Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’audizione svolta dal presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Giovanni Pitruzzella alla Camera dei Deputati – Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, in ordine allo schema di decreto del Presidente del consiglio dei ministri concernente l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale. (E.G. per NL)
Il presente schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, riguardante l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale ai sensi dell’art. 49, comma 1-quinquies del decreto legislativo 31 luglio 2015, n. 177 (Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi), e l’annesso schema di convenzione, sono espressione del riformato contesto normativo che disciplina il servizio pubblico radio-televisivo.
La convenzione, di durata decennale, ha carattere generale e definisce le condizioni e le modalità dell’esercizio del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, costituendo il quadro di riferimento per la stipulazione dei contratti di servizio con i quali saranno individuati i diritti e gli obblighi della società concessionaria, che avranno durata quinquennale. A questo proposito, si accoglie con favore la definizione di un quadro certo e trasparente per l’esercizio del servizio pubblico, idoneo a scongiurare i rischi legati ai regimi di prorogatio che hanno connotato i precedenti contratti di servizio.
Come già osservato in audizione al Senato, Commissione 8ª – Lavori pubblici, comunicazioni, in occasione della discussione del disegno di legge di modifica dell’assetto della RAI1 e in una successiva segnalazione al Parlamento, al Presidente del Consiglio e al Ministero dello Sviluppo Economico, il servizio pubblico radiotelevisivo va considerato, e il suo oggetto definito, nell’ambito
A testimonianza di questo mutato contesto, la convenzione fa riferimento ad un servizio pubblico che ormai non è solo radiofonico e televisivo, ma anche profondamente multimediale.
In effetti, l’affermarsi di Internet come importante piattaforma distributiva dei contenuti audiovisivi sta modificando i consumi mediatici degli Italiani, secondo un processo verosimilmente destinato a intensificarsi nel prossimo decennio. In prospettiva, peraltro, le nuove reti di telecomunicazione in fibra ottica che saranno realizzate sia attraverso gli investimenti privati che attraverso l’intervento pubblico nelle aree a fallimento di mercato consentiranno all’Italia di disporre di un’infrastruttura con capacità adeguata a gestire gli imponenti flussi di dati connessi ad un utilizzo sempre più diffuso e intensivo dei servizi audiovisivi su Internet.
Già oggi, secondo i dati Censis3, Internet è utilizzato dal 73,7% degli italiani e dal 95,9% – praticamente la totalità – dei giovani under 30. Sebbene la televisione “tradizionale” continui ad avere un pubblico coincidente con la quasi totalità della popolazione (il 97,5% degli italiani), gli utenti delle diverse forme di tv via internet si attestano al 24,4% e quelli della mobile tv all’11,2%: la crescita cumulata per la tv via internet nel periodo 2007-2016 è pari a 14,4 punti percentuali. Tale dinamica è destinata ad intensificarsi anche in considerazione delle abitudini di consumo televisivo che caratterizzano le fasce più giovani della popolazione e già ora sono pienamente “multimediali”.
In questo scenario, l’offerta della RAI su Internet non costituisce solo un aspetto del servizio pubblico radiotelevisivo “imposto” dal nuovo contesto tecnologico, ma deve essere considerato e valorizzato anche come un importante driver per lo sviluppo sempre più diffuso di una cultura digitale nel nostro Paese.
Non è un caso che, nel corso della consultazione pubblica, l’89% degli intervistati ha rilevato che la RAI dovrebbe avere un ruolo importante nel ridurre il digital divide, l’84,5% ritiene che la RAI dovrebbe produrre 3 programmi fruibili su tutte le piattaforme e da tutti i dispositivi e l’89,3% che la RAI sia allineata ai migliori standard tecnologici internazionali.
Si accoglie, dunque, con favore la previsione all’art. 3 secondo cui la società concessionaria deve garantire la programmazione in live streaming fruibile sulla piattaforma IP. E’ auspicabile, comunque, che tale offerta su Internet costituisca solo una parte di un più ricco insieme di servizi online offerto dalla RAI.
