Non è evidentemente bastata l’esperienza fallimentare di Audiradio per mettere d’accordo i network radiofonici sull’opportunità di adottare una metodologia condivisa di rilevazione degli ascolti.
Sembrava che GfK Eurisko, con il suo “Radiomonitor”, avesse buone probabilità di raccogliere l’eredità del precedente consorzio, ma fin da subito aveva fatto discutere l’assenza tra gli aderenti di Rai, Mondadori (R 101) e Il Sole 24 ore (Radio 24). Soggetti importanti del panorama editoriale radiofonico italiano, che infatti ritroviamo ora come sponsor dell’iniziativa di un altro Istituto di ricerca di livello internazionale, Ipsos. Il progetto “Mediacell”, di cui avevamo dato anticipazione in un precedente articolo, è stato ufficialmente presentato a Milano il 25 gennaio scorso. Ed ecco quindi riproporsi la spaccatura a suo tempo causa del dissolvimento di Audiradio, con il solo cambio di campo del Gruppo L’Espresso, che ha aderito a Radiomonitor. L’oggetto del contendere sono ancora una volta le metodologie di rilevazione, anche se è da rimarcare che in entrambe le proposte si ritrova l’elemento di novità costituito dai cosiddetti “meter passivi”. Sembra infatti ormai acquisita la necessità di adottare questo tipo di strumenti per riuscire a rendere più puntuale e precisa la rilevazione, prescindendo il più possibile dal “fattore umano” che inevitabilmente deriva dall’utilizzo di tecniche come il CATI (interviste telefoniche assistite da computer) o i diari. Altro fattore cruciale è quello della capacità di discriminare le diverse sorgenti, dato che ormai il medium radiofonico si sta espandendo velocemente dall’etere a internet, e proprio in quest’ultima sta trovando vie innovative di interazione con gli ascoltatori. Su questo tema Ipsos, che utilizza un sistema di segnali identificativi codificati su frequenze inaudibili che vengono rilevati dai meter, sembra avere gioco più facile, mentre GfK Eurisko punta sugli sfasamenti temporali tra diverse sorgenti in modo da poterle distinguere anche con la propria tecnologia di riconoscimento dell’audio. D’altra parte la tecnica dell’encoding prevede uno spostamento di una parte dei costi sulle emittenti (per la codifica delle trasmissioni) mentre l’audio matching attribuisce interamente il carico tecnologico all’ente di rilevazione. Dal lato utente invece occorre sottolineare che la soluzione software-only di Ipsos Mediacell, che utilizza i sempre più diffusi smartphone per sostituire i dispositivi dedicati, riduce i costi ma, a detta di Eurisko, introduce elementi discriminanti nel campione. In sostanza, i diversi approcci alle misure passive adottati dai due Istituti presentano vantaggi e svantaggi che possono più o meno essere apprezzati a seconda del posizionamento di mercato dei vari soggetti interessati alla rilevazione, ma non sembra che al momento siano emersi fattori decisivi in grado di orientare tutto il mercato su una o l’altra soluzione. Così si possono leggere nelle dichiarazioni dei responsabili dei due enti di ricerca comprensibili tentativi di invadere il campo altrui: GfK (difendendo peraltro la propria scelta di adottare meter proprietari) afferma di poter installare il proprio software di monitoraggio anche sugli smartphone, così come già fa Ipsos; quest’ultima invece si dichiara disponibilissima ad affiancare a Mediacell anche l’audio matching e le metodologie tradizionali come CATI e simili. Su tutto domina la paura tangibile che nel passaggio dal vecchio al nuovo (e considerato anche il lungo periodo di assenza di rilevazioni) si possano evidenziare scenari imprevedibili e conseguenti squilibri nella distribuzione delle risorse provenienti dagli investimenti pubblicitari. Risorse fondamentali che, in tempi di crisi e di disimpegno dei finanziamenti pubblici, sono ormai diventate indispensabili per la sopravvivenza di molte realtà editoriali. (E.D. per NL)