SENATO DELLA REPUBBLICA
Commissione VIII – Lavori Pubblici, Comunicazioni
Roma, 18 ottobre 2006
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
Audizione del Presidente Corrado Calabrò
Intervento sulle prospettive del settore delle telecomunicazioni con particolare riferimento al riassetto del gruppo Telecom
Signor Presidente, Onorevoli Parlamentari, ringrazio per aver dato all’Autorità per leGaranzie nelle Comunicazioni l’opportunità di fornire il proprio contributo di analisi e valutazioni alla riflessione sullo stato e sulle prospettive del settore delle telecomunicazioni in Italia.
La ricognizione della situazione di Telecom Italia non può essere avulsa da tale contesto.
1. Il punto di partenza: gli effetti della liberalizzazione e della regolamentazione
Punto di partenza per una riflessione sullo stato di salute e sulle prospettive del settore delle telecomunicazioni non può che essere la constatazione -sommessa ma non repressa- che il processo di liberalizzazione governato dall’Autorità attraverso l’adozione di
un modello di regolamentazione pro-competitiva ha portato degli straordinari benefici ai consumatori e all’intera collettività.
Nel periodo dal 1998 al 2005, ossia dalla liberalizzazione del mercato ad oggi, i prezzi finali dei servizi di telefonia sono diminuiti del 15%, a fronte di un aumento mediodell’indice generale dei prezzi al consumo del 17%, e di una crescita del 15% dei prezzi del complesso dei servizi di pubblica utilità. In controtendenza rispetto al basso ritmo di crescita dell’economia nazionale nel 2005 -pari solo allo 0,6%-, il settore italiano delle telecomunicazioni ha continuato a svolgere un ruolo propulsivo, con una crescita in valore del 4,3% rispetto all’anno precedente e con un mercato ch’è arrivato a superare i 36 miliardi di euro.
La telefonia mobile, che da due anni ha sorpassato la telefonia fissa, si conferma primo mercato per fatturato (ammontante a 19,6 miliardi di euro, con una crescita del 7,8%); un altro risultato positivo viene registrato dai servizi Internet, con un incremento di
quasi il 20%. Incessante è stato il contributo delle telecomunicazioni alla diffusione di innovazioni che incidono positivamente sulla qualità della vita di tutti i giorni.
La diffusione della concorrenza, guidata dalla mano visibile della regolamentazione, ha pertanto dato, e continua a dare, nelle telecomunicazioni -caso unico tra i settori oggetto di regolazione- un rilevante contributo al contenimento dell’inflazione, alla crescita economica, all’innovazione, e in definitiva al benessere del Paese.
2. Il mutato contesto tecnologico e di mercato
Ma la diffusione della concorrenza non ha mai seguito un processo continuo, completo né tantomeno definitivo.
E’ infatti indubbio che il settore stia attraversando in tutto il mondo un momento di discontinuità in cui rischia di interrompersi il circolo virtuoso che ne ha caratterizzato la recente evoluzione: liberalizzazione, regolazione, concorrenza, discesa dei prezzi,
evoluzione ed innovazione tecnologica, ulteriore crescita del mercato e quindi ancora concorrenza. Alcuni mercati -ad esempio i tradizionali servizi di fonia fissa e mobile- appaiono aver raggiunto un livello vicino alla saturazione; altri non sembrano ancora in grado di prendere il testimone della crescita; esistono poi problemi finanziari connessi alle elevate valutazioni raggiunte dalle imprese di settore nonché da quelle dei singoli asset (si
pensi al prezzo pagato per le licenze UMTS) nella fase dell’espansione della new economy, valutazioni ridimensionate poi in seguito all’implosione della bolla speculativa. Ciò determina una revisione in basso delle aspettative nonché un proporzionato appesantimento del carico debitorio degli operatori (soprattutto gli ex-monopolisti), fattori questi che rischiano di produrre effetti depressivi sugli investimenti, specie quelli in nuove
infrastrutture di accesso a banda larga; così necessari, invece, in questa fase di transizione.
