Personaggio controverso, non particolarmente brillante, ma comunque sempre al centro di ogni riedizione della spartizione politica della Rai, Antonio Marano è un “terrone”, leghista della prima ora. Nato in provincia di Foggia in un paesino di contadini, la sua ambizione lo porta negli anni ottanta al nord, in provincia di Varese, dove costituirà una sorta di feudo, e stringerà ben presto amicizia con l’ala varesotta della Lega Nord, in corso di formazione, e soprattutto con Umberto Bossi e Roberto Maroni. Nonostante sia un architetto, Marano non s’interessa mai di edilizia, costruzioni e progetti, preferendo da subito buttarsi su due campi molto più redditizi: il primo è la televisione privata, sempre più in evoluzione, ed il secondo è la politica, evergreen che non passa mai di moda e che assicura ritorni considerevoli a chi non si faccia molti scrupoli. La sua passione numero uno, però, è la televisione. Dapprima direttore esecutivo di Rete 55, poi direttore commerciale di Rete A, del gruppo Peruzzo, Marano negli anni ottanta butta le basi per quella che sarà la sua successiva consacrazione nel corso degli anni novanta, con l’approdo alla corte di Vittorio Cecchi Gori, dove prende parte alla nascita della rete Italia 9 Network, prima di coronare un altro dei suoi sogni non tanto nascosti, l’ingresso in politica, nelle file della Lega Nord, per la prima volta al governo con il neonato governo Berlusconi I. E’ il 1994 e presto Marano, per le sue spiccate attitudini in campo televisivo (ha lavorato per tre piccole tv private mai decollate) viene nominato sottosegretario alle Telecomunicazioni. La sua carriera politica, nonostante i tanti “agganci” e le decennali amicizie con Bossi e Maroni, non decolla, allora Marano diviene consigliere delegato di Stream News, prima di un altro importante passo: l’arrivo a mamma Rai, nel corso di una delle tante spartizioni politiche senza ritegno dell’azienda pubblica. Il legame talmente stretto tra politica e tv di Stato è il cordone che permette a qualunque giornalista (e Marano lo è) che non sfonda in politica, di farsi nominare da qualche partito a ricoprire qualche carica in Rai. Ed ecco che Antonio Marano diviene direttore di Raidue nel 2002, prendendo il posto di Carlo Freccero, durante uno dei primi celebri radi berlusconiani sulla Rai, appena epurata anche del giornalista Michele Santoro, del compianto Enzo Biagi e del satiro Luttazzi. E proprio con Santoro, tornato in Rai grazie ad una sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma del 26 gennaio 2005, recentemente confermata in appello, inizia una sorta di cane e gatto, dal momento che il reintegro del giornalista salernitano nel 2006, in concomitanza con il ritorno al governo del centrosinistra, è coinciso anche con la seconda nomina di Marano alla direzione di Raidue, rete sulla quale Santoro va in onda con Annozero ogni giovedì. Differenti vedute politiche, ma non solo: il difficile ruolo di Santoro, sempre e continuamente ostracizzato dai dirigenti dell’azienda e dai partiti di governo (ma anche da quelli all’opposizione), lo ha portato più volte a scontrarsi con il suo direttore di rete, il quale invece deve, volente o nolente, sottostare ai diktat di quelle parti politiche che lo hanno nominato ed i cui interessi, nell’assurda logica della Rai, devono sempre essere garantiti (stessa cosa vale per coloro che vengono nominati dalle altre fazioni politiche: questa è la Rai). L’ultima polemica è andata in onda lo scorso mese di aprile, con Marano che scrive al Riformista per smentire presunte dichiarazioni attribuitegli sull’intenzione di Michele Santoro di lasciare (forzatamente) la Rai, per mettersi in proprio e produrre docu-fiction. “Un’affermazione destituita di ogni fondamento, che non ho mai rilasciato né al giornalista che firma l’articolo, né ad altri. Infatti, le posso confermare che il nuovo Piano di Produzione di Raidue definito il 3 Aprile scorso prevede la messa in onda di 14 puntate del programma di Santoro, a partire dal prossimo 17 settembre. Il piano – si legge in una nota Rai – dovrà essere valutato dal Direttore Generale, che dovrà presentarlo al Consiglio d’Amministrazione per l’approvazione”. E, ancora: “Anche perché – come lei dovrebbe sapere – Michele Santoro è tornato a lavorare in Rai in base ad una sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma del 26 gennaio 2005 – peraltro confermata recentemente in appello – che obbliga l’Azienda ad adibire il giornalista come realizzatore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento”. E la polemica presumibilmente continuerà anche in futuro perché, se Santoro, come pare, è destinato a restare, è destinato a restare anche Marano, nonostante la prossima, ormai certa, nomina ad una delle prestigiose quattro poltrone di vicedirettore generale dell’azienda. È in corso in questi giorni, infatti, l’ennesimo toto-nomine partitiche per le poltrone Rai più prestigiose. Toto – nomine cui prendono parte tutti i componenti della torta parlamentare (ormai rimasti in pochi) meno uno, autoesclusosi, ossia l’Italia dei Valori. Al Tg1, al posto del dimissionario Gianni Riotta, sembra certa la nomina di Augusto Minzolini, già inviato de La Stampa, ex corrispondente da new York de L’Espresso e uomo di fiducia del centro-destra. A Raiuno il posto di Del Noce sarà preso dal direttore del Tg2, Mauro Mazza, anch’egli uomo del Pdl, mentre i posti di vicedirettore generale, quattro, saranno affidati a Gianfranco Comanducci, Lorenza Lei, Giancarlo Leone e, appunto, Antonio Marano, che sale un altro scalino nella sua ascesa politico-giornalistica. I magnifici quattro avranno il compito di rimettere in moto l’azienda dopo un periodi di stallo, e per questo saranno loro affidati incarichi ben precisi: Lorenza Lei dovrebbe occuparsi delle risorse artistiche, Leone resterebbe ad occuparsi dello sviluppo del digitale terrestre, Comanducci andrebbe a presiedere le risorse umane e Marano avrebbe il difficile compito di gestire la produzione. Queste nomine, ampiamente criticate dall’opposizione prim’ancora d’esser rese ufficiali, sono state decise a tavolino dal governo, nella solita logica che domina in Rai, serviranno ancora una volta per umiliare quell’astratto concetto, in Italia sconosciuto ai più, chiamato pluralismo. Ma anche all’interno della coalizione di governo, la nomina di Marano non accontenta proprio tutti. Se, infatti, l’ala varesotta della Lega (con Maroni come leader) e l’ampia componente berlusconiana, si rallegrerebbero, l’ala bergamasca (con Calderoli in prima linea) e l’ex Alleanza Nazionale, storcerebbero un po’ il naso. Ma non tutti possono essere accontentati, nemmeno tra i partiti di governo. Figurarsi tra quelli d’opposizione. (G.M. per NL)