C’è un bubbone che sta per scoppiare: i conti terzi (cioè i “rimborsi” per la attività da svolgere o svolte) degli Ispettorati territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico.
Ci si domanda: è legittimo richiedere ad un’emittente che ha sede in un’area dove il Ministero non ha più unità periferiche somme maggiori rispetto a quelle domandate ad un’altra che invece ha la “fortuna” di essere prossima alla sede dell’Ispettorato o di una sua Dipendenza Operativa Provinciale? Il buon senso prima che le norme dovrebbe far rispondere di no.
Eppure ciò accade sempre più frequentemente, con conti terzi salatissimi a carico di soggetti che hanno la sventura di operare ad enorme distanza dalla sede dell’I.T. nella cui giurisdizione sono ricompresi. La misura tuttavia è colma e quindi qualcuno ha deciso di prendere carta e penna e di contestare la circostanza all’I.T. interessato, ma anche alla D.G.A.T. (Direzione Generale per le Attività Territoriali) del Mise.
“Siamo davanti a quello che in diritto amministrativo è definita una “disparità di trattamento”, cioè quando con riferimento a due o più identiche situazioni di fatto la P.A. adotta provvedimenti diversi e tra loro inconciliabili – commenta l’avv. Stefano Cionini di MCL Avvocati Associati, law firm che gestisce in maniera esclusiva l’Area Affari Legali di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico) -. In termini tecnici si tratta di una figura sintomatica dell’eccesso di potere, cioè la più importante e più discussa rappresentazione dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo“.
“Sul punto, giova fornire conto di un recentissimo pronunciamento della Corte Costituzionale (sent. n. 47 del 26/03/2015), intervenuta a chiarire il precetto di cui all’art. 93, comma 1, D.Lgs. n. 259/2003 esprimendo un principio – di generalizzata applicazione poiché immanente al nostro ordinamento giuridico – in base al quale a tutti gli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche deve essere garantito un trattamento uniforme e non discriminatorio, tanto più nel caso in cui la ragione della perpetrata discriminazione derivi dall’applicazione di regole organizzative interne del Ministero dello Sviluppo Economico che ha negli anni accorpato molte sedi regionali”, spiega il legale. In altri termini, la circostanza che un’emittente risieda in una regione ove la P.A. non ha sedi periferiche – perché le ha soppresse (per esigenze economiche) – non può evidentemente costituire una giustificazione ad una maggiore pressione economica nei confronti di un’impresa rispetto ad un’altra che ha il centro dei propri interessi in prossimità della sede dell’Ispettorato, il quale addebita i conti terzi in funzione dei km e del tempo necessari per gli interventi.
“Diversamente opinando, si genera, appunto, una disparità di trattamento che non è tollerabile e tollerata dal nostro ordinamento“, osserva l’avv. Cionini, che continua: “Per l’effetto, la circostanza in base alla quale – per una stessa attività – le emittenti radiofoniche che hanno la sede decentrata debbano corrispondere importi ben maggiori rispetto agli operatori prossimi all’I.T. appare illegittima, certamente non giustificabile dal fatto che la P.A. di specie non disponga di una dipendenza operativa regionale atta ad occuparsene. Spetta in tali casi allo Stato, in applicazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., colmare e/o rimuovere disparità di trattamento tra soggetti che si differenziano, nel caso specifico, solo per la collocazione geografica degli impianti radioelettrici eserciti. Se poi lo stesso Stato intende razionalizzare la propria struttura burocratica ed organizzativa, deve comunque garantire a cittadini ed imprese parità di accesso e di condizioni per la fruizione dei servizi pubblici che è tenuto ad erogare“. (E.G. per NL)
Foto antenne di Floriano Fornasiero