Il mutamento degli scenari di mercato richiede una correzione delle strategie degli operatori verso modelli di business che si basino sull’integrazione dei servizi tradizionali con quelli innovativi a più elevato valore aggiunto e con maggior prospettiva di crescita. E’ il processo, appunto, che prende il nome di convergenza e che ha tante facce, tecnologiche e combinatorie di una gamma di prestazioni. Vengono sempre più offerti pacchetti di servizi
integrati di comunicazione (cd. bundle) che accorpano la fonia fissa, l’accesso broadband ad internet (cd. double play), i contenuti audiovisivi (triple play), fino ad arrivare ai servizi
mobili (quadruple play). Così, ad esempio, alla fine del 2005, Telecom Italia ha lanciato la propria offerta di televisione su protocollo Internet; il servizio si aggiunge a quello di
Fastweb, il primo operatore triple play italiano, e dovrebbe essere seguito, entro la fine del 2006, dal lancio di analoghi servizi da parte di Wind e Tiscali. La tendenza è certamente positiva e questi nuovi servizi dimostrano la dinamicità del mercato delle comunicazioni elettroniche ed il progressivo affermarsi di una vera concorrenza inter-piattaforma che, certamente, porterà benefici ai consumatori finali in termini di nuovi servizi innovativi e
ridotte tariffe.
Peraltro la convergenza presuppone lo sviluppo di nuove infrastrutture a larga banda, le cosiddette reti di nuova generazione, indispensabili per la fornitura di servizi integrati che includono fonia fissa e mobile, accesso ad internet e contenuti audiovisivi. Servono pertanto -come dirò- investimenti per l’adeguamento delle attuali infrastrutture, nella posa e nella
messa in opera di nuove reti in fibra ottica nonché nello sviluppo di reti wireless in tecnologia Wi-Fi e Wi-MAX. E questi investimenti implicano ingenti esborsi economici in spese fisse ed irrecuperabili. Tutto ciò in una fase in cui, come dicevo, in tutto il mondo le imprese telefoniche stanno rivedendo al ribasso le proprie aspettative e devono far fronte ai problemi finanziari derivanti dall’incalzante evoluzione del mercato.
E’ questa una situazione generale che caratterizza tutti i mercati occidentali, ed in particolare quelli europei: dal settembre 2001 ad oggi l’indice borsistico delle società europee di telecomunicazioni ha perso circa venti punti percentuali; in quest’ultimo anno è fortemente calata la valutazione borsistica di imprese quali Vodafone, Deutsche Telekom e France Telecom, anche se ultimamente si intravedono alcuni segnali di ripresa.
In questo contesto è esploso il “nervosismo” degli operatori. In tutta Europa si registra un deciso incremento del contenzioso tra operatori e tra questi ed Autorità nazionali di regolamentazione. Nella precedente fase in cui il gioco era a somma positiva, ossia in cui tutti gli operatori hanno potuto beneficiare di ricavi e profitti in crescita, la conflittualità è rimasta entro livelli di guardia; ora che il gioco è diventato a somma zero, in cui c’è chi
vince ma c’è anche chi perde (e parecchi soldi), i nervi sono scoperti. Un accentuato inasprimento del contenzioso si è registrato, in particolare, in Italia, non solo verso e presso
quest’Autorità e l’Autorità Antitrust ma anche tra gli operatori, sia in sede di giustizia amministrativa sia in sede di giustizia ordinaria, con cause pendenti presso i Tribunali e le
Corti d’appello che hanno dato luogo all’emissione di ripetute pronunzie cautelari.
3. La necessità di una nuova strategia regolamentare ed industriale
Ma è proprio in questo momento che un regolatore non deve perdere il controllo della barra del timone.
E la nostra Autorità è predisposta a governare il cambiamento, anche se non direi proprio adeguatamente attrezzata visto che l’organico risulta largamente sottodimensionato rispetto a quello delle consorelle europee.
La legge istitutiva, con visione lungimirante, ha configurato infatti, fin dal suo nascere, quest’Autorità come un’istituzione “convergente”, con un approccio olistico che abbraccia la regolazione sia del mondo delle telecomunicazioni che di quello dell’audiovisivo. Questo modello viene visto in Europa come un esempio da imitare e ad esso si sono conformate
importanti Autorità, tra cui l’OFCOM.
Decisiva -e più che mai in questo momento- può risultare questa vocazione della nostra Autorità per assecondare la prosecuzione e la ripresa della crescita del settore delle telecomunicazioni in un contesto integrato tecnologicamente e in un ambito concorrenziale:
e sarebbe superfluo ricordare l’importanza che questo settore riveste per l’intero sistema economico e per il futuro della nostra società.
Peraltro, ci sono misure tecniche che pertengono al regolatore; ci sono strategie aziendali che spettano alle imprese, nel rispetto del principio della libertà dell’iniziativa economica privata affermato dall’art. 41 della Costituzione; ci sono temi di politica
industriale, che vanno affrontati in questa alta sede.
Il contributo di valutazioni che io sono qui a portare riguarda, naturalmente, il primo aspetto, ch’è quello di competenza della mia Autorità; ma s’inquadra, inevitabilmente, in una cornice che non può essere ignorata.
