A Milano, in Lombardia e più in generale nel nord Italia, le ultime settimane di gennaio hanno segnato una timida ma evidente ripresa del mercato della pubblicità locale (quella nazionale aveva già apposto il segno più da molti mesi).
Certo, la crisi è ben di là da essere considerata alle spalle e gli analisti più prudenti sostengono che la parola fine sarà scritta non prima del 2015, allorquando saranno state rimosse anche le macerie del più disastroso crollo dell’economia mondiale dal 1929; tuttavia i segnali positivi di lenta ricrescita del mercato pubblicitario radiofonico sono precisi e concordanti, sicché, pur con le dita incrociate, si comincia a respirare. Nondimeno, a tutti è chiaro che si è chiusa definitivamente un’era: quella della crescita, isterica ed immotivata, del valore delle frequenze FM. Chi voleva cedere e non ha venduto quando i prezzi erano al massimo ha perso il treno: è quasi impossibile che potrà ricavare d’ora in poi quel che avrebbe potuto conseguire al tempo, posto che i valori dei compendi impiantistici hanno subito una sensibile diminuzione, allineandosi su numeri più coerenti con la redditività che essi possono concretamente produrre. Le quotazioni degli impianti FM, infatti, sono scese mediamente del 30-40% rispetto a quelle del 2007/2008 anche nelle aree di maggiore interesse demografico e commerciale e probabilmente si assesteranno sulle attuali stime (anche se nelle aree secondarie i prezzi scenderanno ancora). In compenso, le imprese radiofoniche (sane) cominciano ad essere valutate per quel che sono realmente sul piano editoriale ed aziendale e non solo per la loro consistenza impiantistica, così valorizzando il ruolo degli imprenditori seri che hanno lavorato nel lungo periodo con efficacia sul prodotto e sulla struttura commerciale. Inoltre, si sta sviluppando un interessante mercato della fornitura di contenuti su scala locale e superlocale, con copertura integrale o parziale del palinsesto attraverso formule innovative simili a quelle dei content provider DTT e/o del barter. Non sono pochi, infatti, i soggetti nuovi entranti (di norma stranieri) che prima di decidere l’ingresso in forze sul mercato italiano decidono di testare l’appetibilità del proprio prodotto sia sul piano editoriale che commerciale, concordando test di gradimento a medio lungo termine attraverso accordi di partnership editoriale/commerciale. Così c’è chi comincia a pensare che anche la radio analogica (come la tv digitale) si articolerà presto in maniera dicotomica, attraverso una separazione dei ruoli di vettore ed editore in senso contenutistico, anche come naturale evoluzione delle potenzialità offerte dagli strumenti di veicolazione di supporto alla modulazione di frequenza che stanno prendendo sempre più piede. Ovviamente non ci si riferisce all’ormai anacronistico DAB (quand’anche nella sua versione "plus"), quanto alle soluzioni centrate sul web (posto che è palese che il futuro mediatico sarà webcentrico), come il mobile streaming o la radio on demand, che trovano in tecnologie come Drivecast la naturale espressione. Un’evoluzione naturale e non imposta a forza come è stato per il DTT (con i deleteri effetti che stiamo vedendo sul comparto delle tv locali) che in molti sono convinti che nei prossimi 12/24 mesi farà registrare novità molto interessanti nel mercato radiofonico italiano. (A.M. per NL)