Le associazioni delle emittenti locali non contano più nulla per la P.A. L’ennesima prova di quanto, da almeno due anni, andiamo scrivendo su queste pagine viene dai bandi per la presentazione delle domande di inserimento nelle graduatorie della procedura di revisione del piano di assegnazione delle frequenze DTT nelle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio e Campania.
La colpa di ciò, ovviamente, sta negli stessi sindacati, burattinati alla grande da governi (la responsabilità non è certo solo dell’attuale) più scaltri di loro. Esecutivi che, prima, hanno caldeggiato unioni di fatto tra i grandi soggetti portatori di interessi diffusi e, poi, conseguito lo scellerato obiettivo, hanno goduto della progressiva, quanto prevedibile, impossibilità da parte degli stessi di contemperare interessi agli antipodi dei rispettivi associati. Un’allucinante miopia e supponenza dei direttivi associativi ha fatto pensare che un medesimo coordinamento potesse farsi contemporaneamente portatore degli interessi di piccole e grandi emittenti (cioè utopie da primo socialismo). Così, confidando nel verbo volante di uffici pubblici che consideravano trasparenti ed alleati, tali organismi sono arrivati al punto da suggerire strategie operative che, oggi, si rivelano clamorosi boomerang, che rischiano di mettere fuori gioco numerosi operatori dalle assegnazioni frequenziali. Tanto che oggi, ai quesiti dei propri associati, i sindacati sono costretti a rispondere come Socrate: “hoc unum scio: me nihil scire”.