4. La situazione di Telecom Italia
Si può capire come, nel contesto di mercato sopra delineato, Telecom Italia, come gli altri operatori ex-monopolisti attivi in Europa, soffra. La società ha lamentato una situazione di “discriminazione inversa” rispetto agli operatori concorrenti, causata, a suo dire, da un eccessivo rigore dell’Autorità
nell’applicazione del quadro delle regole comunitarie.
Va premesso che l’attività di regolazione in una situazione complessa, qual è quella del settore delle telecomunicazioni in Italia, è particolarmente delicata e difficile nella dosatura e nel bilanciamento di misure e contromisure; e noi non pretendiamo certo di avere il dono dell’infallibilità. Ciò premesso, va detto in generale che l’Autorità utilizza strumenti regolamentari in linea con le migliori pratiche europee e vagliati dalla Commissione
europea. Gli strumenti di regolazione sono costantemente oggetto di confronto e armonizzazione nell’ambito dell’organismo che raggruppa 33 Autorità di regolazione europee, l’ERG (European Regulators Group), del quale la mia Autorità assumerà la presidenza nel 2007 (un riconoscimento, questo, importante, dovuto proprio alla qualità
della regolazione di questa Autorità, in un’ottica convergente).
Non ignoriamo che in Europa qualche Stato è incline a regolamentazioni che tengano in particolare considerazione il campione nazionale per consentirgli di affrontare le sfide
mondiali. Questo è un problema da affrontare in sede europea, come dirò appresso. La nostra linea è che l’armonizzazione della regolazione in Europa richiede che gli stessi strumenti regolamentari si applichino in situazioni simili: in altre parole, le eccezioni sono ammissibili solo in circostanze obiettivamente giustificate. Questa linea non è solo nostra: la stessa Commissione europea ritiene distoniche dall’obiettivo comune (che tutti dobbiamo
avere di mira) pratiche regolatorie informate a un diverso indirizzo.
Nella sua audizione del 27 settembre scorso dinanzi a questa Commissione il nuovo Presidente di Telecom Italia prof. Guido Rossi ha osservato che “L’Autorità di garanzia nelle comunicazioni è chiamata ad applicare le regole europee. Lo ha fatto con grande
rigore, addirittura superiore a quello con cui le stesse regole sono state applicate in altri paesi europei”.
In aderenza all’orientamento istituzionale che ho enunciato, noi riteniamo di aver tenuto un appropriato indirizzo regolatorio, come conferma il positivo riscontro generalmente ottenuto dalle nostre determinazioni in sede comunitaria.
Seguendo tale linea guida l’Autorità è intervenuta sui mercati all’ingrosso con misure asimmetriche miranti a consentire agli operatori alternativi di competere con l’operatore dominante, controbilanciandone la notevole forza di mercato. L’Italia è il secondo Paese in Europa per linee passate dal controllo dell’operatore storico ai concorrenti, con 1,6 milioni di linee, e con una tariffa di accesso ch’è la più bassa in Europa e ch’è destinata a ridursi ulteriormente nel prossimo anno.
Che la regolamentazione italiana sia pro-competitiva è dimostrato dalla crescente presenza di imprese estere (inglesi, cinesi, svedesi, egiziane, fondi di investimento internazionali) nel settore nazionale delle telecomunicazioni, con particolare risalto nei servizi di telefonia mobile, nei quali si è realizzato un mercato veramente concorrenziale.
Ma non per questo può ritenersi che Telecom Italia abbia subito una discriminazione inversa.
Le quote di mercato nella fornitura di servizi di accesso (oltre il 90%), e nella larga banda (70%) sono indici di un potere di mercato di Telecom Italia superiore alla media europea. Telecom Italia è, poi, l’operatore che, tra le prime quindici società di
telecomunicazioni in Europa, presenta a tutt’oggi (ossia nel primo semestre 2006), il maggior tasso di redditività operativa (il 24,7% rispetto ad una media del 18,7%). Va peraltro precisato che non grava invece di per sé sul controllo programmato delle tariffe
finali stabilite dall’Autorità il peso del debito degli operatori e in particolare di Telecom Italia.
Una differenza svantaggiosa per Telecom Italia sta piuttosto nel fatto ch’essa, in questi ultimi anni, abbia dismesso buona parte degli asset internazionali della società, determinando un vero e proprio processo di rifocalizzazione sui mercati nazionali, per cui le attività estere di Telecom Italia pesano attualmente per circa il 20% del fatturato a fronte del 42% della media delle prime quindici società europee del settore. Ciò stante, considerate le
quote prevalenti che la società ancora detiene sui mercati nazionali, è chiaro ch’essa non può non risentire della maggiore attenzione cui l’incumbent è, per definizione,
doverosamente soggetto nel mercato di riferimento.
