(in: www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1438)
Roma, 23 novembre 2007. Con la sentenza 390/2007 la Consulta, accogliendo un ricorso del Gip di Torino, ha in parte cancellato l’art. 6 (commi 2, 5 e 6) della legge 20 giugno 2003 n. 140. La legge 140/2003 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) prevede che – ove la Camera competente neghi l’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni «indirette» o «casuali» di conversazioni cui ha preso parte un membro del Parlamento – la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta, e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione del disposto dello stesso articolo 6, debbano essere dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento. Secondo il Gip la legge doveva limitarsi a prevedere l’inutilizzabilità di detta documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato. Questa parte della legge (i commi 2, 5 e 6 dell’articolo 6) è stata cancellata dalla Corte. Per effetto di questa decisione l’autorità giudiziaria non deve ottenere l’autorizzazione di Camera o Senato se intende utilizzare le intercettazioni telefoniche esclusivamente nei confronti di persone indagate che non siano parlamentari. Se la magistratura vuole, invece, usare le intercettazioni sia nei confronti dei terzi che di deputati o senatori, il diniego dell’autorizzazione non comporta più l’obbligo di distruggere la documentazione delle intercettazioni, che resta utilizzabile limitatamente ai terzi. Si legge nella sentenza: “Al tempo stesso, impedendo di utilizzare le intercettazioni in questione anche nei confronti di soggetti non parlamentari, le disposizioni in parola finiscono, di fatto – senza alcuna base di legittimazione costituzionale – per configurare una immunità a vantaggio di soggetti che non avrebbero comunque ragione di usufruirne, in quanto non chiamati ad esercitare alcun mandato elettivo. In sostanza, ciò che rende contrastante il complesso di norme in esame non soltanto con il parametro dell’eguaglianza, ma anche con quello della razionalità intrinseca della scelta legislativa, è il fatto che – per neutralizzare gli effetti della diffusione delle conversazioni del parlamentare, casualmente intercettate – sia stato delineato un meccanismo integralmente e irrimediabilmente demolitorio, omettendo qualsiasi apprezzamento della posizione dei terzi, anch’essi coinvolti in quelle conversazioni”.