La pubblicazione dell’elenco delle imprese di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore – ritenute idonee all’attività di intermediari dei diritti connessi al diritto d’autore, di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni – porterà senza dubbio un rinnovato entusiasmo nel “mondo degli artisti”.
Da più parti, infatti, si era espresso il convincimento che la liberalizzazione del settore avrebbe aperto nuovi scenari in un mercato monopolizzato di fatto dall’IMAIE (oggi “Nuovo IMAIE”, dopo l’estinzione decretata dal Prefetto di Roma nel 2010); così che gli operatori del settore avevano salutato con favore l’introduzione del principio di liberalizzazione (decreto liberalizzazioni del Governo Monti), auspicando che la riforma potesse incidere in modo decisivo sulla tempistica e sulla correttezza della rendicontazione e, di conseguenza, sulla celerità del pagamento dei diritti connessi in favore degli artisti, interpreti ed esecutori. Altrettanto non può dirsi per i settori radiotelevisivo e della comunicazione web: è del tutto innegabile che la liberalizzazione, con il conseguente riconoscimento della legittimazione alla gestione dei diritti connessi in favore di diversi e variegati organismi, comporterà un’ulteriore grave confusione alla già complessa disciplina di riferimento. Gli editori che diffondono musica, mentre per anni sono stati costretti a fronteggiare il sostanziale monopolio della SCF (dichiaratasi rappresentante del 95% del repertorio musicale), dovranno ora fare i conti con altre sette compagini, anch’esse rappresentanti di titolari di diritti connessi. Nei numerosi contenziosi con le emittenti radiotelevisive, la SCF si è limitata a dichiararsi creditrice per il solo fatto di rappresentare la maggior parte dei produttori fonografici, senza dimostrare l’effettivo utilizzo di supporti del proprio “repertorio” (realizzati da soggetti aderenti alla Società Consortile) ed in assenza di criteri legittimi di calcolo (dimostrazione dell’effettivo utilizzo dei supporti da parte dell’emittente e dell’incidenza che tale utilizzo abbia positivamente avuto sul fatturato della stessa). La materia è estremamente complessa e farraginosa; la recente liberalizzazione (pur rispondendo alle condivisibili esigenze di apertura concorrenziale nel mercato), in assenza di un meccanismo di armonizzazione nella gestione (ad es. individuazione di un unico soggetto delegato alla raccolta dei compensi), non potrà che pregiudicare l’attività degli editori che diffondono musica; e, con l’inevitabile aumento dei contenziosi, riacutizzare il rapporto tra il settore produttivo musicale e quello radiotelevisivo. Un paradosso che andrebbe davvero evitato! (I.M. per NL)