Le postazioni per radiodiffusione per servire Brescia (e non solo) sono nell’occhio del ciclone dai primi anni ’80 per problematiche ambientali e sanitarie. Tuttavia, mentre per il primo decennio le verifiche condotte non avevano portato all’evidenza di superamenti dei limiti di legge al tempo vigenti (la materia era normata in maniera vaga), dal 1991 l’attenzione sulla problematica si è decisamente rafforzata (va detto, anche per il progressivo insediamento di nuovi ripetitori e per l’adozione di potenze sempre maggiori). La situazione è poi esplosa a partire dal nuovo millennio, in considerazione della sopravvenuta nota legislazione restrittiva in materia di elettrosmog. Numerosissime sono state le verifiche condotte da ARPA in loco, dalle cui risultanze (e non solo) hanno avuto inizio diversi procedimenti amministrativi (con derive avanti all’autorità giudiziaria amministrativa) e giudiziari civili e penali su impulso dei titolari di abitazioni in prossimità del sito di Monte Maddalena. In tempi molto recenti, segnatamente il 7 luglio scorso, il Tribunale di Brescia, all’esito di un procedimento penale durato sei anni, ha condannato per “gettito di cose pericolose” (il reato previsto per chi provoca inquinamento elettromagnetico) nove persone, legali rappresentanti di emittenti radiotelevisive, a venti giorni di reclusione e a corrispondere una somma provvisionale di 10 mila euro a ciascuna delle 7 parti lese. Assolti invece una decina di imputati per prescrizione del reato o per non aver commesso il fatto. Ma la questione non è evidentemente finita, posto che nuove indagini risultano in corso per la medesima località e per il sito tecnologico di Vedetta.