Ma questa è una conseguenza naturale della sua posizione di operatore dominante nei mercati della telefonia fissa, non una situazione di per sé ascrivibile alla regolamentazione
pro-competitiva dell’Autorità.
Alcuni specifici chiarimenti: larga banda e convergenza fisso-mobile
Se questo è il quadro generale, vorrei anche affrontare due vicende specifiche lamentate da Telecom Italia (per la verità dal precedente vertice).
La prima riguarda l’offerta a larga banda, la seconda i servizi integrati fisso-mobile.
Questa Autorità –come dirò ex professo più avanti- è dichiaratamente favorevole al più largo sviluppo della larga banda.
Tuttavia, Telecom Italia ha lamentato un trattamento eccessivamente rigoroso nell’approvazione delle sue offerte a larga banda in tecnologia ADSL. E’ appena il caso di notare che i concorrenti si dolgono dell’esatto contrario e per il tramite della loro
associazione europea di categoria, l’ECTA, hanno avanzato proteste in tal senso. Sono stati anche presentati dagli operatori ricorsi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
Questo a riprova di quanto complessa sia la gestione di tali situazioni.
Come si è mossa l’Autorità? L’Autorità ha operato un bilanciamento di interessi egualmente meritevoli di tutela: quello di Telecom Italia (e dei consumatori) di poter lanciare sul mercato, già nell’immediato, il nuovo servizio e quello dei concorrenti (e
sempre dei consumatori) di poter replicare le offerte dell’incumbent, concorrendo così a un sostenuto e diffuso sviluppo del nuovo servizio.
Precisamente, riguardo all’offerta ASDL di seconda generazione (la cosiddetta ADSL 2+) sta di fatto che la prima versione dell’offerta è stata presentata da Telecom con l’annuncio della società dell’intenzione di avviare l’offerta commerciale entro il successivo
febbraio 2006. Nel corso delle prime interlocuzioni su tale offerta, gli uffici hanno subito prospettato, come prassi in questi casi, l’impossibilità di approvare l’offerta al dettaglio per
la mancanza di una corrispondente offerta all’ingrosso.
Successivamente, verso fine febbraio 2006, a seguito del confronto con gli uffici, Telecom Italia si dichiarava disponibile a predisporre a favore dei concorrenti un’offerta attraverso cui anche questi ultimi fossero in grado di rivendere il servizio finale ai propri utenti. Nel mese di marzo 2006, Telecom ha quindi presentato le condizioni tecniche ed economiche, che sono state approvate dall’Autorità in data 12 aprile.
La seconda vicenda su cui è opportuno un chiarimento riguarda il lancio del cosiddetto telefono unico fisso-mobile, che integra le tecnologie UMTS/GSM e WI-FI.
L’offerta è stata presentata all’Autorità all’inizio di maggio 2006.
Nell’illustrarla Telecom Italia si era dichiarata disponibile a formulare condizioni all’ingrosso del servizio per gli operatori concorrenti di rete fissa e mobile, idonei a evitare che il nuovo servizio costituisse una barriera insuperabile per la concorrenza.
Si tratta, invero, di un servizio innovativo le cui potenzialità andranno verificate alla prova del mercato e per il quale il numero di terminali disponibili risulta tuttora insufficiente per una fornitura di massa.
Sulla scorta di tali indicazioni l’Autorità ha approvato il 2 agosto le condizioni per l’avvio del servizio per 6 mesi, con un limite massimo di 30.000 clienti in tale periodo, e con invito a Telecom Italia a concludere negoziazioni con gli operatori fissi e mobili per la fornitura dei servizi all’ingrosso necessari per replicare l’offerta.
Peraltro, diversamente da quanto riportato sulla stampa, l’Autorità non ha previsto l’obbligo di conclusione di accordi con operatori mobili virtuali (MVNO/ESP)1 in ordine al rilascio dell’autorizzazione definitiva, riservandosi semplicemente di verificare l’effettiva conclusione delle negoziazioni necessarie per rendere replicabile l’offerta Telecom.
1 (MVNO: Mobile Virtual Network Operator; ESP: Enhanced Service Provider)
All’esito dell’analisi del mercato sui servizi di originazione da rete mobile (mercato n. 15), l’Autorità ha confermato l’impostazione seguita fin dal 2000 (delibera 544/00/CONS), decidendo di non imporre agli operatori mobili italiani l’obbligo di fornire accesso ad eventuali operatori virtuali, ma segnalando -al contempo- come l’ingresso sul mercato di questi ultimi, a seguito di accordi commerciali, potesse contribuire alla discesa
dei prezzi finali.
