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di Fabrizio De Feo – sabato 27 ottobre 2007, 08:56
da Roma
«Vogliamo un canale all’altezza dei tempi moderni, delle sfide geopolitiche che l’Italia intende giocare sullo scacchiere internazionale». Il modello? «La Bbc World». La frase non è tratta dal libro dei sogni ma dalla «mission» che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Ricardo Franco Levi, assegnò al direttore di Rai International, Piero Badaloni, al momento del rinnovo della convenzione con Palazzo Chigi. Aggiungendo, stando a una cronaca di Prima Comunicazione, un immaginifico: «È un bignè ammuffito. Fanne un fulmine».
Di fulmini se ne sono visti pochi nella nuova era iniziata nel dicembre 2006. E la Cinquecento non si è certo trasformata in una Ferrari. Ma tempeste e polemiche certo non sono mancate in questi dieci mesi. Tutto è iniziato con il soffertissimo voto di fiducia che ha incoronato il nuovo direttore (ex governatore ulivista del Lazio) con soli 26 voti favorevoli su 51 giornalisti votanti (da ricordare che Massimo Magliaro, il predecessore, aveva conquistato il 90% dei consensi). Segnate dalle polemiche anche le prime promozioni, con l’«upgrading» di tutti e tre i membri del comitato di redazione, ovvero del collegio sindacale interno.
Il neo-direttore, prima dell’estate, ha dovuto fare i conti con una decurtazione del bilancio, sceso da 38 milioni di euro a circa 27. Ma in passato la rete non aveva certo stretto la cinghia. Il primo segnale era arrivato con le nomine dei nuovi vicedirettori, ben quattro. Un affondo che ha reso la tolda di comando della redazione decisamente affollata e costosa. Il risultato è che oggi Rai International, secondo quanto sussurrano i bene informati, paga tre stipendi assimilabili a quello di un direttore e ha in carico cinque vicedirettori. Oltretutto in una redazione composta da 63 giornalisti (in cui gli assunti sono 37), ci sono ben 22 «graduati», con la nomina minima di capiservizio. Come dire che Badaloni, prodiano di ferro, ha creato a sua volta il suo «governone».
Peraltro tra coloro che possono godere di uno stipendio «direttoriale» c’è «l’art-director». Mimma Nocelli, ovvero la compagna di Alessandro Ovi, consigliere di Prodi a Palazzo Chigi e suo sodale fin dai tempi dell’Iri. La Nocelli, a cui è stata assegnata una stanza negli uffici di Rai International, non è una dipendente di Viale Mazzini ma una consulente, e sempre come consulente ha rapporti anche con Raisat e Rai Educational.
Sfumato l’eco del grido «todos caballeros» con cui sono state salutate le nomine, rimangono sul campo i problemi irrisolti di sempre. E i nuovi nodi che si sono creati con la chiusura delle trasmissioni dirette verso l’Est europeo. Una scelta ragionevole, visto che si trattava di un retaggio della Guerra Fredda. Ma in assenza di progetti alternativi, lo spegnimento ha costretto i 30 traduttori dipendenti a una completa e forzata inattività. Perplessità ha suscitato anche l’acquisto di programmi da altre società Rai. Un esempio è «Art’Italia», 40 puntate complessive acquistate da Raisat per 500mila euro.
Ma non è finita qui. Perché una interrogazione dei leghisti Roberto Castelli e Stefano Stefani semina altri interrogativi e chiede al ministro dell’Economia di imporre «politiche di maggior rigore economico» alla direzione di rete. In particolare gli esponenti del Carroccio chiedono lumi sulla sostituzione del Tg2 delle 13 con «un programma di approfondimento, Italia News, il cui costo di produzione sarebbe pari a 1,8 milioni di euro». Ma anche su un contenitore, «Italia Rai», il cui costo di produzione sarebbe pari a 1 milione di euro, con uno stipendio per Gigliola Cinquetti di circa 160mila euro per un impegno di 9 mesi.
Con una maliziosa postilla. «Si tratta» si chiedono i parlamentari leghisti «della stessa Gigliola Cinquetti che è stata testimonial di Prodi alle primarie di Romano Prodi?». La risposta, assicurano i telespettatori sparsi nel mondo, è assolutamente affermativa.