Il Natale 2006 nel settore radiofonico italiano sarà ricordato certamente per il coup de théâtre relativo alla vicenda Play Radio. I lettori più attenti di questo periodico ricorderanno che a metà dicembre avevamo informato della possibile intenzione del gruppo RCS di disimpegnarsi da un settore nel quale il gruppo editoriale era entrato da poco tempo e, secondo alcuni, senza particolare convinzione. La notizia non colpì i più, che ne considerarono la probabilità attesa la genesi della vicenda Play Radio, che di seguito sinteticamente tracciamo. L’occasione per portare a compimento un progetto radio già ipotizzato nel 1999 – allorquando RCS avviò trattative che arrivarono vicinissime alla conclusione per acquisire una quota di minoranza del capitale della milanese Finelco (corsi e ricorsi storici, direbbe il filosofo napoletano Vico…), società editrice delle emittenti nazionali Radio 105 e RMC – si presentò con l’acquisizione dal gruppo de Il Sole 24 Ore, già editore di Radio 24, dell’emittente RIN (ex Italia Network), che il quel momento aveva vissuto un interessante sviluppo editoriale. Anziché coltivare il formato e sviluppare le già buone performance di RIN, a RCS pensarono ad un prodotto editoriale totalmente differente, dando così accesso alle più astruse supposizioni di mercato; tra di esse, quella che più sembrava fondata pareva essere il progetto di una radio “all sport” che il chiacchiericcio aveva già battezzato come “Radio Gazzetta” (dello Sport). Invece, dopo una complessa gestazione, RCS partorì il (poco convincente) marchio Play Radio, che avrebbe dovuto caratterizzare un nuovo layout, il quale, invero, apparse subito scarsamente delineato, lasciando perplessi analisti ed operatori e, di seguito, pure il pubblico, che sembrò poco propenso a premiarla in termini di ascolto. A complicare il tutto, contribuì una grana tecnica pesantissima con la Confederazione elvetica (la nota vicenda Castel San Pietro, di cui molto abbiamo parlato su queste pagine), che, attivando una isofrequenza su area di confine italiano con l’impianto principale dell’emittente RCS per la pianura padana (104,5 da Valcava), ne sinistrò la sintonizzazione in aree demografiche e commerciali rilevanti (tra cui Milano), così certamente contribuendo a rendere difficile l’imposizione del nuovo prodotto.
L’aver, di fatto, non sufficientemente contrastato la difficile fruibilità delle trasmissioni su un’area fondamentale per il mercato radiofonico come quella milanese, concorse ad appannare la già velata immagine di Play Radio. Non crediamo di essere una voce solitaria nel sostenere che la decisione del direttivo della RCS di privilegiare le acquisizioni frequenziali in zone d’Italia che, seppur importanti, avrebbero apportato benefici commerciali ed editoriali certamente inferiori rispetto alla ricerca di una rapida soluzione per il citato problema (acquisendo velocemente un impianto sussidiario su Milano), sia stata un gravissimo errore strategico.
La ridda di voci su ufficiosi dati d’ascolto poco entusiasmanti, alimentò nella tarda primavera di questo anno i rumors circa una riflessione in corso negli alti piani della RCS che, si disse, aveva dato inizio a trattative per valutare la cessione dell’emittente. I pettegolezzi davano per accreditato nelle negoziazioni il gruppo Mondadori, che, invero, non aveva mai nascosto l’intenzione di affiancare alla ancora debole R101 una o due stazioni per il completamento dell’offerta editoriale e commerciale.
Tra smentite e nuove indiscrezioni, si giunse così al corrente dicembre, quando con un colpo di scena, il 21/12/2006 il sito Dagospia diede notizia dell’avvenuta acquisizione da parte del citato gruppo Finelco, controllato da Alberto Hazan, di Play Radio. L’annuncio diede impulso ad una impressionante serie di nuove congetture. Nell’arco di poche ore si disse di tutto: Hazan avrebbe lanciato una nuova emittente completamente diversa da quelle (già) esistenti; anzi, no: avrebbe fatto risorgere Italia Network, colmando il vuoto di una radio dance; contrordine: Finelco avrebbe concretizzato il sogno di RMC2, prodotto che aveva dato ottimi risultati di ascolto nelle poche aree geografiche dove era stata distribuita, così da farla ritenere adatta alla sostituzione del mai affermato logo Play Radio. Sennonché, poche ore dopo il lancio di Dagospia, un comunicato stampa congiunto di RCS Mediagroup e Finelco ebbe a ridurre la portata della questione alla sottoscrizione di una lettera d’intenti (non vincolante) dove i due gruppi editoriali ponevano le basi per una sinergia non meglio definita. Il testo del comunicato in verità poco lasciava trasparire circa i confini dell’affare: “Nell’ambito dello sviluppo multimediale e di consolidamento delle attività del settore radiofonico, Rcs MediaGroup, cui fa capo Play Radio, e i soci del gruppo Finelco hanno sottoscritto in data odierna una lettera di intenti non vincolante volta a verificare la possibilità di una partnership strategica ed operativa che prevede una integrazione delle rispettive attività nel settore radiofonico, la cui realizzazione porterebbe i due Gruppi a posizionarsi tra i maggiori operatori radiofonici nazionali”. La precisazione (le smentite fanno parte delle regole dei giochi, in questi casi…), in realtà, lungi dal quietare le acque le mosse ulteriormente: “Finelco cede il 30% delle quote a RCS a fronte del conferimento dell’attività radiofonica nazionale di questa ultima”, scrisse qualcuno. Qualcun altro banalizzò che si trattava di un film già visto, richiamandosi alla joint venture del 1999 di cui abbiamo detto in apertura; altri invece salutarono anzitempo la costituzione di un supergruppo radiofonico. Il 2007 chiarirà gli effettivi ambiti dell’operazione. Per parte nostra, siamo convinti che questa volta Alberto Hazan faccia sul serio. I competitors farebbero bene a preoccuparsi: sulla creatività editoriale di quelli di Largo Donegani nessuno può dissentire; sulla bontà delle produzioni il coro è unanime (Radio 105 e RMC – ma anche RMC2 e 105 Classics – vantano ascolti di tutto rispetto, nonostante un’illuminazione deficitaria rispetto a quella di molti concorrenti); l’agilità commerciale di 99 Pubblicità – vera macchina da guerra nella radiofonia nazionale – è una certezza ed anche (e soprattutto) sul fronte tecnico il gruppo editoriale negli ultimi anni ha dimostrato di saper elaborare e concludere strategie di ottimo livello. Insomma, le premesse per un nuovo anno ricco di sorprese ci sono tutte.