Ad oggi il solo accordo di cui si ha evidenza è quello tra TIM e Coop, anche se altri sono in corso di definizione.
6. I nuovi scenari e la separazione della rete
Dall’esposizione svolta può evincersi, a nostro avviso, che l’Autorità ha sempre tenuto correttamente la barra sulla rotta istituzionale, senza sbandamenti di sorta. Lo svantaggio di cui Telecom risente è quello -ineludibile- della puntuale regolazione alla quale è sottoposto l’operatore che ha il dominio della rete.
Questo svantaggio è divenuto via via più avvertibile col diminuire dei profitti derivanti dalla telefonia fissa e da quella mobile. Nel contempo, come ho detto, l’avvento delle reti di nuova generazione, tutte basate sul protocollo internet, rende sempre meno
utilizzabili gli strumenti consueti e mal tollera l’impaccio dei tradizionali vincoli. A tutt’oggi le regole comunitarie (e di conseguenza quelle nazionali) mirano a correggere quelle strozzature (cd. bottlenecks) competitive che si creano sulle reti esistenti. Il problema delle nuove reti è invece quello di definire regole per lo sviluppo futuro delle infrastrutture e quindi del settore. Occorre che la cosiddetta variabile regolatoria sia tenuta in conto nella progettazione di queste reti. Le architetture devono essere aperte, soprattutto per quanto riguarda il segmento dell’accesso, e devono garantire l’effettiva parità di trattamento a tutti i soggetti presenti sul mercato.
Questa intuizione è alla base della Communication Review dell’OFCOM, il regolatore britannico, che ha portato ad una effettiva separazione funzionale della rete di accesso dell’operatore incumbent, British Telecom, in una divisione separata denominata OPENREACH, caratterizzata da una gestione indipendente, sia nella definizione del board di controllo sia nella determinazione degli aspetti di incentivazione del management.
Nell’incontro con i rappresentanti di OFCOM avvenuto a Roma nei giorni 20 e 21 aprile 2006, abbiamo approfondito questo modello, al quale per suo conto e di sua iniziativa risultava che Telecom avesse rivolto la propria attenzione; peraltro, a un livello di esame assolutamente preliminare.
Si tratta indubbiamente del modello più evoluto che ci sia in Europa, al quale quindi – seguendo il metodo delle best practices, dimostratosi così utile per il miglioramento e il progressivo avvicinamento delle regolazioni delle varie Autorità nazionali- appare opportuno guardare, pur tenendo conto delle particolarità di ciascun Paese.
E’ stato per questo che nella mia Relazione al Parlamento del 20 luglio scorso ho pubblicamente rivolto a Telecom Italia l’invito a “fare un passo avanti sulla strada della separazione tra servizi regolati e non regolati, agendo sulla funzione di governance e di
controllo indipendente”, e soggiungendo che “l’esperienza internazionale mostra che questo percorso è più efficace quando l’operatore stesso prende impegni vincolanti”.
A questo riguardo la legge Bersani, prevedendo la sanzionabilità della inottemperanza agli impegni assunti dinanzi all’Autorità, ha ora accresciuto l’ambito di applicazione e l’incisività dei nostri poteri.
L’invito ha incontrato buona accoglienza nel mondo delle telecomunicazioni, nel quale è stato generalmente anche condiviso il giudizio, da me espresso, che la maggiore trasparenza che ne sarebbe risultata sarebbe valsa altresì “a togliere asprezza al contenzioso ingeneratosi, hic et inde, tra l’operatore dominante e gli operatori alternativi”.
A questo appello ha dato un’esplicita risposta il Presidente Guido Rossi nell’incontro che il Consiglio di questa Autorità ha avuto con i vertici di Telecom Italia il giorno 20 settembre; risposta poi rilanciata pubblicamente dal Presidente Rossi nella sua audizione del 27 settembre scorso, dinanzi a questa Commissione, nella quale ha dichiarato che il Consiglio di amministrazione di Telecom Italia “ha deliberato il percorso verso la creazione
di una società separata che contenga la rete di accesso” e che “in questo modo la trasparenza garantita al regolatore sarà massima: le transazioni con il resto di Telecom Italia entreranno nei cicli di fatturazione e saranno esposte nei bilanci. Nella definizione dei contorni di questa nuova società, così come nel recepimento delle altre indicazioni che l’Autorità ci vorrà dare, il nostro atteggiamento sarà improntato al massimo spirito di collaborazione con il regolatore”.