Internet, infatti, rappresenta una grande opportunità per il servizio pubblico radiotelevisivo non solo in quanto consente di ampliare la distribuzione del proprio prodotto “lineare”, ma anche perché permette forme evolutive di fruizione dei contenuti. In questo senso, proseguendo nel percorso già iniziato dalla RAI, si auspica che la convenzione riconosca esplicitamente come obiettivo la massima diffusione dei contenuti della concessionario del servizio pubblico su tale piattaforma, anche mediante l’offerta di servizi di media audiovisivi non lineari (on-demand, catch-up tv) e l’utilizzo di portali e applicazioni per i dispositivi di nuova generazione (TV connesse, set-top boxes, tablet, smartphone).
Ciò infatti non costituirebbe solo una forma di declinazione piena del principio di universalità, ma anche un elemento che può contribuire a rafforzare la domanda di servizi audiovisivi online e, dunque, lo sviluppo di un canale distributivo che ha un impatto indubbiamente pro-competitivo nel settore televisivo e radiofonico.
In linea con quanto già rappresentato dall’Antitrust nei recenti interventi sul servizio pubblico radiotelevisivo che ho prima richiamato, permane ancora oggi una concentrazione delle risorse sia per la raccolta pubblicitaria televisiva che per il mercato della pay-tv. In tale contesto, le modalità di definizione e svolgimento del servizio pubblico televisivo possono essere funzionali ad incrementare il grado di concorrenzialità dei mercati che costituiscono la filiera dei servizi audiovisivi.
In particolare, gli aspetti di maggior rilievo riguardano: (i) la definizione dei contenuti e delle attività che costituiscono il servizio pubblico; (ii) le modalità utilizzate per assicurare la separazione del servizio pubblico dalle attività commerciali; nonché (iii) la gestione delle piattaforme trasmissive.
In primo luogo, si ricorda che il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo è espressione di un interesse di tutela e promozione degli aspetti culturali e delle diversità nazionali riconosciuta dall’art. 167 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Nel riconoscere tale tutela, tuttavia, è necessario assicurare proporzionalità negli strumenti utilizzati al fine di evitare distorsioni non necessarie alla concorrenza dei mercati interessati.
Dal punto di vista degli obiettivi, anche in passato si è rilevata l’esigenza di definire con sufficiente dettaglio l’estensione del servizio pubblico, in considerazione del fatto che, anche ai sensi dello schema di convenzione, la RAI svolge sia attività pubblicistiche che attività prettamente commerciali. Definire chiaramente i contenuti del servizio pubblico costituisce un passo necessario anche per assicurare un’efficace separazione tra quest’ultimo e le attività commerciali.
Si auspica, quindi, che l’oggetto della concessione e la definizione della missione di servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale possa essere declinata con un elevato livello di dettaglio, e che nella convezione si riconosca tale esigenza, che può essere eventualmente soddisfatta anche in sede di definizione del contratto di servizio.
Quanto alle modalità di finanziamento, la bozza di convenzione in esame prevede che il concessionario possa utilizzare fonti di finanziamento miste, derivanti sia dal canone che dalla raccolta pubblicitaria. Ciò posto, l’Antitrust ha già avuto modo di evidenziare la necessità di assicurare che le risorse pubbliche siano utilizzate esclusivamente per l’assolvimento del servizio di natura pubblicistica e, dunque, che tale forma di finanziamento non vada ad alterare il normale gioco della concorrenza nel mercato della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo.
L’art. 9 della bozza di convenzione prevede che, al fine di garantire il corretto assetto concorrenziale, la società concessionaria provvede a stipulare i contratti di diffusione pubblicitaria sulla base di principi di leale concorrenza, trasparenza e non discriminazione e che le autorità di settore verificano su base annuale il rispetto dei principi suddetti e del corretto assetto del mercato.
Si osserva in merito come sarebbe utile individuare esplicitamente quali siano le autorità di garanzia di settore cui la norma fa riferimento, tenuto conto che l’Antitrust già svolge, e continuerà a svolgere, pienamente le proprie funzioni di garanzia della concorrenza e del mercato ai sensi della normativa vigente.
