da Franco Abruzzo.it
Bruxelles, 1 gennaio 2007. “Un giornalismo sotto tiro, condizionato, intimidito, minacciato, aggredito. I dati per il 2007, resi noti oggi a Bruxelles dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), confermano la ituazione di assoluta emergenza che la professione, ma anche tutti gli altri lavoratori dell’informazione, sta vivendo nel mondo”. E’ il commento di Paolo Serventi Longhi, componente del Comitato Esecutivo dell’IFJ
Il dato più significativo, nell’anno appena concluso, parla di 171 morti tra i giornalisti della carta stampata, delle radio e delle televisioni (compresi molti fotoreporter e telecineoperatori), del web e tra i tecnici e gli altri operatori della comunicazione. Una lieve diminuzione rispetto al 2006 quando la Ifj, l’unica organizzazione che raccoglie dati che riguardano tutti i lavoratori dei media, calcolò in 177 il numero degli operatori dell’informazione uccisi, un numero record che ha raddoppiato quasi le morti del 2004.
Per il terzo anno consecutivo le difficoltà di un giornalismo libero e testimone della realtà, che rischia per informare l’opinione pubblica, trovano riscontro in una tragica realtà fatta di brutali omicidi, di violenze di ogni genere, di aggressioni fisiche e morali, di centinaia di colleghi rinchiusi nelle prigioni di mezzo mondo per avere esercitato il diritto-dovere di informare.
E’ ovvio che il maggior numero di vittime si registra nelle aree del mondo dove sono in corso guerre e crisi violente, e dove la situazione politica resta instabile, in particolare ancora in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan (dove la campagna elettorale segnata dalla uccisione di Benazir Bhutto è stata accompagnata da numerosi assassini di giornalisti e da una serie impressionante di atti violenti e aggressioni ai media liberi), nello Sri Lanka e nelle Filippine. In Africa gravissima è la situazione in Somalia e in Eritrea dove negli ultimi due anni si contano decine di vittime. In America Latina il più alto numero di giornalisti uccisi, feriti e aggrediti si registra in Messico, specie da parte di bande di narcotrafficanti. I coraggiosi reportage contro i traffici internazionali di droga e la situazione politica hanno determinato minacce e uccisioni ad Haiti, nella Repubblica Dominicana, in Colombia e Bolivia. Non dimenticando, naturalmente, le repressioni anche violente della libera informazione in Birmania, in Cina, a Cuba.
Il Presidente della Ifj, il britannico Jim Boumelha, ha sottolineato come non trovi tregua la caccia al giornalista in Iraq dove nel 2007 sono stati assassinati 65 giornalisti e lavoratori dei media, confermando dati che vedono l’area di crisi come quella dove si registra il maggior numero di giornalisti uccisi, almeno da quando nel 2003 è iniziata l’operazione militare degli Stati Uniti e dei paesi alleati. Boumelha ha chiesto ancora una volta che la comunità internazionale e le istituzioni mondiali, a cominciare dalle Nazioni Unite, condannino con forza e compiano atti concreti contro le mille impunità di cui godono in molti Paesi del mondo i responsabili di violenze e omicidi, spesso generati da un clima di repressione antidemocratica.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nella quale si condannano le violenze nei confronti dei giornalisti, approvata oltre un anno fa , deve trovare applicazione immediata e l’impegno formale dei Governi degli Stati membri. L’appello della Ifj è stato rilanciato dal Segretario Generale Aidan White che ha denunciato l’inconsistenza e l’assenza di serietà dell’opera di prevenzione e di indagine sui fatti criminosi che riguardano i media da parte di molti governi e poteri pubblici in tutti i continenti. Un forte pronunciamento contro le violenze e le uccisioni di giornalisti in Paesi europei, a cominciare dalla Russia di Putin, è stato approvato dal Congresso mondiale della Ifj che si è svolto nella scorsa estate proprio a Mosca.
Il nostro mestiere – ha detto White – comporta certamente dei rischi ai quali non possiamo sottrarci, ma vanno costruite le migliori condizioni possibili per la sicurezza e la libertà di informazione, presupposto indispensabile per lo svilupo della democrazia e dei diritti civili in tutti i Paesi. Ed anche nei Paesi a più alta tradizione democratica, come l’Italia, è sempre più difficile fare informazione senza che i poteri tentino di intimidire o condizionare il giornalismo. (www.fnsi.it)