Gli Stati Uniti chiedono aiuto a Facebook per le inchieste: avvocati e squadre di investigazione si servono del social network per cercare le prove e risolvere i casi.
Il fenomeno è in crescita anche in Italia, ma in America l’invenzione di Mark Zuckerberg sta cambiando radicalmente le tecniche d’indagine: polizia e squadre investigative hanno trovato in Facebook la svolta per molti casi, dai reati più comuni al narcotraffico. L’utente tipo del social network non pensa più razionalmente a cosa “butta” nel contenitore virtuale, esponendo se stesso, elementi e particolari della sua vita fino a rendere facilmente ricostruibile ogni sua giornata, almeno per gli spostamenti ed eventi principali. Così Facebook è arma difensiva del cliente dell’avvocato, nonché strategia volta a svalutare la posizione e le illazioni della controparte: il processo, quindi, accoglie spontaneamente un nuovo elemento, quale a seconda della funzione del caso specifico, può essere definita fonte di indizi, prove o semplicemente una buona base su cui costruire l’arringa difensiva o supportare l’accusa. Ebbene sì, tutti noi in possesso di un account lasciamo ogni giorno delle piccole tracce: luoghi, orari, persone e situazioni, siamo letteralmente in vetrina e forse nemmeno ne siamo totalmente consapevoli. La diabolica macchina di Mark Zuckeberger ci stuzzica e ci conduce a vivere sotto gli occhi di tutti: l’esibizionismo stordisce il buon senso, mettendo a rischio la riservatezza, ma alcune volte smaschera condotte illecite e presunti colpevoli. Facebook, quindi, collabora con la giustizia? La risposta sembra essere positiva, ma se si fa attenzione alla natura di tale collaborazione si cade dalla visione utopica con l’amara consapevolezza che, se la nostra quotidianità è facilmente ricostruibile, è perché siamo totalmente spogliati da ogni protezione. Forse la duplice visione del fenomeno ci smonta le illusioni: la violazione della privacy e la diffamazione possono forse essere giustificate dalla libertà di espressione? È questa la questione americana in merito: il web sta rischiando di diventare un terreno senza regole, dove i provider non incorrono sempre e del tutto in responsabilità penale, come avviene invece per i direttori dei giornali. È da qui che nasce la volontà di modificare il codice penale: l’importanza data al social network ai fini investigativi deve necessariamente coincidere con una tutela ex ante dei contenuti e dei dati personali, per privarsi dell’attuale reputazione di arma a doppio taglio. (C.S. per NL)