I principi di cui al richiamato articolo 9, nonché i limiti previsti dall’art. 11 della bozza di convenzione allo svolgimento di attività commerciali ed editoriali non rientranti nel servizio pubblico, devono essere accompagnati da soluzioni strutturali che consentano di distinguere chiaramente l’attività svolta per la fornitura del servizio pubblico e l’attività prettamente commerciale. Si prende atto che tale obiettivo trova applicazione nella bozza di convenzione attraverso lo strumento della separazione contabile e al controllo esterno previsto dall’art. 14.
In merito, alla luce del funzionamento storicamente non pienamente soddisfacente di tale misura, si auspica che possano essere implementate forme di separazione più incisive, che introducano garanzie ulteriori rispetto a quelle della separazione contabile. Ciò in virtù del fatto che la condizione in cui RAI si ritrova, con un’offerta televisiva al pubblico molto vasta e con una necessità inferiore di ricorso al mercato rispetto ai concorrenti nel mercato della televisione gratuita, potrebbe creare distorsioni sia nell’acquisizione dei contenuti di natura commerciale, che nell’offerta di spazi pubblicitari televisivi.
Pertanto, si auspica che la bozza di convenzione possa essere modificata prevedendo che la predisposizione di una contabilità separata costituisca solo il livello minimo di garanzia, e che nei contratti di servizio sia possibile, se non necessario, definire (anche) forme più incisive di separazione, in linea con quanto già rilevato dall’Antitrust.
Per quanto riguarda i contenuti, si osserva che tra gli obiettivi individuati dalla bozza di convenzione vi è il sostegno allo sviluppo dell’industria nazionale dell’audiovisivo mediante l’acquisizione di contenuti prodotti da imprese che abbiano stabile rappresentanza in Italia. Nel ricordare che l’obiettivo rientra nell’interesse alla tutela e promozione della cultura riconosciuta dal TFUE, si rileva che il Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (d.lgs. n. 177/2005) prevede che la concessionaria del servizio pubblico debba destinare una quota dei ricavi complessivi “al pre-acquisto o all’acquisto di opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” (art. 44, comma 3). In ogni caso, anche alla luce di quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato a favore delle opere cinematografiche e di altre opere audiovisivi, è auspicabile che il requisito della “stabile rappresentanza” non sia interpretato restrittivamente, ma includa anche le imprese costituite in altri Stati membri ed operanti in Italia tramite una filiale o agenzia permanente.
L’evoluzione tecnologica che investe il settore televisivo sotto il profilo delle piattaforme di distribuzione/trasmissione non si esaurisce nello sviluppo di Internet, ma interessa anche le future evoluzioni del digitale terrestre, che costituisce tuttora la più importante piattaforma per la trasmissione e fruizione dei contenuti audiovisivi in Italia ed è destinata a mantenere tale centralità anche nel prossimo futuro. Ciò nonostante l’esigenza di una ristrutturazione della capacità trasmissiva utilizzata dagli operatori di rete per consentire il refarming della banda a 700 MHz a vantaggio dei servizi di banda (ultra-)larga mobile.
L’articolo 4 della bozza di convenzione impone alla RAI l’obbligo di operare, anche tramite la propria partecipata RAI Way, all’avanguardia nella sperimentazione e nell’uso delle nuove e tecnologie, nonché di assicurare un uso ottimale delle risorse frequenziali messe a disposizione dello Stato.
In particolare, la concessione comprende l’installazione e l’esercizio tecnico degli impianti destinati alla diffusione di programmi sonori e televisivi e il comma 3 dell’art. 4 prevede che per gli sviluppi a lungo termine può essere prevista la realizzazione di impianti comuni con gli altri operatori televisivi e di telecomunicazioni.
Occorre considerare le implicazioni che tale possibile sviluppo a lungo termine delle reti trasmissive può avere sull’intera filiera del settore televisivo, oggi caratterizzata dalla distinzione tra le cosiddette tower companies e gli operatori di rete.
Le tower companies, che operano nel mercato dell’ospitalità di impianti televisivi, offrono spazi fisici nelle proprie strutture agli operatori di rete, potendo altresì offrire servizi accessori di manutenzione e installazione degli impianti. In tale mercato, operano attualmente due operatori nazionali (RAI Way e EI Towers) e una molteplicità di piccoli operatori locali.
