Il digitale sta intercettando ormai gran parte degli investimenti pubblicitari: nel 2031 non ci saranno risorse economiche per tutte le attuali stazioni. La metà crollerà. Ed il resto sopravvivrà grazie all’invecchiamento della popolazione, che in gran parte sarà costituita da 60enni che controlleranno l’85% della ricchezza.
I radiofonici italiani affogano nel CATIno
Mentre in Italia l’antico modello di rilevazione sull’ascolto radiofonico CATI (interviste telefoniche) del Tavolo Editori Radio (TER) fonderà anche la rilevazione 2022, indifferente ai preoccupanti segnali provenienti dal mercato pubblicitario, di cui abbiamo dato più volte conto, negli USA gli allarmi si moltiplicano sulla necessità di adottare cambiamenti radicali sull’attuale layout radiofonico.
I soldi stanno andando da un’altra parte. Verso il podcasting e il digitale
In un’intervista con il CEO di Amplifi Media (società di podcasting, smart speaker, branded content, audio strategy) Steve Goldstein, l’analista Gordon Borrell afferma senza mezzi termini che “il podcasting e il digitale sono il futuro. E’ lì che stanno andando tutti i soldi della pubblicità e continueranno ad andare. La radio – spiega Borrell – deve cambiare, insieme ai tempi”.
Resistenza e resilienza
Borrell riconosce che “la radio ha una grande storia di trasformazione, in particolare negli anni ’50, attraverso passaggi di formato”. Tuttavia, incomprensibilmente, oggi il medium ha un atteggiamento oppositivo verso nuove soluzioni, che pure le sarebbero congeniali. Come il digitale.
2031 game over: non ci saranno abbastanza soldi per tutte le attuali stazioni
“La radio considera il digitale come un nemico o un concorrente. Eppure nel 2031 non ci saranno abbastanza risorse economiche per supportare le attuali 10.000 stazioni. Anche fossero la metà, con la riparametrazione dell’attuale provvista (per la pubblicità lineare radiofonica via etere, ndr), non basterà comunque”.
La buona notizia
C’è tuttavia un aspetto positivo, quantomeno prospettico: “Tra 10 anni gli over 60 anni saranno la maggioranza della popolazione e controlleranno l’85% della ricchezza. E qui sta la buona notizia: la popolazione che invecchia ascolta la radio più di altre fasce. Quindi, qualche speranza di sopravvivenza c’è. Ma sono davvero preoccupato per la direzione assunta dagli investimenti pubblicitari”.
E’ come con i banner degli anni ’90
Secondo Borrell, in particolare, gli editori non hanno ancora capito l’importanza strategica del podcasting. “Per i centri media è appariscente, nuovo, interessante. I pubblicitari, quindi, fanno a gara per sponsorizzare podcast di successo. È come per i primi banner pubblicitari degli anni ’90, quando non si potevano calcolare i CPM”.
Podcast locali inesistenti
A dimostrare la scarsa lungimiranza degli editori radiofonici, secondo Borrell, c’è, per esempio, il fatto che “agli inserzionisti locali non sono proposti podcast. Gli stessi hanno contenuti perlopiù nazionali; c’è ben poco di territoriale”. (E.G. per NL)