RAI e immobilismo. Renzi duro su sciopero: se di mestiere facessi il dirigente (RAI) rifletterei se il mio azionista mi chiedesse di vendere un pezzo di Raiway

Ne ha per tutti Matteo Renzi: dirigenza, sindacati, conduttori e direttori. È un attacco a 360 gradi contro la Rai quello che arriva due giorni dopo la proclamazione dello sciopero, fissato per l’11 giugno da parte di tutte le sigle sindacali e destinato a finire martedì sotto la lente dell’Autorità di garanzia che ne valuterà la legittimità.

Il premier sceglie di cavalcare l’onda, convinto che la ragione e anche i cittadini siano dalla sua parte. «Una polemica incredibile – sostiene al Festival dell’Economia di Trento -, se avessero annunciato lo sciopero prima delle elezioni, invece del 40,8% avrei preso il 42,8%». D’altronde, sono in molti a ritenere che il battibecco di qualche settimana fa a Ballarò con Giovanni Floris proprio sulla Rai gli abbia fruttato un bel gruzzolo di voti. Il premier ricorda anche quell’episodio: «Il problema – afferma – è che, invece di riflettere sulla qualità del servizio pubblico, mi pare si sia scelta un’altra strada, con conduttori che fanno domande assumendo le parti dell’azienda». «Vogliono fare sciopero? – attacca ancora – Lo facciano, poi andiamo a vedere quanto costano le sedi regionali. È umiliante questa polemica sullo sciopero, quando nel paese reale tutte le famiglie tirano la cinghia». La qualità dei programmi è il tema sollevato più volte dal premier, che, pur senza citarlo direttamente, sembra rivolgersi al dg Luigi Gubitosi, determinando dopo le sue parole un’impennata delle voci sulla sua possibile sostituzione nei prossimi mesi. «Se di mestiere fossi nel gruppo dirigente Rai ascolterei il mio azionista – avverte -. Rifletterei se il mio azionista mi chiedesse di riorganizzare le sedi regionali e di vendere un pezzo di Raiway, anche perchè questo non avviene a sorpresa». Il fatto è che, accanto alle misure previste dal decreto Irpef ora all’esame del Senato, il dg ha annunciato in Vigilanza che si lavora al nuovo piano industriale e che potrebbe essere necessario rivedere perimetro del gruppo, organici e offerta. Giovedì è atteso in cda un primo assaggio delle nuove sforbiciate con la presentazione dei palinsesti autunnali, a partire ad esempio dal ridimensionamento di Domenica In. Proprio quello che Renzi sottolinea di non volere. «Alla Rai – spiega – non abbiamo chiesto un taglio ai contenuti ma un contributo di 150 milioni, che è meno del valore di Raiway che è di 170». Il timore dell’azienda è che i tempi siano troppo stretti per realizzare la quotazione di Raiway entro l’anno e consentire così di far fronte ai risparmi chiesti dal governo per il 2014. Non a caso le indiscrezioni sui quotidiani di oggi davano per certo che quegli introiti andassero ad incidere solo sul 2015. «Sono illazioni – replica però la consigliera Rai, Luisa Todini -. Se l’impostazione della quotazione si chiuderà in autunno le risorse incideranno su quest’anno». Comunque sia, la strada per Gubitosi appare in salita. Tra due settimane si discuterà in cda il possibile ricorso sul decreto, il cui via libera difficilmente troverà i voti necessari. Un ricorso già annunciato dai sindacati, che oggi preferiscono mantenere un profilo basso e esprimere piuttosto apprezzamento per l’apertura di Renzi sul processo per le riforme. «Se vogliono aprire una riflessione sulla qualità del servizio pubblico, bene», dice il premier. «Finalmente siamo al cuore del tema: finalmente si parla di riforma della Rai – replica l’Usigrai -. Ma ora Renzi agisca subito: fissi le tappe, con tempi certi e serrati». Renzi comunque assicura di voler tagliare già oggi i ponti con il passato. «A quelli che vogliono fare carriera in Rai dico ‘state lontani da me perchè in questi termini non conto niente…’ – afferma –. I direttori del Tg1 non abbiano come riferimento il Pd o chi vince le elezioni. La Rai deve essere fatta da professionisti». «Sarebbe sciocco dire che la Rai non sia politicizzata – è il commento del direttore del Tg2, Marcello Masi -. Per questo io credo che debba essere riformata. La realtà dei giornalisti della tv pubblica è comunque diversa da quella che appare all’esterno». (ANSA)

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