Dunque, come abbiamo scritto, questo è il momento più subdolo della crisi. Formalmente il peggio è passato: siamo in ripresa. Lenta, ma ripresa. Sul piano sostanziale le voci sono però dissonanti. Il punto è che al capitombolo economico non ha, visibilmente, fatto diretto seguito il ruzzolone finanziario: il secondo, infatti, ha avuto uno scarto temporale di circa sei mesi rispetto al primo (l’alveo della crisi economica è stato toccato ai primi di febbraio, quello finanziario a luglio). Per tale motivo gli effetti della ripresa saranno frustrati per un periodo equivalente, per cui vedremo i primi benefici dell’inversione del trend presumibilmente tra dicembre e gennaio 2010. Nell’interregno, il momento zombiesco della post-crisi/pre-ripresa, dovremo arrangiarci, lavorando (possibilmente) di più per guadagnare (probabilmente) meno, stringendo (certamente) la cinghia. Intanto, il forzato azzeramento delle vecchie consuetudini aziendali, quale esito di un indifferibile riordino teso a limitare i costi, ha prodotto un incremento dell’outsourcing. Nel merito, l’affidamento all’esterno di servizi di natura prevalentemente produttiva e gestionale, precedentemente svolti all’interno dell’azienda, ha, infatti, avuto con la crisi economico-finanziaria un incremento medio del 25%, che nelle piccole e medie imprese ha raggiunto picchi del 30%. Non si è sottratto al trend generale il settore radiotelevisivo, che ha visto rinnovarsi, nella direzione delle emittenti radiofoniche più piccole, per esempio il vecchio modello della “radio chiave in mano” (ora anche fornite in kit di montaggio attraverso la formula del franchising), naturalmente facilitato dall’evoluzione tecnologica (col podcasting al contrario, cioè “verso” la radio). Anche la produzione di spot, ormai contrassegnata da un pugno di grandi studi che dominano il mercato con pochi concorrenti di ridotte dimensioni, spesso moribondi, retaggio della immensa moltiplicazione avvenuta tra la seconda metà degli anni ’80 ed i primissimi anni ’90, ha visto reazioni al deficit commerciale, come la creazione di linee economiche, anche destinate alle nuove radio libere, le web-radio, spesso amatoriali (universo smisurato, quanto variegato). Nel comparto tv è frattanto in corso la muta con il passaggio al digitale, che già sta portando alla rapida riscrittura di congetturati sfondi della prima ora, che profetizzavano di grassi network provider comodatamene seduti sui propri canali numerici terrestri ad indugiare mentre energici e facoltosi content provider premevano alla loro porta con tintinnanti borse dai cordoni ampi, pronte a rovesciarsi sui tavoli. La vicenda Sky-Rai-Mediaset ha, invece, svegliato come una trillante sveglia alle 6 del mattino gli editori locali dai sonni dorati: non era nient’affatto detto che dovesse essere il content provider a cacciare il grano per far trasportare i propri contenuti. Anzi – incubo! – ben poteva essere che, per rendere appetibile il proprio bouquet, altrimenti asfittico, fosse l’operatore di rete a dover, se non pagare, quantomeno veicolare gratuitamente i contenuti di spessore del fornitore, contentandosi al più di una retrocessione parziale degli introiti pubblicitari o da pay tv. Fatto sta che, anche in questo caso, l’affidamento all’esterno della produzione non solo è ormai una prassi consolidata, ma è destinata ad acuirsi. Sul fronte dei servizi in senso stretto, la solfa non cambia: alcune reti nazionali (radio e tv) hanno ormai se non smantellato almeno riorganizzato gli uffici tecnici interni, preferendo affidarsi a società esterne per la gestione di pratiche tecnico-amministrative, soprattutto se relative a problematiche di natura urbanistica, ambientale e sanitaria. Emblematica è, a riguardo, l’esperienza di Consultmedia, prima struttura italiana multidisciplinare in ambiente radiotelevisivo (collegata a questo periodico), che, in piena crisi economica, ha visto crescere a 2 cifre la richiesta di servizi di assistenza urbanistica, ambientale e sanitaria da parte di grandi e medi operatori (per i piccoli l’affidamento all’esterno di questo tipo di pratiche era già una consuetudine forzata) rispetto al 2008.
Qualcuno potrà sorridere a riguardo, ma forse non è troppo lontano il momento in cui l’editore (o l’operatore di rete) pagherà un canone annuale per la gestione integrale degli impianti di diffusione, sollevandosi da qualsiasi incombenza a riguardo dei medesimi, senza preoccuparsi di guasti o sostituzioni di apparati per obsolescenza. Come già accade per i fotocopiatori, i fax e le stampanti.