Il summit sull’industria della comunicazione tenutosi a Roma il 18/12, durante il quale è stato presentato il Rapporto Iem della Fondazione Rosselli, ha consacrato l’ascolto radiofonico massiccio via smartphone da parte degli italiani: 22%, contro il 13% di Francia, il 14% di Germania ed il 18% della Gran Bretagna. Poco rilevante che spesso ciò avvenga attraverso il ricevitore FM sul cellulare: è questione di tempo e l’ascolto passerà anche sul telefonino esclusivamente attraverso il webcasting. Il punto è che l’utenza sta cominciando a identificare il cellulare come piattaforma multiuso e di ciò occorre prendere atto.
Anche Internet ha incentivato l’ascolto della radio (musicale) alternativa alla classica FM: il 20% degli italiani ha dichiarato di ascoltare di più la radio da quando il web ha avuto larga diffusione, a confermare la convergenza delle tecnologie verso la tripla W, che sarà il mare magnum da cui pescare tutto.
Come da (tanto) tempo stiamo scrivendo su queste pagine, gli editori radiofonici nostrani, anziché testare improbabili tecnologie di nicchia buttando al vento centinaia di migliaia di euro, dovrebbero prendere atto dei suddetti numeri (cioè della realtà fattuale) e pensare maggiormente a consolidare il proprio ruolo di content provider su altri mezzi di diffusione già esistenti e consolidati e quindi immediatamente fruibili, senza temere di dover necessariamente pagare pedaggio dai network provider telefonici (e satellitari), che invece paiono, al contrario, alla disperata ricerca di valore aggiunto (i contenuti, appunto), da dedicare alla propria utenza. Tanto più che, a breve, non sarà più possibile discriminare nemmeno tale ruolo, nella misura in cui il mero accesso al web dal cellulare con contenute tariffe flat di regola (e quindi prescindendo dalla durata del collegamento) consentirà di disporre, senza distinzione, di qualsiasi contenuto presente in Internet (testo, immagine, audio o video).
E’ un falso luogo comune che il mero fornitore di contenuti si ponga su un gradino inferiore (di dipendenza) rispetto all’operatore di rete. Il successo di Sky, una piattaforma di soli contenuti, dimostra infatti che si può avere un ruolo determinante anche solo connotandosi come content provider. Nessuno si sogna di dire, infatti, che Sky, intesa come piattaforma di contenuti, sia in condizione di sudditanza rispetto al provider satellitare. Semplicemente i due soggetti hanno un ruolo differente, solo convergente in termini di business.
Sul versante analogico, le emittenti radio attuali potranno invece continuare, ancora per lungo tempo (10/15 anni, almeno con l’attuale tecnologia), a godere degli assetti in modulazione di frequenza in qualità sia di content che di network provider (peraltro è opinione di una dottrina sempre crescente che anche in ambiente analogico la dicotomia sia attuabile nel rispetto del diritto positivo). Finché – ed è circostanza inevitabile – anche l’FM si digitalizzerà, dopo una fase di simulcasting.