Abbiamo quindi iniziato a lavorare concretamente nella direzione di una effettiva separazione funzionale delle attività chiave della rete fissa per garantire parità di trattamento nelle reti di nuova generazione, costituendo, lo stesso giorno 27 settembre, una task force che funga da interfaccia tecnica con Telecom approfondendo le ipotesi regolatorie da sottoporre poi all’esame del Consiglio.
Sarà un percorso lungo e complesso (durerà almeno 12 mesi) ma faremo di tutto per comprimere i tempi. Capisaldi della separazione sono l’equality of access – ossia l’eguaglianza di tutti gli operatori, compresa la divisione commerciale di Telecom Italia,
nell’accesso alla rete locale dell’incumbent – e quindi la replicabilità dei servizi, nonché l’incentivazione agli investimenti per il miglioramento delle infrastrutture trasmissive. In questo contesto, tutti gli operatori, in primis Telecom Italia, saranno più liberi di operare, investire e competere, a parità di condizioni, nei mercati a valle dell’offerta di servizi integrati di comunicazione agli utenti finali.
Non sembra che abbiano ragion d’essere alcune preoccupazioni che sono state adombrate a tal riguardo. La nuova organizzazione e le correlative misure regolatorie non avranno di per sé effetti deprimenti né sulla capacità competitiva né sulla forza finanziaria
di Telecom Italia: vorrei evidenziare che British Telecom -che, come detto, è stato sottoposto alla medesima misura regolamentare- è l’unico tra i grandi carrier europei il cui titolo borsistico si è apprezzato nel corso dell’ultimo anno. Inoltre, la separazione funzionale dell’ultimo miglio appare essere il solo modo -specialmente in Italia in cui l’intero settore dipende dalla rete di accesso dell’incumbent- per assicurare la tutela della concorrenza e, al contempo, promuovere gli investimenti nelle reti.
Continuare con il “vecchio” approccio di estrema parcellizzazione dei mercati da regolare, vorrebbe dire non tener conto dell’evoluzione tecnologica e di mercato; imboccare una nuova strada di deregulation a favore del campione nazionale (secondo la tentazione che serpeggia in qualche Paese) rappresenterebbe un passo che ci farebbe tornare indietro di dieci anni sul piano della trasparenza e della concorrenza. In entrambi i casi si avrebbero
effetti negativi per i consumatori, per la produttività dell’incumbent e dell’intero settore e soprattutto per la tenuta del nostro sistema economico.
7. Le nuove prospettive: le reti per la larga banda
La mia esposizione non sarebbe completa se non toccasse anche altri due argomenti: il ruolo che la larga banda può svolgere per lo sviluppo economico del Paese e l’esigenza di una regolamentazione quanto più possibile omogenea in Europa.
Nella larga banda la situazione d’incoraggiante ripresa dello scorso anno, per la quale abbiamo abbandonato i posti di coda in Europa, registra in questi ultimi mesi un rallentamento.
Gli ultimi dati inducono a riflettere: nonostante veniamo da due anni di crescita sostenuta, ben al di sopra di quella degli altri maggiori Paesi europei, in cui i prezzi sono calati arrivando a livelli di best practice, la penetrazione della larga banda (pari a circa il 13%) rimane sotto la media europea (superiore al 14%), aggirandosi sui 7,5 milioni di utenti. Questo ritardo ha origini di carattere strutturale, che prescindono in parte da valutazioni di ordine concorrenziale e regolamentare. Nel nostro Paese, la diffusione dei servizi a larga banda incontra delle limitazioni dovute, da un lato, al basso livello di diffusione dei mezzi informatici nella popolazione italiana e, dall’altro, a problemi
infrastrutturali che riducono significativamente l’ambito effettivo e potenziale di diffusione del servizio.
Siamo in una situazione di ritardo strutturale a cui il Paese deve assolutamente trovare un’adeguata risposta, facendo un ulteriore sforzo, uno scatto di reni, per raggiungere e superare il treno europeo.
La larga banda cambia infatti il paradigma produttivo ed ha riflessi, come ho avuto modo di dire nella relazione al Parlamento, anche sullo sviluppo del sistema scolastico, dei rapporti fra lo Stato fornitore di servizi ed il cittadino, del “colloquio” tra fornitori e produttori nella gestione commerciale della clientela. La modesta crescita economica del nostro Paese rende ancor più necessaria e urgente la modernizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni mediante la diffusione della larga banda.
La regolamentazione non può che essere orientata in tal senso. L’Autorità farà tutto il necessario per consegnare al Paese una soluzione regolamentare all’avanguardia nel mondo.
