Continua la contesa tra i radiofonici nazionali e la SCF, la rappresentanza delle case discografiche.
Al centro, i diritti connessi (ai diritti d’autore), che il legislatore prevede che gli utilizzatori in pubblico dei supporti musicali versino agli aventi diritto. Nel merito, quello sui cui si litiga ormai da più di un anno è l’aumento della percentuale sul fatturato da corrispondere per i diritti connessi inizialmente contrattata tra SCF e gli editori. La vicenda è ora sub judice e i rapporti tra le parti sono sempre più tesi: i discografici sanno di non poter fare a meno delle radio per promuovere i propri artisti e le emittenti hanno piena consapevolezza della posizione di vantaggio. Ogni occasione è quindi buona per lamentare presunti boicottaggi radiofonici di artisti/case discografiche; accusa che, per parte propria, le radio respingono al mittente, opponendo l’insindacabile diritto di scelta dei contenuti musicali dei propri programmi. Un confronto logorante, di cui stanno avendo la peggio i fonografici: la politica esattoriale di SCF ha ridotto infatti la benefica relazione tra radio è musica da virtuosa a viziosa. E alterare un rapporto simbiotico – ci insegna la natura, che di queste cose è esperta – è pericoloso, perché crea il parassitismo, che è pur sempre una forma di simbiosi, ma in forma negativa. Lì il parassita trae un vantaggio a spese dell’ospite creandogli un danno esistenziale e quando il secondo muore, il primo lo accompagna. Mica tanto conveniente, alla lunga.