altri no. Assemblati senza logica sequenziale.
Certamente ottimo per cercare un brano o un artista da ascoltare in real time. Ma incapace di creare empatia musicale.
Insomma, certamente per la radio musicale generalista si presentano tempi duri per via del disinteresse del pubblico giovane che nasce senza di essa, essendo permeato ab origine dello streaming audiovideo on demand (You Tube in testa). Una tendenza che trova conferma indiretta dal fatto che tv e stampa per tributare il successo dell’estate non annunciano più che è “programmato dalle radio“, ma che è “in testa alla classifica di Spotify”.
Ma la stessa Radio musicale che subisce i cambiamenti sociocomportamentali può rinascere dalle proprie ceneri con la verticalizzazione dell’offerta.
Grazie al contributo del playlister, per dirla con Claudio Cecchetto.
Che, al solito, agli albori del nuovo millennio aveva pronosticato che in un futuro di eccesso di offerta musicale quella sarebbe stata una professionalità radiofonica ricercatissima. Ed aveva ragione.