Secondo i dati riportati dalla “Novaya Gazeta”, uno dei quotidiani russi più blasonati, sono 212, dal 1992, i giornalisti uccisi o morti in circostanze misteriose, in Russia. Si tratta di un fenomeno apparentemente inspiegabile, molto più chiaro se visto in un’altra ottica. L’ultimo giornalista trovato morto si chiamava Ivan Safronov, aveva 51 anni, ed era un ex militare, esperto in questioni missilistiche, cronista per il quotidiano d’opposizione “Kommersant”. Il direttore della testata presso cui lavorava Safronov, Andrej Vassilyev, ha commentato così la sua scomparsa: “Per qualche ragione sono i giornalisti invisi al potere a morire in questo paese”. Ed, in effetti, parrebbe proprio così. Safronov era certamente un giornalista inviso al potere, era già stato più volte interrogato dagli agenti dell’Fsb (il nuovo Kgb), in quanto, il suo passato di colonnello nelle forze missilistiche lasciava presagire la possibilità che egli potesse avere accesso a notizie riservate. Il giornalista se l’era sempre cavata e, grazie alla sua trasparenza, era sempre riuscito a dimostrare (nonostante la forte ostilità dei servizi segreti) la provenienza pubblica delle sue informazioni. Era stato anche uno strenuo detrattore della politica militare russa, raccontando, dalle pagine del suo giornale, del flop del missile intercontinentale Bulova, atto a contrastare eventuali iniziative spaziali americane. Safronov è morto lo scorso venerdì, volato fuori da una finestra del palazzo dove risiedeva, a Taganka, nella periferia nord ovest di Mosca. La polizia russa ha subito rilasciato una versione ufficiale sull’accaduto: si tratta di suicidio. Un suicidio apparentemente immotivato: nessuna crisi personale, economica, lavorativa; niente di niente. Safronov è stato ritrovato riverso sul ciglio della strada, in direzione di una finestra del palazzo in cui abitava; addosso portava un vestito con giacca, soprabito e cappello, nonché una busta di mandarini appena acquistati. Il “volo”, data la posizione del cadavere, pare essere avvenuto come un tuffo e non come un salto, cosa che fa dubitare del suicidio; gli esami tossicologici non hanno rilevato alcol o droghe nel sangue della vittima, gli inquirenti non hanno ritrovato lettere, testamenti o quant’altro potessero lasciar pensare ad un addio programmato. Altra curiosità, il giornalista dovrebbe essersi (o essere stato) lanciato dalla finestra di un appartamento che si trova due piani sopra il suo, nello stesso palazzo. Si sta vagliando anche un’altra strada, che parla di “istigazione al suicidio”: ma da parte di chi? Intanto, giornalisti ed intellettuali, così come tanta gente comune, sono convinti che anche questo caso, come tanti, come altri 211 almeno, resterà irrisolto, o avrà una soluzione “di ripiego”, non lampante, non trasparente. Così come per Anna Politkovskaya, e, precedentemente, per Paul Klebnikov (ex direttore di un periodico locale dell’opposizione, ucciso da una decina di pallottole alcuni anni fa), Yurij Shekachikhin (ex vicedirettore della “Novaya Gazeta”, quotidiano su cui scriveva la Politkovskaya, morto avvelenato), e tanti, tanti altri, non si saprà mai, realmente, ciò che è accaduto, chi sono i reali responsabili e perché hanno compiuto questo genere di ferocia. Ma si sa una cosa, purtroppo, “sono i giornalisti invisi al potere a morire in questo paese”, e questa è una tragica ma incontestabile realtà. “Non era certo un tipo da andarsene di sua spontanea volontà il nostro Ivanych”, ha scritto in sua memoria (e nella speranza di smuovere qualche coscienza) il direttore del “Kommersant”, il giorno dopo il presunto suicidio. (Giuseppe Colucci per NL)