Cresce il malcontento in Cina. Da alcune settimane, per le strade delle principali città del gigante asiatico gruppi di manifestanti, sulla spinta di quanto è accaduto e sta accadendo in Nord Africa, hanno deciso di far sentire la propria voce e lanciare la propria personale sfida al governo di Pechino.
Si tratta di gruppi sparuti, di poche centinaia di persone, per il momento, accomunate dal simbolo del gelsomino, lanciato come emblema rivoluzionario in Tunisia appena due mesi e mezzo fa. I vertici del governo hanno paura: provate a digitare la parola gelsomino, “jasmine” in inglese, da un IP cinese, non la troverete. Perché la rete censoria cinese l’ha eliminata dai motori di ricerca. Le proteste vanno avanti ogni settimana, di domenica, mentre polizia e “volontari” filo governativi controllano e, a volte, intervengo sulle folle disarmate. Ma si tratta di poche centinaia di persone, nulla a che vedere con il movimento del 1989 culminato nella tragica strage di piazza Tienanmen. Eppure, proprio per via di questo nero ricordo, il governo cinese ha paura: ha paura che la protesta metta radici nelle università, che le folle che scendono in piazza si amplino e che l’unica soluzione possibile per salvaguardare il sistema verticistico e corrotto che regge il paese sia un intervento violento. Ventidue anni fa riuscirono a reprimere con la forza militare e quella della propaganda, questa volta potrebbero non farcela. In questo scenario particolare si inserisce l’ennesima puntata della saga che contrappone l’ex Impero Celeste, il paese con più internauti al mondo, a Google, il gigante della rete. Nel 2005 il motore di ricerca ha fatto il suo ingresso in Cina e da allora è stato un continuo di accuse, minacce reciproche, fino all’abbandono, poco più di un anno fa, da parte di Google China al più grande mercato del mondo. La Cina censura già siti come Youtube e Facebook, e lo fa per “salvaguardare” la propria popolazione dalle influenze straniere, potenzialmente controrivoluzionarie. L’ultimo episodio della saga Google-Cina, però, porta con sé una caratteristica diversa e, per certi versi, più pericolosa: una sorta di censura di nuova generazione. Secondo quanto diffuso in Gran Bretagna dal Guardian, infatti, da alcune settimane gli utenti cinesi di GMail, il servizio di e-mail gratuito di Google, lamentano strani rallentamenti e blocchi nel servizio. Sullo schermo pare che il problema sia da imputarsi a disfunzioni del sistema di Google, ma dall’azienda fanno sapere che non c’è nessun problema. Ecco perché, negli ultimi giorni, ha iniziato a diffondersi l’idea che la colpa dei disservizi sia da imputare ad hacker al servizio di Pechino, che sfruttano alcune vulnerabilità MHTML per rendere il servizio più lento e inaffidabile e spingere gli utenti a lasciarlo. Si tratterebbe di un nuova frontiera della censura, più pericolosa perché invisibile, almeno sul territorio nazionale cinese. Gli utenti, infatti, identificano il malfunzionamento del proprio servizio e-mail con problemi legati al provider. Si tratta di un’ulteriore mazzata nei confronti dei pochi gruppi controrivoluzionari che tentano di organizzarsi o almeno di passarsi le informazioni tramite la rete. Perché se una nuova Piazza Tienanmen dovrà esserci (e il governo non può permettersi di reprimerla nel sangue nuovamente), questa partirà dalla rete. (G.C. per NL)