Novità in arrivo dalla manovra 2011 e dal decreto sviluppo che, coordinate nell’ambito delle rispettive leggi di conversione, impongono al contribuente accertato di prestare la massima attenzione.
Infatti, per l’avvio della procedura di esecuzione forzata in favore dell’Erario, l’agente per la riscossione non dovrà più notificare la canonica cartella di pagamento. Lo prevede l’art. 29 del D.L. n. 70/2011 che, se nella versione originaria prevedeva l’entrata in vigore della riforma fiscale dallo scorso 1° luglio, a seguito della conversione nella L. n. 106/2011 ha posticipato l’efficacia della novella al prossimo 1° ottobre. In tal senso, per gli accertamenti che da questa data saranno notificati, l’annualità fiscale a decorrere della quale il Fisco potrà azionare le nuove procedure è il 2007. Bella mossa, in quanto – mutatis mutandis – per le eventuali maggiori pretese erariali il rischio di decadenza sarà certamente scongiurato. La nuova procedura, infatti, prevede un sistema in base al quale – molto sommariamente – o nei 60 giorni successivi alla notifica dell’avviso da parte dell’Ufficio procedente il privato propone ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale oppure – decorsi ulteriori 30 giorni – la concessionaria per la riscossione potrà attivare la procedura esecutiva di recupero del credito statale senza ulteriori avvisi al contribuente. A fronte di una riforma che indubbiamente vuole prefiggersi lo scopo di velocizzare l’esazione delle imposte evase (o pretese tali), per l’atto impugnato avanti al giudice tributario opererà un’automatica e generalizzata sospensiva che il Collegio adito dovrà confermare a pena di decadenza entro i 180 giorni successivi dal deposito del ricorso. Nessuna responsabilità, però, sarà imputabile ai magistrati che non decideranno nel predetto lasso temporale sulla conferma della misura cautelare. Trascorso tale termine, quindi, lo Stato potrà pretendere il versamento delle somme accertate (per intero), accontentandosi del 30% di tali importi (in questi termini la modifica apportata all’art. 15 del D.P.R. n. 600/1973) se il contribuente provvederà tempestivamente al versamento. Il cerchiobottismo con il quale il Governo ha deciso di “riformare” la delicata materia fiscale e tributaria in questo primo scorcio d’estate, inoltre, ha fatto salve le norme di cui all’art. 22 D.Lgs n. 472/1997, che consente all’Amministrazione finanziaria di attivare una procedura d’urgenza avanti al Presidente della Commissione Tributaria Provinciale al fine di ottenere – una volta notificato l’avviso di accertamento o atto equipollente – l’ipoteca o il sequestro conservativo su beni del trasgressore o dell’obbligato in solido nel caso in cui abbia “fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito” ed agli artt. 77 e 86 del D.P.R. n. 602/1973. QUeste ultime, nell’ambito delle “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”, disciplinano rispettivamente, a seguito di emissione di ruolo esattoriale, l’iscrizione di ipoteca (oggi, per quanto concernente la prima casa, consentita in caso di debiti erariali di importo non inferiore a 20.000 euro) ed il fermo amministrativo di beni mobili registrati (le c.d. ganasce fiscali che non possono essere azionate dalla P.A. per crediti inferiori a 2.000 euro). In tali casi, fa da pendant anche l’inoperatività della predetta sospensiva di 180 giorni e la circostanza in base alla quale il carico fiscale potrebbe essere affidato all’agente per la riscossione anche prima dello spirare del termine di 60 giorni per l’impugnazione. In buona sostanza, ce lo ricorda Il Sole 24 Ore del 27/07/2011 (p. 27), al contribuente accertato – dall’entrata in vigore delle ultime riforme varate dall’Esecutivo e convertite in legge nelle scorse settimane dal Parlamento – rimane un ventaglio di cinque possibilità: 1) pagare entro 60 giorni dalla notifica dell’atto la maggiore pretesa erariale; 2) adempiere entro 90 giorni scongiurando l’esecuzione forzata da parte dell’agente della riscossione e la ulteriore corresponsione degli aggi di riscossione (9% calcolato al lordo delle somme richieste dal Fisco) e degli interessi di mora (conteggiati sul tributo al netto di sanzioni ed interessi maturati); 3) proporre istanza di adesione all’accertamento intraprendendo un contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate che sospende automaticamente per 90 giorni i termini per la proposizione del ricorso; 4) impugnare giudizialmente l’atto notificato, richiederne la sospensione e beneficiare dei 180 giorni di congelamento della procedura di riscossione coatta in attesa della decisione sull’istanza cautelare del Giudice tributario adito; 5) nel caso in cui la Commissione Tributaria Provinciale non si pronunci nel termine di 180 giorni dal deposito del ricorso o respinga l’istanza di sospensiva avanzata dal contribuente, provvedere al pagamento del 30% del debito tributario evitando l’esecuzione forzata sull’intero carico fiscale accertato. Per fronteggiare le novità che la recente manovra correttiva dei conti pubblici ed il decreto sviluppo hanno introdotto (anche nel campo del contenzioso tributario, come si è già avuto modo di trattare, restringendo le maglie delle incompatibilità della forza giudicante in servizio presso le Commissioni Tributarie), è stata approvata lo scorso 27/07/2011 una delibera del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria che, tra l’altro, ha previsto che ciascun Collegio debba svolgere almeno quattro udienze mensili, cercando il più possibile di costringere alle corde l’arretrato. La raccomandazione (Italia Oggi, 30/07/2011, p. 25) impone infatti che, entro il prossimo 5 settembre, le Commissioni Tributarie sia Provinciali che Regionali, predispongano un “programma di gestione dei procedimenti tributari pendenti”, rinnovandolo il 31 gennaio di ogni anno con la fissazione di precisi obiettivi di riduzione del contenzioso orientati su di un’equa ripartizione dello stesso. (S.C. per NL)