Altro che non preoccuparsi di Spotify perché “è una cosa diversa dalla Radio“. Come ampiamente preannunciato da questo periodico, Spotify Italia alla fine è uscita alla scoperto. Lanciando il guanto di sfida commerciale alle radio italiane.
“I ricavi in Italia sono destinati ad aumentare perché aumenta il numero di impression pubblicitarie vendute insieme al servizio pubblicitario”, si legge nel bilancio di esercizio 2018 che lascia il presidente del CdA ed a.d. di Spotify Italia Peter Grandelius soddisfatto con 9,51 mln di ricavi (+11% su 2017) esclusivamente derivanti da servizi pubblicitari. In pratica, display adv, pubblicità audio-video rivolti ai 10 milioni di utenti italiani (dichiarati dalla stessa Spotify).
Numeri certamente piccoli rispetto al volume mondiale dell’OTT dello streaming on demand, che nel 2019 punta a ricavi di 6,8 miliardi di dollari, di cui quasi il 92% da abbonamenti ed il resto da pubblicità. Ma indiziari di una tendenza che impone contromisure urgenti dalla radiofonia.
Applicando i parametri mondiali dell’area pay e adv (91,6% da abbonamenti e 8,3% da pubblicità) al mercato italiano, abbiamo un valore tricolore dei ricavi (apporto dell’area italiana al volume mondiale) di circa 114 mln di euro.
Dato che trova conferma dal report FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) che stima i ricavi da streaming musicale in Italia nel 2018 in quasi 95 mln di euro. “Lo streaming è onnipresente: l’86% degli utenti ascolta musica tramite servizi di streaming on-demand. I giovani sono i consumatori più coinvolti e il 57% degli utenti di età compresa tra 16 e 24 anni utilizza servizi di streaming audio a pagamento”, dichiara FIMI.
A Spotify Italia interessa quindi aggredire il mercato pubblicitario audio in Italia oggi presidiato dalla Radio, tanto che ha lanciato in queste settimane una politica commerciale molto aggressiva che sta generando diverse preoccupazioni nelle concessionarie pubblicitarie radiofoniche nazionali.
“E ciò tanto più che per realizzare quei volumi Spotify Italia impiega sono 17 dipendenti presso l’unica sede di Milano in Via Sassetti 32 (153.000 euro di utili nel 2018, più che raddoppiati rispetto al 2017, ndr) senza altri rilevanti costi infrastrutturali”, osserva Giovanni Madaro, economista di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico).
“La Radio, come diciamo da tempo, deve reagire velocemente, smettendo di sottovalutare l’impatto dello streaming on demand, trincerandosi dietro l’errata convinzione che Spotify non è un competitor perché non è una Radio in senso stretto. L’utente, alla fine, la percepisce come un surrogato della stessa che riesce ad offrire qualcosa forse di più affine ai suoi gusti. Il limite delle grandi Radio è quello di offrire – per logica naturale – un profondo indifferenziato per tutti i suoi utenti con la formula tipica del medium da uno a molti. Il che, nell’era della personalizzazione estrema dell’offerta (che arriva all’one to one), è estremamente limitativo. Per questo si deve rispondere a Spotify con la stessa moneta: brand bouquet di decine e decine radio tematiche free, che sfruttando la notorietà del marchio principale possono coniugare l’esigenze di un certo pubblico che desidera prodotti verticali con quelli del mercato pubblicitario che sta scoprendo il display adv e il digital audio”, conclude Madaro. Una politica che, allo stato attuale, pare sostanzialmente essere stata adottata da Radiomediaset con il brand bouquet United Music per il quale sono attese importanti novità nel mese di settembre. (E.L. per NL)