I dati dell’aggiornamento al 30 settembre 2013 dell’Osservatorio sulle telecomunicazioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) sembrano confermare uno scenario di sostanziale stallo nel processo di sviluppo delle reti di accesso italiane.
L’aspetto più preoccupante rimane quello dello stato di copertura della rete fissa, soprattutto se visto in rapporto con la media europea. Mentre la percentuale delle connessioni DSL e FTTP (Fiber-To-The-Premises, che include FTTB – Fiber-To-The-Building e FTTH – Fiber-To-The-Home, ovvero i collegamenti in fibra fino al terminale utente) è allineata con la media europea, si rilevano significative differenze nelle altre due tecnologie prese in considerazione, ovvero Docsis3 (standard di trasmissione dati attraverso la rete della televisione via cavo) e VDSL. Se nel primo caso la percentuale zero del nostro paese si spiega con l’evidente mancato sviluppo della rete televisiva cablata, nel secondo occorre tener presente che nei collegamenti VDSL viene conteggiata anche la FTTC (Fiber-To-The-Cabinet, ovvero le connessioni in fibra ottica che arrivano agli armadi di commutazione stradali, essenziali per la realizzazione di accessi DSL ad alta velocità). La distanza in percentuale (4,5% contro il 24,9% di media europea) sta evidentemente a significare la presenza di un gap infrastrutturale della rete in fibra, che non permette lo sviluppo di collegamenti di accesso di livello prestazionale intermedio tra la “vecchia” ADSL e il collegamento ottico. Segnali in questo senso erano del resto già venuti dal rapporto FUB sullo stato della banda larga italiana circolato un paio di mesi fa, secondo il quale il livello qualitativo dei collegamenti ADSL è in fase discendente già dal 2011. Al secondo calo annuale consecutivo del numero delle linee fisse (-570.000 nel 2013, -490.000 nel 2012), fa da contraltare un quadro sostanzialmente immobile delle quote di mercato dei principali operatori di rete italiani. Non a caso l’unico risultato positivo, anche se non entusiasmante (+1,3%) viene fatto segnare da Fastweb, compagnia che, com’è noto, ha puntato sin da subito sulla realizzazione di una rete in fibra ottica alternativa a quella dell’incumbent ed estesa fino ai terminali utente. Dati parzialmente più positivi vengono, come al solito, dalle reti mobili. HSPA e satellite sono in media europea, mentre WiMax fa registrare un sorprendente 45% di copertura contro il 17,2 continentale. LTE invece risulta al 17% contro una media del 27%. In merito a quest’ultimo ritardo, Agcom ne attribuisce le cause alla forte diffusione in Germania (51,7%, con le frequenze assegnate 18 mesi prima che in Italia). Al di là del paradosso di prendersela con i primi della classe perché alzano la media, anche qui forse sarebbe il caso di verificare la situazione delle infrastrutture di backhauling, dato che dai primi rilevamenti effettuati, per quanto ufficiosi, le velocità reali riscontrate sui nuovi collegamenti 4G sembrano essere ben lontane da quelle sbandierate nei lanci promozionali. Fattore, quest’ultimo, che certo non incoraggia la domanda da parte di chi cerca (invano) ormai da anni prestazioni effettive da banda larga sui collegamenti mobili. Una domanda che nonostante tutto cresce, e non solo a fini domestici o di intrattenimento, come indicano chiaramente i dati sulle SIM mobili: diminuiscono le prepagate (-1,67 milioni) e quelle dedicate al solo traffico voce (-7,5 milioni), aumentano gli abbonamenti (+1,45 milioni) e le connect card solo dati (+21,9%); scendono di un milione le utenze residenziali, crescono di 800.000 quelle business. E soprattutto da inizio anno il traffico dati è aumentato del 34,6%, superando i 240.000 terabyte. Interessante sottolineare il contributo di una tecnologia da molti data prematuramente per defunta, ovvero il WiMax. In questo settore, operatori particolarmente aggressivi come Linkem stanno efficacemente approfittando dell’immobilismo dei grandi. Significativo in questo senso il fatto che questo tipo di collegamenti abbia raggiunto, in pochissimo tempo, un grado di copertura pari a quello degli accessi in fibra ottica. Tuttavia, l’inclusione del WiMax nelle tecnologie mobili è giustificato solo per la modalità di collegamento wireless. I dispositivi utilizzati per l’accesso, invece, assomigliano di più ai router tipicamente presenti presso le utenze fisse. Non sarà quindi questa tecnologia a “nutrire” di banda tutti quei tablet e smartphone che stanno ormai prendendo il sopravvento come interfacce verso internet presso la maggioranza della popolazione. Un importante contributo potrebbe venire da un Wi-Fi diffuso capillarmente e gestito in modo organico ed efficiente. Ma anche qui il nostro paese sconta un ritardo cronico e difficilmente recuperabile. Alla fine, il rapporto dell’Osservatorio non regala numeri particolarmente incoraggianti per quella che da più parti viene invocata come la “rivoluzione digitale” italiana. Al netto delle mancanze e delle eccellenze nella rete d’accesso, i segni meno prevalgono nettamente sui segnali di ottimismo, e il mercato sembra essere ancora in attesa della spinta decisiva verso la ripresa. I vari attori pubblici e privati, comprese le telco multinazionali che ultimamente, almeno in apparenza, manifestano interesse verso il nostro paese, appaiono incerti e reciprocamente diffidenti. Così persiste un immobilismo infrastrutturale che non viene ovviamente scalfito da quotidiani proclami e dichiarazioni di intenti. Il rischio è quello del collasso, i cui segni premonitori, peraltro, sono già evidenti a chi non si rifiuta di vederli. (E.D. per NL)