Il settore delle comunicazioni è in continua evoluzione e, oggi,nell’ambito televisivo anche la RAI ha dovuto, suo malgrado, prenderne coscienza. Inizialmente monopolista, la concessionaria pubblica, in termini di audience, non è riuscita a tenere il passo di Mediaset e, adesso, sta mostrando marcati segni di cedimento (anche) innanzi all’incalzante scalata di Sky, sia in termini di audence che di fatturato. La televisione di Stato si è trovata a fare i conti con quella che da sempre viene ricordata come la prima teoria dell’economia del benessere, la quale constata che “qualsiasi sistema economico perfettamente concorrenziale, raggiunge un equilibrio ottimale, ovvero una situazione in cui non è possibile incrementare l’utilità di un agente, senza ridurre quella di almeno un altro agente”. Le televisioni private hanno fatto proprio questo principio economico e, riuscendo ben a interpretare i gusti e le necessità degli utenti, hanno posto in essere la propria “scalata” e il proprio successo. Per cercare di porre rimedio a questa situazione che rischia di compromettere sempre di più l’assetto RAI, Corrado Calabrò – presidente dell’Agcom – ha ribadito nella sua relazione annuale l’urgenza di riformare completamente l’azienda, sia dal punto di vista strettamente competitivo, sia dal punto di vista normativo – contabile e, soprattutto, politico. Quest’ultimo, infatti, incide in maniera sempre più preminente sia sulle strategie commerciali sia su quello che dovrebbe essere il principio cardine di una televisione di Stato, ovvero quello di offrire informazione. Comunque, al di là di discorsi utopistici, i dati economici sono chiari: comparando i fatturati degli ultimi anni di RAI e dei più grossi competitor – Mediaset e Sky – chiaramente si evince come i fatturati della tv di stato siano rimasti pressoché invariati, più che altro grazie ad un aumento dei ricavi provenienti dai canoni, mentre i ricavi delle due emittenti private di riferimento sono in progressivo aumento. E sono in progressivo aumento le pay tv. A quanto scritto finora, segue un aspetto assolutamente da non trascurare e che dovrebbe, oramai, essere oggetto di profonda modifica: l’obbligo a carico degli utenti di pagare il canone. Già dieci anni fa l’Antitrust avanzò il dubbio sulla legittimità di tale imposta, dato che anche la “RAI è una tv in gran parte commerciale, che non si distingue dalle altre se non per la frequenza degli spot” . Oggi questa perplessità risulta più che mai attuale. (Raffaella Bossini per NL)