Radiodiffusione. TAR Lazio: illegittima ordinanza dell’Ispettorato che disattiva dopo 25 anni impianto preteso non censito, ma ricompreso in concessione e dichiarato ex L. 66/2001

Il TAR Lazio, a distanza di poche settimane da un pronunciamento su una fattispecie simile, ha ribadito l’illegittimità di un atto con cui un organo periferico del Ministero dello Sviluppo Economico inibisce sine die l’esercizio di un diffusore FM, ponendosi un provvedimento siffatto come sostanziale depennamento dal titolo all’esercizio.

Nel merito, era accaduto che un’emittente locale aveva ricorso contro una nota con la quale, contestando un asserito mancato censimento di un diffusore comunque ricompreso nel decreto concessorio e dichiarato ex L. 66/2001, il locale Ispettorato Territoriale ne inibiva l’esercizio. La ricorrente, sostenendo per converso che l’impianto (attivato prima del 1990) era stato regolarmente censito ex art. 32 L. 223/1990 e che, in occasione dei successivi trasferimenti di proprietà (nel 1993, prima del rilascio del titolo concessorio, per cui era stata inviata dichiarazione ex L. 422/1993, e nel 1997, prima della domanda ex L. 66/2001), mai ne era stata contestata la legittimità dalla P.A., tanto che il medesimo era stato regolarmente ricompreso nell’allegato al decreto concessorio assentito al soggetto che lo aveva acquisito (nel 1993) dall’emittente che lo aveva acquisito a titolo originario e volturato successivamente alla successiva alienazione (del 1997), nonché nell’elenco inviato ai sensi e per gli effetti della L. 66/2001 (nel settembre 2001). In definitiva, l’esponente rappresentava che l’impianto per cui era causa, oltre ad essere assistito da regolare concessione, risultava tra quelli autorizzati, ai sensi della legge 66/2001, dalla Direzione Generale Concessioni ed Autorizzazioni del Ministero delle Comunicazioni e che, in concreto, nell’arco di oltre venti anni, la legittimità dell’attività dell’impianto stesso non era mai stata oggetto di contestazione da parte del Ministero. La deducente, posto che il provvedimento ablativo risultava emesso a distanza di circa quindici anni dall’acquisto dell’impianto (e di circa ventitre anni dal censimento, ex art. 32, legge 223/90), lamentava la violazione del principio di affidamento unitamente all’eccesso di potere per contraddittorietà rispetto ad altri atti della stessa amministrazione, censurando altresì l’incompetenza dell’organo locale nell’adozione di un atto cui conseguiva l’esclusione dell’impianto dall’elenco allegato all’atto di concessione. antenne%20FM%20e%20UHF%20Stamira%20d'Ancona%20Milano(2) - Radiodiffusione. TAR Lazio: illegittima ordinanza dell'Ispettorato che disattiva dopo 25 anni impianto preteso non censito, ma ricompreso in concessione e dichiarato ex L. 66/2001Disposto con ordinanze istruttorie il deposito da parte del Ministero di una documentata relazione sui fatti di causa, con riguardo alle censure svolte dalla parte ricorrente, con provvedimento cautelare il TAR accoglieva la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati, avendo “Ritenuto, ad una sommaria delibazione, che le censure svolte nel ricorso presentano elementi di fumus boni juris, quanto meno con riguardo al profilo della contestata contraddittorietà degli atti gravati e della violazione del principio dell’affidamento…”. Alla Camera di Consiglio del 25/03/2015  il Collegio confermava l’avviso espresso nella fase cautelare del giudizio in ordine alla fondatezza della pretesa fatta valere dalla parte ricorrente, fondando la propria determinazione sulla circostanza che dalla documentazione acquisita emergeva che l’impianto in argomento era stato legittimamente acquistato e inserito nella concessione volturata e che l’atto impugnato era stato adottato da un organo periferico dell’Amministrazione dello Sviluppo Economico. Sul punto osservava il Collegio che l’ordine di disattivazione di un impianto, adottato sine die, importava l’eliminazione dell’impianto dalla concessione ministeriale già rilasciata, di tal che appariva viziato, in primo luogo, da incompetenza l’adozione, da parte dell’Ispettorato Territoriale, di un provvedimento al quale conseguiva l’esclusione dell’impianto de quo dall’elenco allegato all’atto di concessione, operata sulla base di un asserita e non provata illegittimità del medesimo. E invero, un atto dagli effetti cosi gravi e definitivi avrebbe potuto essere adottato – in ogni caso all’esito di un procedimento svolto in contraddittorio tra le parti e sulla base di una puntuale e congrua motivazione – solo a seguito di un formale provvedimento ablativo da parte del Ministero, che aveva rilasciato la concessione riguardante l’impianto in questione, provvedimento che non risultava, tuttavia, essere stato adottato dall’Autorità centrale. Era