La passata settimana ha segnato tre importanti eventi che, in un modo o nell’altro, incideranno sul settore televisivo italiano.
Il primo: il ko dei tavoli tecnici dell’AT3 DTT, voluto da emittenti locali logorate da un governo e da un’autorità che le ha trattate come pezze da piedi, prima dando o poi strappando frequenze per rimpinguare le già tumide reti nazionali. Il secondo: la politicamente inopportuna iniziativa del viceministro al MSE Paolo Romani (pluriannunciato prossimo ministro), che a fine agosto, in tempi record, ha accolto la richiesta di Mediaset di utilizzare, per testare l’HD nelle aree digitalizzate, la migliore frequenza del dividendo (il canale 58, numero a cui il premier è particolarmente affezionato, avendo segnato il suo fortunato ingresso nell’etere). Il terzo: l’inatteso, enorme, successo del TG7 del bravo Enrico Mentana (che sta togliendo il sonno a Minzolini e a Mimun), sintomatico di un ineluttabile distacco dei telespettatori dall’omofona campana informativa nazionale. Quella di chi, come ha scritto un lettore di queste pagine, considera l’Italia come “una delle sue aziende”. “E nemmeno la più importante”.