Tuttavia, in questo campo la regolamentazione non è sufficiente. I problemi strutturali non si risolvono nemmeno con la separazione societaria o funzionale della rete di Telecom Italia. Il Paese non può dipendere da una sola infrastruttura di comunicazione.
L’Italia ha perso l’opportunità della cablatura del territorio per non aver compreso che, come nelle grandi infrastrutture di trasporto, nelle telecomunicazioni occorrono una visione di lunghissimo periodo ed opportune politiche pubbliche di sostegno. La dipendenza dal doppino in rame rende il sistema nazionale debole. Infatti in prospettiva, con la diffusione dei servizi convergenti, la rete in rame è destinata, in particolare negli aggregati urbani, a subire rilevanti problemi di saturazione connessi all’interferenza che si crea a livello di centrale.
L’opportunità è ora rappresentata dalla fibra ottica e dall’avvento delle nuove tecnologie wireless (il Wi-MAX in particolare). In questo quadro, lo sviluppo di infrastrutture a larga banda ibride -fibra ottica nei centri urbani, Wi-MAX nelle aree rurali-
potrebbe soddisfare, da un lato, la necessità di alleggerire l’occupazione della rete in rame, dall’altro l’esigenza d’introdurre una pressione concorrenziale anche nelle reti per la
fornitura di servizi broadband di accesso.
Serve il contributo di tutte le istituzioni, a cominciare dalle amministrazioni locali che rappresentano il primo collo di bottiglia nella condivisione di cavidotti e nella costruzione di reti di accesso a larga banda, sia per le autorizzazioni che spetta ad essi rilasciare per i lavori di scavo e per l’occupazione del suolo, sia perché in taluni casi vi è commistione fra amministrazione e gestione. Occorre che tutti gli operatori dispongano di un catasto dettagliato per poter operare scelte consapevoli.
Va valutato positivamente il contributo assegnato dal Governo nel disegno di legge per la legge finanziaria 2007 (articolo 121) alle infrastrutture per la larga banda. Va nella giusta direzione. Ma certamente non basta. Occorre, come dicevo, fare uno salto di qualità.
In questo contesto è inaccettabile il ritardo nella diffusione del Wi-MAX, dipendente dal continuo differimento nella messa a disposizione della relativa banda di frequenza da parte dell’attuale detentore. Il Wi-Max, a differenza del Wi-Fi il cui segnale si estende fino a qualche centinaio di metri dall’antenna, si spinge fino a 100 chilometri e può dunque consentire la copertura di ampie zone del territorio nazionale a prescindere dalle condizioni orografiche e della densità della popolazione.
Il sistema inoltre è molto più economico e pratico da implementare poiché non richiede il costoso processo di cablatura per far passare cavi e fibre ottiche e garantisce una copertura omogenea anche nelle aree geografiche più remote o svantaggiose dal punta di
vista orografico. Ribadisco quindi l’auspicio, già espresso in Parlamento nel luglio scorso, che il Governo, assecondando l’impegno del Ministro Gentiloni, sblocchi finalmente questa
situazione, consentendo l’assegnazione delle frequenze Wi-MAX agli operatori. L’Autorità farà la sua parte stabilendo subito le regole di assegnazione delle licenze. Il ricavo di tali assegnazioni potrà valere a tenere indenne da pregiudizi l’attuale detentore.
Siamo in un’epoca in cui da più parti si lamenta la mancata individuazione di missioni nazionali che accomunino le sorti e le speranze dei cittadini. Penso che la creazione di nuove autostrade dell’informazione a larghissima banda, con tutte le implicazioni economiche e sociali ad essa connesse (anche in termini di risoluzione dei problemi di digital divide), possa rappresentare una missione in cui tutto il Paese vorrà riconoscersi.
8. La dimensione europea dei problemi ed il ruolo dell’Autorità
Il ruolo delle singole Autorità nazionali si è dimostrato fondamentale per il regolato sviluppo del settore delle telecomunicazioni. Si tratta di una funzione delicatissima che va
svolta in modo neutrale rispetto alle diverse iniziative che la tecnologia consente di sviluppare su molteplici piattaforme, per un equilibrato assetto di mercato che contemperi l’iniziativa imprenditoriale, l’innovazione tecnologica, la concorrenza, gli interessi dei consumatori.
In quanto neutrale, la funzione di regolazione va svolta in posizione di indipendenza dal Governo. Le Autorità indipendenti sono state invero istituzionalmente concepite come non soggette alla sovraordinazione del Governo. La direttiva 2002/21/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, recepita con d.lgs n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni), afferma che, in conformità al principio della separazione delle funzioni di
regolamentazione dalle funzioni operative, gli Stati membri sono tenuti a garantire l’indipendenza delle Autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l’imparzialità delle loro decisioni.
