Per il momento è soltanto una proposta, poco più di un rumor. Ma l’effetto domino che potrebbe provocare si ripercuoterebbe in maniera fortissima e irrimediabile su tre industrie: quella radiofonica, quella musicale e quella dell’elettronica di consumo.
L’idea parte dalla situazione poco florida in cui versa, negli USA come nel resto del mondo, l’industria musicale, acciaccata dall’impatto negativo con il digitale (in tutte le sue forme ed espressioni). La RIAA, cioè la rappresentanza sindacale dell’industria della musica negli Stati Uniti, starebbe, infatti, cercando di rimettersi in gioco attirando l’industria del broadcasting verso un accordo che, alla lunga, potrebbe contribuire ad alleviare le sofferenze dei discografici. Al centro dell’accordo ci sarebbero i diritti connessi ai diritti d’autore (quelli che in Italia sono affidati a SCF e le cui aliquote hanno determinato una durissima guerra con le reti nazionali) e il tentativo, attraverso lo studio di una proposta di legge (Performance Rights Act), di estendere la quota corrisposta da parte dei broadcaster anche alle loro case discografiche. E ciò in considerazione del fato che, ad oggi, la legislazione statunitense prevede che le emittenti radio – che già di per sé rappresentano un veicolo pubblicitario gratuito importantissimo – corrispondano il pagamento dei diritti connessi ai soli autori dei brani e non ai produttori dei supporti. Tutto ciò, però, apparentemente, andrebbe a discapito dell’industria radiofonica che, specie per quanto concerne le piccole emittenti locali, non sopravviverebbe a lungo ad un aumento di spesa così ingente. Se non fosse che la NAB, l’associazione americana dei broadcaster, avrebbe operato una controproposta accattivante, incontrando l’immediato benestare della RIAA. Ok al carico maggiore di diritti connessi – destinati, quindi, anche ai discografici – purché essi rientrino in uno schema di prezzi agevolato (che non supererebbe il tetto massimo di 100 milioni di dollari annui) e a condizione di convincere il Congresso a inserire un terzo attore nella disputa (e quindi nel Performance Rights Act): i produttori di elettronica di consumo. Già, l’idea dei vertici NAB sarebbe quella di obbligare, per legge, i produttori a inserire dispositivi di ricezione FM in ogni apparecchio elettronico, in particolar modo i telefoni cellulari. In questo modo i broadcaster radiofonici (che negli USA hanno quale piattaforma diffusiva principale la modulazione di frequenza, analogica e digitale) vedrebbero moltiplicato il proprio potenziale d’ascolto, con riflessi sui listini degli spazi pubblicitari e determinando così un circolo virtuoso che potrebbe servire a finanziare l’industria musicale arrancante. Un anello della catena, però, non pare d’accordo. Si tratta della CEA (Consumer Electronics Association), l’associazione dei consumatori di prodotti elettronici che, secondo il suo presidente Gary Shapiro, sarebbero penalizzati dall’accordo. Per Shapiro, i consumatori sarebbero stretti nella morsa degli interessi dei due giganti, che cercherebbero, a suo dire, di "mettere i bastoni tra le ruote a coloro che guardano al futuro". "I produttori di elettronica di consumo – sostiene il presidente della CEA – si troverebbero a dover ripensare la propria linea di produzione, a sacrificare spazio, leggerezza e contenimento dei consumi solo per includere una funzionalità che i consumatori non sembrano ritenere fondamentale". Vedremo come finirà anche questa nuova parentesi dell’evoluzione del medium elettronico più vecchio del mondo. (G.M. per NL)