Roma – L’attuale apocalisse da spam ha origine da un nome e cognome ben definiti: Gary Thuerk, distributore di prodotti della oramai estinta società di computer Digital Equipment Corporation, ha spedito il primo messaggio-spazzatura via mail della storia delle tecnologie di rete, inviando il 3 maggio 1978 una nota pubblicitaria riguardo la commercializzazione di nuovi prodotti da parte della suddetta società.
I destinatari della missiva erano “solo” 393, tutti protagonisti come Thuerk dell’allora nascente industria del personal computing americano dotati dell’accesso ad ARPANET, il network voluto dalla Difesa USA e tradizionalmente indicato come il precursore della Internet moderna.
Una faccenda figlia di tempi profondamente diversi dall’oggi informatico, in cui il primo spammer della storia ha adoperato la sua casella di posta per inviare la reclame. Considerando poi che all’epoca ARPANET era poco più che un circolo esclusivo aperto a pochi privilegiati, non stupisce scoprire che le reazioni alla campagna di Thuerk furono tutte molto negative, con tanto di lamentele degli utenti e il forte biasimo degli amministratori del network.
Nulla insomma rispetto all’attuale rassegnazione di ISP e utenti, gli uni costretti e investire denaro per contrastare la piaga e gli altri condannati a subire il profluvio via mail di porcherie senza senso o a setacciare la junk mail per controllare che i filtri anti-spam non abbiano scremato mail legittime.
Dai 393 messaggi iniziali lo spam si è moltiplicato fino a divenire un affare con numeri da capogiro: le stime parlano di un 80%-90% di tutta la posta elettronica inviata in rete composto esclusivamente da pubblicità ossessivo-compulsiva, inviata 120 miliardi di volte al giorno per un giro di denaro nell’ordine di svariati miliardi di dollari.
Una vera e propria spam-war, in cui da un lato vi sono gli spammer tecnologicamente sempre più all’avanguardia e dall’altro le due diverse linee di contrasto al fenomeno, vale a dire quella dei provider e degli utenti domestici o aziendali. Una guerra che costa bei quattrini soprattutto al fronte degli ISP e dei professionisti dell’IT, costretti ad espandere di continuo l’installazione di filtri e tecnologie pensate per il solo scopo di fermare lo spam prima che raggiunga le caselle e-mail: secondo le stime di Ferris Research, il costo della spam-war nel 2008 lieviterà sino a raggiungere i 140 miliardi di dollari in tutto il mondo.
Le spese necessarie agli spammer per perpetrare il loro cyber-crimine tendono al contrario a ridursi esponenzialmente, soprattutto con le nuove frontiere della tecnologia alla base dello spam: oggigiorno la metodologia prediletta dai criminali telematici prevede l’impiego di botnet da centinaia di migliaia di “PC zombie”, sistemi compromessi da malware e controllati da remoto usati come nodi autosufficienti di invio delle mail-spazzatura. Un sistema che risulta difficile da contrastare in virtù del suo essere indipendente da server e centri di controllo specifici con relativi indirizzi IP fissi.
Il futuro poi non promette nulla di buono: non bastassero già le botnet, lo spam sta diventando un fenomeno di massa sui cellulari, sui siti di social networking quali MySpace e Facebook e nella blogosfera con i cosiddetti “splog”, blog generati in maniera automatizzata con il solo scopo di spargere pubblicità in rete. Dopo trent’anni di attività il fenomeno è insomma più in salute che mai, al punto che gli analisti prevedono che ogni nuovo mezzo e canale di comunicazione dovrà farci i conti, prima o poi.
Alfonso Maruccia