Era una distorsione tutta italiana, un fenomeno inconcepibile in altri paesi. Una bolla speculativa che era chiaro a tutti che, prima o poi, sarebbe scoppiata.
In realtà – e per fortuna – il botto non c’è stato e la bolla si è semplicemente sgonfiata.
Ora Agcom, nella sua ricognizione sul sistema radiofonico italiano, conferma il trend registrato da questo periodico negli ultimi 8 anni relativo al crollo del trading delle frequenze FM: il grafico che riportiamo in apertura non necessita di commenti.
Quello che più interessa, però, è ricercare le motivazioni della progressiva disintossicazione di un mercato che era arrivato ad attribuire alle frequenze FM valori del tutto scollegati dalla realtà: nel 2006 una frequenza a Milano era stata compravenduta per 4 mln di euro; oggi quella stessa frequenza è stata alienata a circa 650.000 euro.
Ma attenzione: nel caso specifico, l’asset aziendale non è stato svenduto; è semplicemente stato riparametrato al suo valore, tenendo in considerazione una serie di parametri oggettivi, tra i quali l’avvicendamento tecnologico (ovviamente nella direzione delle piattaforme digitali che sostituiranno attraverso uno switch-over lungo dieci-quindici anni la diffusione analogica) e l’avvenuta soddisfazione di copertura dei principali player, che ormai stanno in gran parte irrobustendo la presenza aumentando la ridondanza impiantistica.
In base ai dati presenti nel Catasto Nazionale Frequenze dell’Agcom, risultano, allo stato, censiti oltre 16.000 impianti per la radiofonia analogica, dichiarati da 900 diversi soggetti per complessive 1.252 reti di diffusione nazionali e locali. Tuttavia, ventuno soggetti eserciscono tra 100 e 1000 impianti ciascuno e 157 tra 11 e 100 diffusori, mentre sono 462 le emittenti che hanno tra 2 e 10 impianti e 260 quelle che ne hanno solo uno; segno, questo, di una raggiunta forte concentrazione impiantistica che non può non incidere sul trading delle frequenze.Su base nazionale, sono attivi in media 70/80 impianti per frequenza, con un minimo di circa 30 impianti ad un massimo di oltre 300 (nello specifico, ciò avviene in corrispondenza della frequenza 103,3 MHz utilizzata in tecnica isofrequenziale). Inoltre, degli oltre 16.000 impianti dichiarati al catasto Agcom, circa il 97% risulta operare su una delle 204 frequenze portanti con spaziatura di 100 kHz, previste dalla normativa tecnica internazionale. La restante parte risulta operare su frequenze intermedie (cioè con spaziatura di 50 kHz o inferiore), oppure a cavallo del limite di banda inferiore (87,5 MHz) o superiore (108,0 MHz). Per quel che concerne l’offerta radiofonica locale, in media, in una provincia italiana vengono diffusi circa 40 canali, con bacini di utenza che variano dall’ambito municipale a quello pluriregionale. In alcune province i canali radiofonici ricevibili dai radioascoltatori superano gli 80. Tali fattori, secondo l’Agcom, “sono sintomatici di una situazione interferenziale particolarmente critica per via dello sfruttamento intensivo dello spettro radioelettrico destinato alla radio FM in Italia“.
Gli analisti esterni al settore nel pieno dell’euforia della compravendita degli impianti FM, allorquando conveniva di più commerciare in frequenze che svolgere attività editoriale, mettevano in guardia: quel mercato era drogato; era contro ogni regola economica che un impianto FM di una stazione che, relativamente al territori di riferimento di quel diffusore, nella migliore delle ipotesi, poteva ambire ad un volume d’affari di 200/300.000 euro annui (con utili di norma inesistenti) valesse 4 mln di euro. Oggi un impianto FM viene acquisito per la sua precipua finalità strumentale: quella di consentire alla società editrice che ne è titolare il raggiungimento (integrato) della sua utenza nella consapevolezza dell’aspettativa di vita del diffusore in vista del citato progresso tecnologico. In una, per consolidare le posizioni in vista di un mercato che favorirà anche nell’only digital i brand consolidati.L’investimento ha un senso per la gestione dell’interregno tra la fruizione delle trasmissioni radiofoniche analogiche e quelle sulle piattaforme digitali; un periodo che, come detto, va da 10 a 15 anni, in vista della convergenza verso il vettore unico che, naturalmente, sarà quello IP.