Gli operatori di rete, ai sensi di quanto stabilito dal TUSMAR, sono i soggetti titolari del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite, e di impianti di messa in onda, multiplazione, distribuzione e diffusione delle risorse frequenziali che consentono la trasmissione dei programmi agli utenti. Tali operatori, dunque, sono titolari delle frequenze utilizzate per la trasmissione dei contenuti su digitale terrestre e, generalmente, anche i gestori effettivi degli impianti attraverso i quali tali contenuti sono veicolati. In alcuni casi, tuttavia, la gestione impiantistica viene effettuata da soggetti differenti dal titolare del diritto d’uso delle frequenze (ossia da altri operatori di rete o tower companies).
In occasione dell’esame dell’operazione di concentrazione C11987 – EI Towers/RAI Way l’Autorità aveva avuto modo di valutare le criticità concorrenziali che avrebbero interessato il mercato delle infrastrutture per la radiodiffusione televisiva. Infatti, si rilevava come la concentrazione avrebbe comportato la creazione di un operatore unico nazionale verticalmente integrato con effetti pregiudizievoli della concorrenza sia nel suddetto mercato che nei mercati a valle del broadcasting digitale e della raccolta pubblicitaria televisiva.
Tali criticità discendevano sia dagli effetti di natura orizzontale della concentrazione, ossia della creazione di un unico soggetto che detiene le infrastrutture per l’ospitalità di impianti televisivi a livello nazionale, ma soprattutto dagli effetti di natura verticale, ossia della circostanza che l’unica tower company sarebbe stata controllata da un soggetto attivo anche come operatore di rete nonché nella raccolta pubblicitaria televisiva.
Tali preoccupazioni concorrenziali connesse alla presenza di un operatore unico verticalmente integrato assumono particolare rilievo nello scenario in cui i servizi forniti non siano solo meri servizi di ospitalità, ma anche servizi “chiavi in mano” che consistono in una vera e propria gestione “full service” degli impianti trasmissivi.
Occorre, dunque, prestare attenzione nel disegnare possibili collaborazioni che incidano su delicati aspetti della distribuzione del segnale televisivo – dai quali dipende la qualità delle trasmissioni – che fino ad ora sono stati svolti autonomamente da operatori concorrenti.
Occorre considerare, peraltro, che gli obblighi di servizio pubblico in capo a RAI non riguardano solo l’attività di fornitore di servizi media audiovisivi (ossia, i contenuti), ma condizionano anche gli investimenti e i costi per la copertura delle reti: basti pensare agli obblighi di copertura (al 100%) imposti a RAI che non sono rinvenibili nelle reti degli altri operatori commerciali. Pertanto, desta preoccupazione – ad esempio, per i possibili sussidi incrociati che si potrebbero generare – la possibilità che infrastrutture ed impianti possano essere integrati, facendo venir meno la differenza tra attività trasmissive specificamente rivolte al soddisfacimento degli obblighi del servizio pubblico e quelle che fino ad oggi sono state sviluppate e gestite autonomamente dai diversi operatori di rete attivi in Italia secondo un’ottica pienamente commerciale.
Nella medesima prospettiva, desta preoccupazione anche la previsione di cui all’art. 4, comma 5, della bozza di convenzione secondo cui i canoni relativi all’utilizzazione degli impianti sarebbero stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Sebbene, tali canoni sarebbero definiti “in rapporto al costo degli impianti stessi e in analogia con quanto previsto per i titolari di autorizzazione per la fornitura delle reti”, la previsione appare comunque introdurre un canone unico amministrato per servizi attualmente resi in regime di libero mercato.
Le questioni che ho sollevato interessano una dimensione più ampia del tema oggi trattato, e investono i più generali sviluppi futuri dei mercati audiovisivi, che a loro volta incidono sul ruolo che il servizio pubblico può svolgere in tali mercati. L’occasione concessa di confronto, pertanto, è stata colta in questa sede per rappresentare l’importanza di alcuni temi per assicurare il grado di concorrenza che, a livelli diversi della filiera di settore, in Italia si è lentamente e faticosamente affermata a seguito dell’evoluzione digitale.