I network sono quasi tutti omologati, si somigliano più o meno tutti forse per paura di Audiradio, le web radio somigliano sotto molti aspetti alle primissime radio libere via etere, con la differenza fondamentale che spesso a mandarle in onda, anzi in streaming, è un semplice software che è molto di più del “bobinone autoreverse” degli anni ’70 ed ’80, la radio pubblica cerca di differenziarsi e talvolta ci riesce, nonostante gli interessi politici che però sembrano riguardare più la televisione che quella che viene definita la “sorella cieca”.
Partiamo allora proprio dalla radio pubblica, da quella Radiouno leader di ascolti ma talvolta vincolata a format, come Zapping o Radiocity ex Baobab, che andrebbero forse un po’ rivisti e riammodernati. E’ una radio definita “all news” che si prende qualche licenza, ed in genere se la prende nel migliore dei modi, come nel caso di “Impronte sonore” di Sergio Mancinelli, altre volte privilegia i contenuti alla tecnica, e può succedere di ascoltare programmi pregevoli affidati a voci poco radiofoniche. Purtroppo in radio l’orecchio vuole la sua parte, e sbagliare una voce in onda compromette tutto il lavoro, anche in un Giornale Radio.
Ci sono conduttori a torto vituperati come Stefano Mensurati (Radiocity) o giustamente apprezzati come Giorgio Zanchini o Ruggero Po (Radio anch’io) alternati ad altri di minore qualità radiofonica, e troppo spesso ormai i collegamenti telefonici si realizzano attraverso cellulari che in molti casi, sono talmente precari da far cadere la linea o rendere il discorso incomprensibile (succede anche in valide trasmissioni di altre reti pubbliche, come Radio 3 Mondo o Fahrenheit). Ci sono trasmissioni ormai caratterizzanti come quelle di Emanuela Falcetti e Umberto Broccoli da non poter pensare una Radiouno senza questi appuntamenti. E poi lo sport, che sotto la guida di Riccardo Cucchi mostra un’alta qualità simile a quella dell’epoca dei grandi miti. Con i quali è sbagliato un confronto, che peraltro Cucchi reggerebbe: all’epoca la televisione era meno invasiva, e il radiocronista poteva inventare di più, e poi anche allora c’era qualcuno che abbassava la media…
Inoltre anche oggi ci sono dei punti fermi, come Filippo Corsini che comunque ti aspetti di sentire dallo studio centrale come una volta avveniva per Mario Giobbe, o il jolly tuttofare Emanuele Dotto, o lo specialista di ciclismo Giovanni Scaramuzzino, peraltro “prestato” da Rai International. Tutti e tre, come altri, non a caso saranno inviati a Pechino, alle Olimpiadi, sforzo imponente per la radio pubblica, tanto che il direttore del Gr e di Radiouno Antonio Caprarica guiderà con Cucchi la delegazione di radiocronisti che seguiranno i giochi. Un appunto riguarda la musica, per scelta più “intellettuale” e di nicchia rispetto a quella dei network o di Radiodue. Magari, in certi appuntamenti come quelli sportivi, si potrebbe andare più sul pop.
Radiodue, per scelta, somiglia molto ai network privati, con qualche eccezione: alcune lodevolissime, come il Ruggito del Coniglio di Antonello Dose e Marco Presta, Grazie per averci scelto di Marco Santin e Nicoletta Simeone, Viva Radiodue di Fiorello e Marco Baldini(la cui presenza è fondamentale e spesso sottovalutata, provate a sentire alla radio Fiorello senza Baldini…), oppure Black out di Enrico Vaime, Caterpillar, Sei uno zero di Lillo e Greg. La musica, però, è la stessa delle varie Rtl, Rds, Deejay, e suona più o meno allo stesso modo. Lasciano anche perplessi, in questa radio, programmi come alcuni messi in onda dalla sede di Milano, che – forse perché condotti da alcuni “guru” tra i blogger – somigliano un po’troppo a dei podcast rispetto allo standard della radio pubblica. Standard nel quale rientrano invece appuntamenti settimanali forse meno sottolineati, ma di ottima fattura, come il “Che lavoro fai” di Aldo Tirone e Cristina Bonadei, con la regia di un certo Franco Solfiti, che bazzica dalle parti di via Asiago da quasi quarant’anni, come lo stesso Tirone… Nella programmazione estiva ci sono peraltro momenti originali ed ottimi di conduzione radiofonica come il Popcorner di Francesco Adinolfi, che ha un modo tutto suo di condurre, molto piacevole e diretto, ma con molta classe.
Radiotre si affida alla cultura intercalata da trasmissioni molto simpatiche come La barcaccia di Suozzo-Stinchelli o Hollywood Party. Prima Pagina, Radio 3 Mondo e Radio 3 Scienza(che apprezzo soprattutto nella conduzione da Trieste di Fabio Pagan) sono dei punti fermi, come Fahrenheit, che però perde molto quando non è al microfono Marino SInibaldi. Radio 3 Suite sa accompagnare anche i profani verso la cultura di ogni tipo, avendo come Virgilio personaggi del calibro di Guido Barbieri, Guido Zaccagnini od Oreste Bossini, per citare i conduttori più assidui, capaci di non perdersi mai anche se il collegamento con il concerto presenta mille insidie. Poi ci sono molte altre trasmissioni, come tutte quelle del Terzo Anello. L’unica mia riserva è sul Dottor Djembé di David Riondino e Stefano Bollani, che peraltro apprezzo: immagino piaccia molto al direttore Sergio Valzania, ma personalmente trovo che la trasmissione sia un po’avulsa dalla linea editoriale di Radiotre, anche se credo sarebbe ancora più difficile collocarla su Radiodue…
I network. Si può solo suggerire di rischiare di più, perché trasmissioni, scelte musicali, notiziari e talvolta anche le voci, tendono ad assomigliarsi, fatta eccezione per i “grandi vecchi” della radio (Federico, Anna Pettinelli, Max Pagani, Rosaria Renna, Linus, Albertino, Gigi Ariemma, etc.), e anche gli show comici sembrano talvolta delle copie più volgari di Alto Gradimento (format del 1970). Non credo possa essere vero che gli ascoltatori chiedono e vogliono solo questo, ed è un insulto alla radio trattarla come una “sorella cieca”, una televisione senza video. Ed il guaio è che molte radio regionali stanno prendendo la stessa piega.
Infatti, stanno nascendo come funghi le web radio, strumento che molti ragazzi stanno utilizzando per proporsi e per imparare a fare la radio, dato che a loro è assolutamente preclusa la strada della prima generazione delle radio libere, dove si imparava ad andare in onda anche se si era ragazzini di 13, 14, 15 anni. Inoltre hanno il vantaggio di potersi scegliere le scalette musicali come loro aggrada, qualcuno anche esclusivamente con canzoni che hanno licenza Common Creative, anche se questa rischia di apparire una scelta snob, pur non essendolo, dato che spesso si tratta unicamente di ragioni economiche.
In ogni caso, la web radio è una nuova via multimediale per un mezzo antico e tradizionale come la radio che non passa mai di moda, e che nonostante tutto si sa rinnovare anche richiamando inconsapevolmente (o consapevolmente) il proprio glorioso passato. (Davide Camera per NL)