Nei due/tre lustri che ci separano dall’universo webcentrico la radio sarà necessariamente ibrida, con l’effetto che l’ascolto radiofonico, come dimostrato anche dagli esiti dell’ultima indagine TER, si frammenta già ora significativamente su più device (non solo FM, ma anche DTT, IP, DAB+, sat). Ora, considerato che raggiungere un’utenza stanziale (indoor) regionale lombarda (10 mln di abitanti) attraverso un contenuto visual radio H264 di 1 MB costa all’incirca 2.500 euro/mese, cioè quanto far funzionare un impianto FM su Milano (1.500.000 abitanti se la frequenza è buona), ben si comprendono le ragioni di opportunità su investimenti verso beni la cui svalutazione è stimata tra il 5 e il 10% annuo.
A riguardo, se è pur vero che l’ascolto in auto (pari all’88% del totale del medium) è per ora ancora dominio pressoché incontrastato degli impianti FM (e rimarrà importante, pur con una progressione decrescente a favore di soluzioni ibride IP/DAB+, negli anni a venire per i prossimi 10/15 anni), va detto che se l’emittente non dispone di altri impianti che integrino la copertura garantendo continuità su spostamenti che nel caso di Milano vadano oltre la cerchia delle tangenziali, un investimento di parecchie centinaia di migliaia di euro non appare motivato dall’audience potenziale, tenuto conto che nelle abitazioni i ricevitori FM raggiungono a malapena il 45% in rapida diminuzione (e nei locali pubblici siamo al 10%).Come abbiamo avuto modo di approfondire recentemente in un articolo dedicato al caso specifico, la citata tendenza intacca anche i principi a fondamento delle valutazione degli asset radiofonici. Ciò in quanto, in questa fase storica di evoluzione tecnologica della radiofonia (cd. “radio 4.0”) non è possibile meramente applicare una riduzione del valore degli impianti di radiodiffusione sonora in tecnica analogica (FM) senza considerare il valore incrementale che un’emittente radiofonica (FM) assume a seguito della sua presenza sui canali digitali (cd. “multipiattaforma“).
Negli ultimi anni e in particolare tra il 2016 ed il 2017 si è, infatti, assistito ad una vera e propria esplosione dell’integrazione del medium radiofonico sulla cd. multipiattaforma, cioè la declinazione del contenuto su più vettori al fine di conseguire una mutualità volta ad assecondare il paradigma “raggiungere sempre e comunque l’utente”.Se infatti fino a qualche anno fa la radio era veicolata in forma marginale su piattaforme diverse dalla modulazione di frequenza analogica, con la progressiva riduzione del parco ricevitori stand-alone negli ambienti indoor si è constatato un recupero della presenza del medium in particolare sulla televisione e sull’IP , prevalentemente attraverso smartphone.
La presenza in tv del mezzo radiofonico, peraltro, non determina solo uno sfruttamento del televisore quale ulteriore vettore del contenuto, ma favorisce un’evoluzione del medium nella direzione della bisensorialità. Va infatti rilevato come sempre più spesso le emittenti tendano ad un’ibridizzazione anche a livello sensoriale, integrando la componente video a quella audio, inseguendo le tendenze dell’utente a privilegiare contenuti compositi.
