(TGCom) – “Se entro sessanta giorni il decreto legge non passa mi dimetto”. Il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, intervenuto al Forum della P.A. di Roma, lancia un avvertimento alla sua stessa maggioranza sull’attuazione del decreto che riforma la P.A.. “Sto combattendo i premi a pioggia, il contrario della premialità – ha spiegato il ministro – con la contrattazione è passata un’ira di Dio di negatività”. Il decreto è stato approvato venerdì dal Consiglio dei Ministri e domani approderà alle Camere. E, per non decadere, dovrà essere approvato entro i 60 giorni evocati dal ministro. Ma Brunetta, che ha fatto della sua azione una vera e propria lotta ai “fannulloni”, non si fida. Dopo gli appunti mossi dai sui colleghi di governo Tremonti, Maroni e Carfagna, il ministro teme che il provvedimento inciampi come è già capitato a parti del cosiddetto “decreto sicurezza”. “Fino a ieri il salario accessorio veniva dato a tutti – secondo il ministro – per colpa di una cattiva politica e di un cattivo sindacato”. A fare paura a Brunetta sono soprattutto i sindacati e le società partecipate dagli Enti locali che forniscono servizi pubblici. Tra i maggiori sindacati, contro il ministro è schierata senza ambiguità la Cgil. Mentre La Uil e la Ugl stanno a guardare. La Cisl ha espresso i suoi primi segni di malessere per bocca del suo segretario Raffaele Bonanni, che ha parlato, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore di “un ritorno al passato, al primato della politica sulla contrattazione", in pratica di “dirigismo”.
“Rendere di più per evitare licenziamenti”
Brunetta è intervenuto a 360° gradi: “Voglio un’alleanza dei sindacati con i buoni dipendenti pubblici”. Insomma, il ministro ha in serbo nerbate per i cattivi che “non mi fanno fesso con frasi come ‘viva il contratto, abbasso la legge’, perché sono a favore dei cittadini e dalla parte dei più deboli: da quando sono giovane penso che essere riformisti significhi stare dalla parte dei lavoratori”. Il ministro Brunetta ha poi dato alcuni numeri. Prima di tutto il “50% in più: tanto deve rendere la P.A. per evitare licenziamenti”. Perché, ha proseguito, “la P.A. costa 300 miliardi l’anno e, se fosse un’azienda, il giudizio dei clienti sarebbe negativo. Perdiamo competitività rispetto agli altri Paesi che spendono come noi. Ma il capitale umano che lavora nel pubblico è superiore a quello del privato, l’importante è farla finita con le logiche clientelari”.