Restrizioni ingiustificate e costi per le imprese potrebbero essere recate dal progetto di riforma della disciplina della professione forense, i quali potrebbero di conseguenza frenare l’innovazione ed il miglioramento della qualità dei servizi offerti.
Assonime (soggetto che rappresenta il mondo delle società di capitali nelle sue diverse articolazioni, industriale, finanziaria, assicurativa, dei servizi) nella Nota n. 3 illustra il progetto di riforma della disciplina della professione forense all’esame del Parlamento, il quale, se un lato cerca di modernizzare l’impianto normativo che risale agli anni trenta, dall’altro introduce delle restrizioni alla libertà di prestazioni di servizi legali che non appaiono necessarie né proporzionate per il perseguimento di finalità di carattere generale. Dette restrizioni sembrano, secondo Assonime, in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale comunitario a tutela del lavoro autonomo, della libertà d’impresa, del mercato interno e della concorrenza.
Riserve di attività
Il progetto di riforma qualifica come attività esclusiva dell’avvocato – a differenza di quanto previsto dall’attuale disciplina – la rappresentanza, l’assistenza e la difesa, oltre che nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali, anche nelle procedure arbitrali, nei procedimenti di fronte alle autorità amministrative indipendenti e ad ogni altra amministrazione pubblica, e nei procedimenti di mediazione e conciliazione. Sono inoltre riservate agli avvocati l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei procedimenti di natura amministrativa, tributaria e disciplinare, nonché l’attività svolta professionalmente di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale in ogni campo del diritto. La previsione dell’ampliamento delle attività riservate agli avvocati determina una restrizione della concorrenza e, secondo Assonime, va a incidere sull’ambito in cui si esplicano nel nostro ordinamento la libertà di lavoro autonomo e la libertà di impresa di servizi. Considerando nel dettaglio il contenuto della proposta di riforma, desta particolare preoccupazione, sempre secondo quanto si legge nella Nota n. 3/2009 di Assonime, l’inclusione tra le attività riservate della consulenza legale e dell’assistenza stragiudiziale “svolta professionalmente”, la quale sembra fondarsi sulla presunzione che la riserva in favore degli avvocati sia l’unica via per assicurare al cittadino “una tutela competente e qualificata”. Tale presunzione appare smentita dall’esperienza fino ad oggi maturata nel nostro sistema. Infatti, nelle imprese che hanno deciso di dotarsi di una funzione legale, i giuristi interni spesso offrono assistenza sui temi di interesse comune in favore di tutte le società appartenenti allo stesso gruppo; il ricorso agli stessi permette alle imprese di beneficiare di costi a costi contenuti di un’attività professionale di qualità, costante nel tempo e strutturata secondo le proprie esigenze. Precludere tale attività significherebbe infliggere alle imprese un grave onere economico, dovendosi le stesse obbligatoriamente rivolgere ad un consulente esterno, perdendo tra l’altro un servizio e un peculiare patrimonio di conoscenze riguardo alle loro problematiche giuridiche. Inoltre, per alcuni rami del diritto, i quali richiedono una dimestichezza anche con altre discipline – quali il diritto antitrust o la regolamentazione dell’energia – la consulenza su come applicare la normativa viene oggi svolta da soggetti che hanno seguito un percorso professionale diverso rispetto a quello dell’avvocato, nonché la comprensione di profili economici che un professionista non possiede per il solo fatto di essere iscritto all’Albo. Risulta, quindi, opinabile che il possesso del titolo dia maggiori garanzie di competenza tecnica in ogni campo del diritto, tenuto conto anche del fatto che i percorsi formativi universitari sono molto diversificati. Un altro ambito nel quale le disposizioni recate dal progetto di riforma della disciplina della professione forense potrebbe comportare un aumento dei costi per le imprese è quello dei procedimenti di natura tributaria, se la riserva in via generale dell’attività di assistenza agli avvocati e agli iscritti in altri albi comportasse l’eliminazione della possibilità di avvalersi dell’assistenza tecnica dei loro dipendenti. Al fine di tutelare il contribuente sarebbe, invece, secondo Assonime, sufficiente che l’ordinamento assicuri la correttezza del quadro informativo nel quale esso compie le proprie scelte in tema di servizi professionali e, in particolare, non vi sia alcun profilo di ingannevolezza circa le qualifiche e le competenze del prestatore del servizio.
Condizioni di accesso alla professione
Secondo quanto previsto dal regime attuale, coloro che svolgono un’attività di lavoro subordinato non possono essere iscritti all’Albo degli avvocati. La proposta di riforma conferma tale incompatibilità, e pone nuovi limiti alla possibilità di iscriversi all’Albo da parte dei soggetti che hanno conseguito l’abilitazione, ma non esercitano la libera professione, disponendo che l’iscrizione potrebbe essere ottenuta solo entro cinque anni dal superamento dell’esame. La medesima regola varrebbe anche nel caso dell’avvocato che si è cancellato dall’Albo per svolgere un’attività di lavoro subordinato: passati cinque anni dall’abilitazione, per tornare ad esercitare la libera professione dovrebbe ripetere l’esame di Stato. Detto limite temporale potrebbe rappresentare un rilevante ostacolo alla mobilità tra la libera professione e le altre modalità di esercizio dell’attività di giurista, comportando tra l’altro una compressione del diritto al lavoro. Secondo Assonime, al fine di assicurare che il singolo abbia conservato i requisiti per svolgere la professione, senza creare un disincentivo per chiunque voglia lavorare all’interno di un’impresa, si potrebbe adottare una soluzione meno restrittiva: trascorsi cinque anni dall’abilitazione, dovrebbe essere consentito al giurista di iscriversi, o re-iscriversi all’Albo degli avvocati, documentando in maniera significativa il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale, senza la necessità di ripetere l’esame di Stato.
Tariffe minime ed esercizio della professione in forma societaria
Si segnala infine che la proposta di riforma della disciplina della professione forense reintroduce il sistema delle tariffe minime vincolanti per i servizi resi dagli avvocati, il che si traduce nel limitare la concorrenza di prezzo, andando a discapito dei clienti, senza offrire loro alcuna garanzia di miglioramento della qualità dei servizi. Le proposte in discussione evidenziano anche numerosi vincoli all’esercizio della professione forense in forma societaria, i quali, se da un lato potrebbero essere utili per prevenire conflitti di interesse e assicurare la piena indipendenza dell’avvocato nell’esercizio dell’attività difensiva, dall’altro non dovrebbero andare oltre quanto sarebbe necessario per il perseguimento dei suddetti obiettivi. Infatti, ogni ingiustificata limitazione alle modalità organizzative più efficienti per l’esercizio della professione e alla libertà di stabilimento in Italia di studi internazionali, si traduce anche in un aumento dei costi per i clienti e in un freno all’innovazione e al miglioramento della qualità dei servizi offerti.