Roma – Chi ricorda quell’indagine che nel febbraio del 2006 ha coinvolto qualcosa come 180 centri commerciali italiani sul fronte delicatissimo della diffusione in pubblico di musica? Una vicenda clamorosa, senza precedenti nel nostro paese, e legata all’offensiva dell’industria di settore che riteneva di dover riscuotere i cosiddetti diritti connessi sulla musica diffusa in quei locali. Ma si sbagliava.
Il GIP che ha seguito il caso, infatti, assunte tutte le prove e verificati i fatti ha deciso di archiviare il procedimento in quanto non solo non vi è stata violazione delle norme sul diritto d’autore da parte della società, PubliVale srl, che forniva gli strumenti di diffusione della musica ai supermercati, ma anche perché quella normativa in un caso di questo tipo dimostra tutta la sua ambiguità rivelandosi di difficile interpretazione.
Come noto la Società Consortile Fonografici (SCF) da lungo tempo esegue la raccolta dei diritti connessi presso molte diverse realtà, commerciali in primis, ed è proprio su quel genere di diritti, associati alla diffusione delle opere in pubblico, che ci si è mossi nel caso di PubliVale.
In una nota, i legali spiegano che il GIP di Milano Luca Pistorelli, ha archiviato il caso contro PubliVale con una ordinanza ad hoc. “Nel febbraio 2006 – ricostruiscono gli avvocati dell’azienda – la Guardia di Finanza di Modena aveva sequestrato alla stessa società i server contenenti i brani musicali che venivano diffusi negli esercizi commerciali in tutta Italia, contestando il mancato pagamento dei diritti SIAE e SCF. Ad un anno di distanza, il GIP ha dichiarato infondate le accuse, adducendo motivazioni tecnico-giuridiche che faranno discutere”.
Già, perché il magistrato non solo ha sottolineato come gli indagati abbiano agito in buona fede ma anche che l’errore “è provocato dallo stesso ambiguo comportamento di SIAE e SCF e dall’obiettiva incertezza sull’esatta interpretazione della normativa di settore”.
A proteggere ulteriormente la posizione di PubliVale anche il fatto che gli eventuali diritti musicali non pagati alla SIAE non potevano essere ascritti all’azienda, che si limitava a fornire un servizio tecnico, quanto ai singoli locali in cui la musica veniva effettivamente diffusa. Se così non fosse, spiega il GIP, “la stessa tassa (quella già pagata da PubliVale in primis per l’acquisto di musica, ndr.) sarebbe pagata due volte, una delle quali senza causa”. Va detto infatti che PubliVale non cede i file musicali ai clienti, ma si limita ad eseguire una cosiddetta copia tecnica dei fonogrammi regolarmente acquistati “con contestuale assolvimento dei diritti SIAE comprensivi anche della percentuale destinata al pagamento dei diritti connessi”.
“Resta il fatto – sottolineano gli avvocati di PubliVale – che, ancora una volta, l’attuale normativa sul diritto d’autore e diritti connessi si è dimostrata farraginosa e inadeguata per regolamentare le nuove forme di business musicale rese possibili dall’innovazione tecnologica”.
Difficile in questa fase capire fino a che punto l’ordinanza del GIP sia destinata ad impattare sulle attività di riscossione di SCF e SIAE, quel che è certo è che rappresenta un ulteriore stimolo per aggiornare una normativa obsoleta alle nuove modalità e ai nuovi mercati.