L’art. 61, comma 1, lettera c) del Decreto legge n. 69 in data 21 giugno 2013 (cosiddetto decreto “del Fare”) riduce lo stanziamento previsto per le misure di sostegno annuali per l’emittenza televisiva e radiofonica locale (che compete per l’85% alle tv locali e per il 15% alla radiofonia) di 19 milioni di euro per l’anno 2013 e di 7,4 milioni di euro per l’anno 2014.
Ovviamente la decisione ha allarmato gli operatori radiotelevisivi e, tra questi, soprattutto quelli per cui il supporto contributivo statale costituisce (o sarebbe meglio dire, costituiva) una parte rilevante dei ricavi. Naturalmente non si tratta di una notizia inattesa: la decisione governativa era nell’aria e, per certi versi, inevitabile. Scontate, quindi, le reazioni di protesta – peraltro flebili – dei deboli sindacati di categoria. Aeranti-Corallo, ad esempio, auspica un (a dir poco) improbabile ripensamento. Il suo coordinatore, Marco Rossignoli, ha infatti diffuso un comunicato che sembra più un atto dovuto che un’iniziativa ispirata da un vero convincimento: “Il settore radiotelevisivo locale è molto deluso dalla suddetta scelta governativa. Infatti – prosegue Rossignoli – mentre il settore radiotelevisivo locale sta affrontando un periodo di fortissima crisi derivante dalla recessione in atto, il Governo, con il decreto del Fare, ha ridotto ulteriormente i contributi statali per il settore, senza, peraltro, prevedere, come da tempo richiesto dal comparto, alcuna misura per la ripresa del mercato pubblicitario. Occorre considerare – aggiunge il sindacalista – che le emittenti locali rappresentano uno dei principali mezzi per pubblicizzare i prodotti e i servizi delle piccole e delle medie imprese, sicchè un sostegno statale al settore radiotelevisivo locale costituisce anche elemento propulsivo per la ripresa dei consumi, tanto auspicata ad ogni livello. Sollecitiamo pertanto – conclude Rossignoli – un ripensamento della norma con conseguente azzeramento del taglio operato con il decreto del Fare”. Campa cavallo: servirebbe ben altro che uno sbadiglioso comunicato di questo tipo per aiutare un settore che sta affondando più velocemente del Titanic. Dai toni decisamente più forti, ma certamente munita di maggiore suggestione, è la contestazione dell’associazione CONNA, il cui presidente, Mario Albanesi, con la consueta enfasi, allarga il fronte di attacco all’intero sistema. "Ci fosse stato un cane, un operatore televisivo qualsiasi che non fosse della ristretta cerchia dei nostri associati che ci avesse dato atto della nostra lungimiranza deduttiva per i titoli di Nuove Antenne che per svariati anni hanno gettato l’allarme mentre le associazioni collaborazioniste con i governi incassavano e gioivano alle spalle dei gonzi", esordisce in una nota l’esponente del Coordinamento Nazionale Nuove Antenne. "Ne ricordiamo qualcuno anche se non sarà l’ultima volta che lo facciamo per dimostrare ampiamente che quello del CONNA è stato l’unico riferimento sindacale su cui l’intera categoria doveva meditare. "L’imbroglio digitale"; "Il crollo, lento e inesorabile"; "Tutti a casa?"; "Il digitale brutale" (2008); "Il catastrofico digitale terrestre"; "L’equivoco del digitale terrestre". Volendo potremmo aggiungerne altri – sottolinea Albanesi – Ebbene, raccogliemmo solo proteste, scetticismo e accuse di essere contro il progresso e la naturale evoluzione tecnologica". "Ora però c’è una novità nella antica polemica con Filippo Rebecchini (Federazione Radio Televisioni, ndr) secondo il quale avevano diritto di esistere solo le aziende televisive che avevano "dignità di impresa" quando egli afferma pubblicamente che la "situazione è drammatica" e implicitamente riconosce che la "dignità" c’entra fino ad un certo punto. Viene spontaneo dire, cosa vogliamo fare, accontentarci del dramma senza far nulla? Con la Frt – e solo con la Frt – precisa il portavoce dell’associazione – giusto considerato che è agli antipodi rispetto alle nostre vedute e qualche volta anche gli estremi possono intendersi, forse ancora qualcosa sarebbe possibile fare nell’interesse di tutti. A nostro giudizio le strade da percorrere sono due anche se allo stato di fatto in cui si trova il settore, basterebbe il punto 1) che segue: 1) manifestare presso le sedi dell’Agcom e al Mise comunicazioni, reclamando quel rispetto che avevano un tempo le emittenti locali considerate "Servizio pubblico" dall’articolo 4 della legge 223/90 (norme urbanistiche), perso da tutta una serie di errori commessi anche per la scarsa coscienza dell’intera categoria e il drenaggio delle risorse; in concreto poi esigere una delle tre frequenze nazionali del cosiddetto Beauty contest per sanare tutte quelle situazioni di esclusione, di interferenze e di precarietà; 2) denunciare alla Procura della Repubblica, la scelta ingiustificata – una autentica truffa di cui dovranno essere identificati i responsabili ministeriali o di Agcom – per cui invece di assegnare un solo spazio dei 6 ricavabili da una sola frequenza, si è scelto – al fine di favorire le televisioni nazionali – di consentire di poter utilizzare tutti i 6 punti di frequenza da una sola emittente ben conoscendo la grande difficoltà di gestirli e che si sarebbe determinata una tale penuria di frequenze da rendere necessario il ricorso a graduatorie prive di logica e di fini di giustizia. E’ appena il caso di ricordare che con l’utilizzazione di appena 10 frequenze si sarebbero ricavati 60 spazi di trasmissione in qualsiasi bacino di servizio, sufficienti per soddisfare tutte le esigenze. Indipendentemente da quelle che saranno le decisioni di autodifesa, ricordiamo che la via della Procura cui fa cenno il punto 2) può essere intrapresa anche da una singola azienda che si ritenga danneggiata da un così scandaloso procedere", conclude Albanesi. (M.L. per NL)