Il che non significa, ovviamente, che le Autorità possano essere autoreferenti. Ci mancherebbe altro. Dobbiamo rispondere all’opinione pubblica, dobbiamo riferire al Parlamento, ch’è la massima sede rappresentativa del Paese, dobbiamo commisurare e
confrontare gli indirizzi e gli esiti della nostra azione regolatrice con quelli delle altre Autorità europee.
Un’utilissima sede d’incontro, una fucina collettiva per l’elaborazione tecnica di regole omogenee, è rappresentata dall’ERG, cioè dal gruppo dei Regolatori europei.
La dimensione europea è la scala geografica e istituzionale più adeguata per tecnologie che forniscono servizi genuinamente transnazionali. In un momento in cui le imprese di questo settore tendono ad internazionalizzarsi, rappresenterebbe una inversione di rotta attestarsi su particolarismi nazionali. Sarebbe -se mai potesse essere- un indirizzo che porterebbe a una diminuzione del benessere sociale della collettività ed a un danno per il
sistema economico del Paese e dell’intera Europa; sarebbe -ancor prima- un indirizzo che la normativa europea non consente. Nelle telecomunicazioni il primato della disciplina comunitaria di settore è infatti assoluto. Le direttive comunitarie, a norma dell’articolo 117 della Costituzione, sono un vincolo invalicabile per il legislatore. Da questa considerazione di ordine giuridico discende la necessità che il nostro Paese sia ben presente nella fase ascendente della formazione del diritto comunitario. Ciò a maggior ragione in un momento di svolta importante, in cui la Commissione europea ha avviato la revisione delle direttive
comunitarie di settore (la cd. review 2006).
E’ opinione dell’Autorità che il vigente quadro si sia dimostrato complessivamente adeguato al perseguimento degli obiettivi di diffusione della concorrenza, di stimolo agli
investimenti e all’innovazione tecnologica e di protezione dei diritti dei consumatori. Le evidenze dell’ultimo (l’11°) Rapporto della Commissione europea sulla liberalizzazione del settore (riprese dalla stessa Comunicazione del 29 giugno u.s.) confortano, anche e soprattutto a livello nazionale, tale opinione, sia in termini di sviluppo della concorrenza, sia in termini di crescita degli investimenti. La Commissione ha infatti sottolineato il ruolo
leader dell’Italia nella telefonia mobile e nell’unbundling, evidenziando l’importanza delle misure pro-competitive adottate dall’Autorità: siamo all’avanguardia nel mondo per diffusione dei servizi di telefonia mobile di terza generazione (UMTS), per il lancio commerciale della televisione in mobilità (con tecnologia DVB-H) nonché per l’offerta di servizi televisivi su computer (IP TV).
Il che non significa che non vi sia spazio e necessità per miglioramenti ed adeguamenti delle norme europee alle prevedibili evoluzioni dei prossimi anni. Occorre peraltro procedere ad adeguamenti mirati, basati sull’esperienza applicativa della vigente
normativa. L’esigenza di evitare uno stravolgimento del contesto normativo risponde anche a esigenze di stabilità e prevedibilità dello stesso, a tutela degli investimenti effettuati degli
operatori.
In questo quadro sta maturando in seno all’ERG una nuova forma di coordinamento dei Regolatori nazionali che, salvaguardando la qualificazione e l’esperienza da essi maturate sul campo e l’aderenza delle regole alle dinamiche di mercato nazionali, fornisca nel contempo le linee-guida e gli indirizzi strategici alla cui stregua vadano coordinati i comportamenti delle singole Autorità, evitando distorsioni dell’ottica comune. Penso a una
forma organizzativa snella, non burocratizzata, interna al sistema delle Autorità indipendenti, che eviti sovrapposizioni eteronome (quali si avrebbero anche nell’ipotizzato caso d’intervento della Commissione europea sulle decisioni delle Autorità regolatrici).
Evoluzione delle regole europee, uniformazione delle regolazioni, convergenza e reti di nuova generazione: sono questi i capisaldi del programma di lavoro dell’anno di presidenza italiana dell’ERG, obiettivi che corrispondono ad una visione comune europea,
stimolando la competizione e l’innovazione nel settore delle telecomunicazioni -che, non dimentichiamolo, è il settore trainante dell’economia europea-, senza localismi e distonie di sorta: in un mercato comune che i nostri padri hanno voluto unitario per la circolazione delle merci e dei lavoratori, il settore delle telecomunicazioni, per la naturale non confinabilità delle sue tecnologie, è quello che meno di ogni altro tollera barriere
geografiche e amministrative.
Corrado Calabrò