infatti ad avviso del collegio giudicante pacifico per consolidata giurisprudenza che agli organi periferici del Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni spettassero compiti di controllo ed ispezione, con possibilità di imporre modifiche tecniche, ove necessarie, ed anche di ordinare la disattivazione degli impianti, ma solo come misura temporanea, indirizzata alla rimozione delle disfunzioni rilevate, con la conseguenza che gli Ispettorati Territoriali non avevano il potere di disporre, come nel caso all’esame, una eliminazione definitiva dell’impianto. antenne%20UHF%20e%20FM%20Corato%20Murgetta - Radiodiffusione. TAR Lazio: illegittima ordinanza dell'Ispettorato che disattiva dopo 25 anni impianto preteso non censito, ma ricompreso in concessione e dichiarato ex L. 66/2001Come il Consiglio di Stato aveva affermato, “Deve ribadirsi … che il potere di disattivazione dell’impianto non può confondersi con quello di revoca della concessione, in quanto la disattivazione è prevista per eliminare interferenze, disturbi e modifiche tecniche sostanziali mentre il potere di revoca trova il suo fondamento nei consueti presupposti di riesame d’opportunità del provvedimento originario, incidendo la disattivazione sul mero esercizio dell’attività, la revoca sull’atto-fonte che costituisce la posizione giuridica dell’impresa concessionaria"(Cons. Stato, Sez. VI, 26.1.2009, n. 345); con la precisazione che "una disattivazione sine die – come quella che appariva disposta con il provvedimento in origine impugnato – entra tuttavia in una diversa sfera di esercizio del potere, implicando effetti non diversi da quelli riconducibili alla revoca di concessione … spettanti all’autorità centrale con la procedura di cui al citato art. 31 della legge 223/1990” (Cons. Stato, Sez. VI, 19.8.2008, n. 3956 e 10.9.2007, n. 4740). Ne conseguiva la fondatezza del ricorso proposto, anche sotto il diverso profilo della lesione del principio dell’affidamento innegabilmente ingenerato nella deducente, stante il notevole tempo trascorso senza rilievi o contestazioni circa il legittimo utilizzo e la regolarità dell’attività dell’impianto in esame; affidamento consolidato anche per effetto dei ricordati atti formali adottati dall’Amministrazione intimata. Sul punto, per i giudici amministrativi "secondo l’univoco orientamento della giurisprudenza, il principio dell’affidamento è suscettibile di applicazione anche nel diritto pubblico, “collega[ndosi] direttamente all’obbligo di buona fede oggettiva quale regola di condotta che (per quanto riconosciuta espressamente nelle sole disposizioni del codice civile) conforma l’assiologia dell’ordinamento generale, venendo così a coincidere con l’aspettativa di coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale diviene fonte di un vero e proprio obbligo, per quest’ultima, di tenere in adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato, la cui protezione non si presenta più come il prodotto, accessorio, della cura dell’interesse pubblico, ma come l’oggetto di un’autonoma pretesa, contrapposta all’interesse dell’amministrazione. Il risultato è che la verifica giurisdizionale dell’osservanza del principio di buona fede non coincide con quella svolta in termini di eccesso di potere (ovvero secondo il paradigma della logicità e ragionevolezza) bensì attiene all’osservanza di una norma (quella di buona fede e correttezza) che si rivolge all’amministrazione nella relazione con il cittadino. L’impostazione di ricondurre la buona fede tra gli obblighi di comportamento dell’amministrazione esigibili dal privato, del resto, ben si raccorda con le istituzioni giuridiche dell’ordinamento sovranazionale in cui risulta oramai costituzionalizzato il "diritto alla buona amministrazione" tra i diritti connessi alla posizione fondamentale di cittadinanza (art. 41 della Carta europea dei diritti; art. II-101 del Trattato per la Costituzione europea), il cui pregnante contenuto valoriale riveste una indubbia funzione di integrazione e interpretazione delle norme vigenti, imponendo di prendere in rinnovata considerazione la formulazione delle regole che presiedono all’esercizio del potere (Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 31.1.2013, n. 291; id., 11.5.2010, n. 1455)". Discendeva che, nel caso all’esame, il tempo trascorso, unitamente all’adozione dei richiamati atti amministrativi, preceduti da verifiche svoltesi senza la formalizzazione di alcuna riserva, dovevano condurre all’illegittimità dei provvedimenti oggetto di gravame, anche per violazione del principio del legittimo affidamento di cui al proposto ricorso, sicché il ricorso risultava fondato e doveva essere accolto, col conseguente annullamento degli atti impugnati. (M.L. per NL)

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