Ovviamente tale aspetto si sviluppa non già solo sulla televisione in quanto tale, ma anche su ogni device che consente di veicolare contenuti video in aggiunta a quelli audio, quindi: tablet, pc, smartphone, ma anche autoradio di ultima generazione. E a riguardo delle autoradio, rilevante appare l’imminente arrivo delle cd. connected car, che rivoluzioneranno l’ascolto radiofonico sulla multipiattaforma attraverso l’hybrid radio, in una fase di interregno che andrà da ora fino a 10-15 anni, allorquando ogni contenuto sarà presumibilmente trasportato esclusivamente via IP. Da questo considerazioni discendono una serie di valutazioni oggettive che si possono così riassumere:
1) Progressiva diminuzione del valore degli asset costituiti da impianti FM, con un trend che si può ipotizzare nell’ordine del 5% annuo fino all’azzeramento nel termine predetto di 15 anni;
2) Progressivo aumento del valore degli asset costituiti dalla multipiattaforma, considerato che attraverso i vettori alternativi alla FM potranno essere recuperati gli ascoltatori non più raggiungibili attraverso quest’ultima, ovvero gli utenti privilegianti contenuti integrati audio/video/testuali. In questo caso premiante sarà il presidio del maggior numero di vettori eterogenei declinati in più direttrici omogenee e, ovviamente, una forte presenza sui social media anche in vista delle soluzioni cd. “social broadcasting”;
3) Tendenza alla premialità di contenuti originali, non replicabili dai software: è infatti intuitivo che la componente “umana” del palinsesto assumerà una valorizzazione sempre maggiore non soggiacendo alla competizione di piattaforme musicali online. Peraltro, appare ormai chiaro che gli OTT del web non hanno interesse a produrre contenuti propri, quanto a veicolare quelli altrui sulle proprie piattaforme;
4) Progressivo dirottamento della pubblicità nella direzione della programmatic per approdare nell’automatic, strategie comunicative tipiche dell’ambiente IP che si basano pressoché esclusivamente sulla preventiva profilazione dell’utente che solo una veicolazione web può massimizzare in maniera assoluta. In quest’ultimo caso, nel settore radiofonico si è sempre più portati a guardare a strategie pubblicitarie che contemplino ampiamente il mondo digitale. Il web marketing utilizza parametri diversi rispetto alle tecniche tradizionali;5) Graduale sviluppo del traffico dati e delle tecnologie broadcasting digitali. Il prossimo avvento della rete 5G (e del DVB-T2) influenzerà, e non poco, lo sbarco delle emittenti radiofoniche FM sul digitale terrestre.
“Nella valutazione di un asset radiofonico, al fine di tenere in considerazione il plusvalore dettato dalla presenza di una radio (già in FM) su canali digitali (IP e DTT), è possibile utilizzare un modello matematico “retroazionato” (la retroazione positiva amplifica, per definizione, le possibilità di evoluzione: è un meccanismo che permette il cambiamento e la crescita, dando al sistema la capacità di raggiungere nuovi livelli di equilibrio)”, spiega Massimo Rinaldi, ingegnere di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico) che circa 20 anni fa elaborò e costantemente affinò un metodo di calcolo per la determinazione del valore economico di impianti FM poi adottato dalla stessa Agenzia delle entrate (dopo una serie di contenziosi tributari di primo e secondo grado che ne accertarono la validità).“Per generare un algoritmo abbiamo posto in relazione un coefficiente adimensionale con valore compreso tra 0 e 2; un coefficiente adimensionale con valore compreso tra 0 e 5; una condizione iniziale radio analogica FM; un contributo proveniente dalla componente web/streaming; un contributo proveniente dalla presenza sul DDT/sat dell’emittente radiofonica ed una componente finale, frutto di ogni contributo. Il risultato di tale modello è il guadagno G, corrispondente al rapporto tra lo stato finale e quello iniziale del sistema preso in esame. Tale relazione mette in evidenza come la presenza di un’emittente radio in un sistema ibrido generi un incremento di valore”, continua Rinaldi.
“L’incremento, ad oggi, può variare secondo una forbice del 20-30%, a seconda che l’emittente si trovi o meno su tutte le piattaforme digitali, dalla storicità di tale presenza; è quindi certo che in futuro tale incremento è destinato ad aumentare”. Come dire: tanto si perde in analogico, tanto si recupera in digitale. (E.G. per NL)