Con la Brexit non si profilano solo conseguenze sulla finanza e le esportazioni: il Regno Unito rischia, infatti, di tagliare una corposa dose di fondi per uno dei suoi mercati più fiorenti, cioè quello audiovisivo.
Non solo la borsa piange per il risultato del referendum che ha approvato la Brexit ma, a seconda di come si concluderanno gli accordi fra l’Unione e il Regno (per il momento) Unito, l’industria cinematografica, televisiva e, più in generale, della produzione di contenuti rischia di subire un duro colpo nelle terre della corona. Basti pensare che, fra il 2007 e il 2013, l’audiovisivo britannico ha ricevuto la somma sontuosa di 111 mln di sterline grazie al Programma UE Media. Secondo un’analisi di Screen, giornale accademico specializzato in tv e media di Oxford, i risultati del referendum hanno già avuto delle ripercussioni sul settore portate dal mondo della finanza, vedendo scendere il valore di mercato per grossi gruppi come Sky o Vivendi. Quello che maggiormente preoccupa, adesso, è il modo in cui si delineeranno i futuri rapporti con l’Unione; nomi come quelli dei Pinewood Studios, storico teatro di posa, rischiano di perdere il loro grosso giro d’affari proveniente dall’estero nella figura di grosse produzioni hollywoodiane ben disposte ad ammortizzare i costi di produzione grazie ai fondi europei, una strategia seguita a titolo di esempio nella serie colossal Game of Thrones di HBO, girata in molte sue fasi a Belfast proprio per approfittare delle agevolazioni dell’Unione. Ma lo stesso discorso si può fare sulle produzioni locali: l’emittente pubblica inglese, la BBC, vede la maggioranza delle attività sul suo bilancio grazie proprio alla produzione di contenuti che sicuramente risentiranno del cambiamento politico. Il dato è chiaro: una grossa mole d’investimenti nell’industria audiovisiva rischia di spostarsi in massa se i britannici non otterranno un accordo che li renda ancora appetibili con l’UE; investimenti che, per le stesse ragioni per cui potrebbero abbandonare il Regno Unito, rischiano di spalmarsi in altri paesi Europei. Come rilevato da Michael Ryan, presidente della Independent Film & Television Alliance e partner di GFM Films, “la produzione di programmi televisivi e cinematografici è un business molto rischioso e costoso e serve la certezza delle regole” che l’Europa era in grado di dare; tanto più, continua Ryan, che “oggi non sappiamo più come funzioneranno i nostri rapporti con i coproduttori, finanziatori e distributori, se ci saranno nuove tasse per noi nel resto d’Europa, come verrà gestito il finanziamento alla produzione”. Un vero peccato che l’Italia, fra eccezioni culturali, tasse elevate e concorrenze non proprio leali, abbia un indiscusso primato nell’allontanare gli investitori. (E.V. per NL)