(Il Giornale.it) – La conclusione di questa vicenda dimostra che chi decide di fare la pace o la guerra con Berlusconi è Walter Veltroni, non altri», dice uno degli uomini più vicini al segretario Pd, Giorgio Tonini.
Le telescriventi hanno appena battuto il via libera del premier a Sergio Zavoli, e in casa veltroniana torna per la prima volta da molto tempo il sorriso: il canale con Gianni Letta, riattivato freneticamente negli ultimi giorni da Goffredo Bettini e dallo stesso Veltroni ha funzionato, il nome di Sergio Zavoli (tenuto copertissimo fino a ieri pomeriggio, ma sul quale l’entourage berlusconiano era stato sondato già due giorni fa) ha ricevuto l’imprimatur del Cavaliere e l’ala dura del Pdl, che fino a ieri sera continuava a difendere a spada tratta il presidente eletto della Vigilanza, Riccardo Villari, ha alla fine dovuto cedere le armi. «Zavoli è un nome prestigioso e condivisibile», diceva Maurizio Gasparri. Ora mancano solo le dimissioni del senatore Pd (che ieri sera si era reso irreperibile) per chiudere l’operazione ed eleggere trionfalmente Zavoli alla testa della Vigilanza. Poi, dice il sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani, «si può fare subito il nuovo Cda della Rai, ed eleggerne il presidente».
Veltroni, che rischiava di uscire triturato dal pasticciaccio Rai, tira un sospiro di sollievo: «Perfetto», sussurra a Montecitorio quando gli portano le agenzie di Berlusconi, che dice: «Zavoli è una persona che non si può discutere, il suo nome è assolutamente idoneo». Il segretario Pd non aggiunge altri commenti: «Parlerò domani, con calma». Ma intanto parlano i suoi, e cantano vittoria. Una vittoria tutta interna, perché la vera partita che sul caso Vigilanza si stava giocando era dentro il Pd: «Villari si sentiva spalleggiato da una parte dei nostri, c’era un’operazione che serviva a indebolire Walter e farlo arrivare stremato alle Europee», dice Stefano Ceccanti. E Tonini sottolinea che la leadership di Veltroni esce rilegittimata dall’accordo siglato con il premier, che «si è reso conto che la guerra non conviene neppure a lui in questo momento, sulla Rai come sull’economia». Dal fronte opposto, raccontano di un Berlusconi soddisfatto per aver incassato l’isolamento di Di Pietro, un’intesa sulla Rai e un possibile clima più soft con l’opposizione. Tanto che in casa Pdl c’è chi già assicura che in extremis potrebbe essere riesumata anche la riforma della legge elettorale europea, con tanto di sbarramento e di liste bloccate.
Il film della giornata di ieri comincia con la salita al Colle del leader del Pd, accompagnato dai capigruppo, per dirsi «preoccupato» del clima politico del Paese, inasprito dall’atteggiamento «arrogante» della maggioranza di governo», e per lamentare gli «attacchi insultanti e offensivi» nei suoi confronti. Mentre in una situazione di «pesante crisi economica» e di «lacerazioni sociali» sarebbe molto più opportuno un clima di «rispetto e confronto istituzionale».
Nel frattempo, a Montecitorio, Di Pietro convocava una conferenza stampa per annunciare le dimissioni dalla Vigilanza del candidato sconfitto Leoluca Orlando e dell’altro membro Idv, Pancho Pardi. E lanciava un attacco furibondo contro Berlusconi: «Un grande corruttore politico: ci ha provato con me quando voleva farmi ministro, ci ha provato con Orlando cercandolo qualche tempo fa per un abboccamento, e con Villari evidentemente ci è riuscito». Quanto a Veltroni, «deleghiamo a lui il compito di trovare una soluzione condivisa, noi non interferiremo».
Le dimissioni dalla Vigilanza solennemente annunciate da Di Pietro venivano poco dopo respinte dai presidenti delle Camere, in una nota congiunta sostenevano che se pure «non sfugge il significato politico» del gesto, in base alla legge non possono venire accolte se il gruppo Idv non propone contemporaneamente due nomi sostitutivi, pena la non rappresentatività della Commissione. Nota respinta «al mittente» da Idv: «per quanto ci riguarda le dimissioni sono operative», e nessun rappresentante di Idv tornerà mai più in Vigilanza.
Nel pomeriggio, intanto, il Pd celebrava un nuovo «processo staliniano» (definizione di un partecipante) al senatore Villari, con la Finocchiaro, Gentiloni e Franceschini che lo accusavano di essersi «prestato a un gioco sporco contro il tuo partito», e insistevano per le dimissioni immediate. E lui che contrattaccava accusando: «Sono stato sottoposto a insulti e pressioni ignobili sul piano morale, e nessuno di voi ha detto una parola per difendermi». Intanto, dietro le quinte, continuavano i frenetici tentativi di far sbloccare da Berlusconi la partita sul nome di Zavoli. Coronati a sera dalla benedizione di Palazzo Chigi.