“Marmellatizzazione” dei dipendenti. Il termine, inventato con estro poetico dai sindacati dell’azienda radiotelevisiva, la dice lunga sugli scenari futuri di viale Mazzini. Nella sostanza, si prevede che le funzioni ed i compiti codificati in decenni vengano progressivamente azzerati. Negli intenti (campa cavallo), tutti dovrebbero fare tutto, di più o di meno, ma senza quel rigore verticale imposto da ataviche stratificazioni contrattuali. Se ai giornalisti, con l’avvento della digitalizzazione, spetterà anche l’allestimento del servizio, per i montatori (in tutto circa 250 persone assunte a tempo indeterminato, più 90 contrattisti del “bacino B”), il futuro si prospetta tutt’altro che roseo. Il Piano industriale elaborato da Claudio Cappon a fine ottobre e che sarà oggetto di un’ennesima verifica il 9 gennaio in Consiglio di amministrazione prevede, infatti, la cancellazione quasi completa di alcune figure professionali, come quella dei montatori, nell’area delle news. Lo scorso 6 dicembre il direttore generale avrebbe dovuto incontrare i rappresentanti sindacali. Ma il terremoto provocato dal reintegro del consigliere Carlo Maria Petroni (rimosso d’ufficio dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa e riammesso dal Consiglio di Stato), ha fatto saltare l’incontro, osteggiato del resto anche dalla Cgil. Il problema però resta. Il montatore in Rai è ancora una figura fondamentale. E’ infatti compito di questi professionisti dell’immagine allestire il servizio “spalmando” su una traccia sonora le immagini e gli effetti che sono parte integrante dei “pezzi” giornalistici che vanno in onda nei telegiornali e nei programmi di rete. Secondo Cappon – o meglio stando ai suggerimenti avanzati del team di analisti consultati dalla Rai per “razionalizzare” l’azienda – ben il 90% di questi dipendenti dovrà essere ricollocato. Una piccola parte verrà posta in prepensionamento. Per gli altri si profila invece un bel futuro nelle produzioni di pregio e ad alto valore aggiunto (fiction, programmi di punta, ecc.), sempre che la Rai non continui a appaltare all’esterno questi montaggi. In effetti, l’azienda appare intenzionata ad apportare, per i prossimi anni, una forte contrazione degli appalti esterni. Ma i montatori Rai non solo non vogliono subire passivamente la “riforma dimagrante”, ma hanno anche già pensato alle contromisure da adottare avverso l’azienda. L’idea che hanno avuto è di fare ricorso agli Ordini regionali dei giornalisti per chiedere loro accesso al relativo albo professionale e quindi mettere viale Mazzini davanti al fatto compiuto. Costringendo così l’azienda a riassumerli come giornalisti dopo aver tentato di esonerarli come montatori. E non è detto che non le facciano. Lo scorso 30 ottobre infatti due tecnici di produzione della sede regionale Rai di Palermo hanno ottenuto dal Tribunale siciliano il placet per poter sostenere l’esame di abilitazione professionale. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha però fatto ricorso in appello contro la decisione del Tribunale palermitano. Resta il fatto che i due dipendenti della Rai siciliana per il momento sono stati ammessi alla prova scritta. La giurisprudenza di merito però non è ancora consolidata su questo tema. Altri montatori della sede regionale dell’Umbria hanno pensato di seguire la stessa strada. Ma una recente sentenza della Cassazione (n. 18190/2007 dell’11 ottobre 2007) ha dato loro torto. Di certo è sicuro che se in 250 presentassero ricorso ai competenti Ordini regionali dei giornalisti il caso da giuridico diventerebbe “politico”. Senza dimenticare che in Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia i rispettivi ordini professionali hanno già inserito nell’elenco dei giornalisti pubblicisti i tecnici della produzione che effettuano mansioni di montaggio. Inoltre, fino a quando la Rai non verrà tutta informatizzata e non verranno addestrati i giornalisti a montarsi i servizi in autonomia, i montatori con pochi e ben mirati scioperi saranno in grado di paralizzare il montaggio per lo meno nei Tg. Morale: i telegiornali potrebbero non avere alcun servizio montato, ma solo immagini a riporto. Altro caso riguarda i montatori con contratto a tempo determinato. Sono circa una novantina e lavorano per le reti e soprattutto per le rubriche dei Tg in virtù di un accordo sindacale del 2005 (prorogato nel 2007) che assicura una successione di contratti di almeno 6 mesi per ogni anno sino al 2009. Fino a tale data, i montatori a termine si sono impegnati a non chiedere alcuna vertenza a “mamma Rai”. Ma se, nei prossimi due anni, non ci sarà spazio e lavoro per i montatori interni, come farà viale Mazzini a far lavorare i contrattisti? Il pericolo, a questo punto, è che, stufi di attendere il reintegro e l’assunzione a tempo indeterminato, i montatori a termine decidano di chiedere una bella vertenza collettiva. E i precedenti in merito non mancano. La Rai, lo scorso giugno, ha miseramente perso una vertenza condotta dall’Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti. Il tribunale di Roma ha riconosciuto che il lavoro dei 17 programmisti registi, altra figura ibrida made in Rai consista a tutti gli effetti in una vera e propria attività giornalistica. L’azienda pubblica è stata perciò condannata a pagare i contributi arretrati per complessivi 330mila euro. Nella prima metà del gennaio 2008 i sindacati interni dovrebbero incontrare i vertici aziendali. Sarà un caso, ma proprio il prossimo 31 dicembre decadrà la parte normativa del contratto degli impiegati, padri e operai della Rai. Strana coincidenza che il Piano industriale decolli proprio a contratto scaduto.(Paolo Masneri per NL)