Roberto Sergio (Radio RAI): manca la visione complessiva dell’ascolto. Non abbiamo mai letto i dati TER con l’interesse e anche l’ansia che possono avere i colleghi televisivi quando attendono i dati Auditel delle 10 di ogni mattina.
La ricerca premia soprattutto chi fa comunicazione, quindi sappiamo già quali sono le radio che andranno meglio.
Su ciò non siamo più soli. Segno che le nostre osservazioni su TER non erano campate per aria. Oggi la necessità di comprendere negli ascolti altri indicatori è sotto gli occhi di tutti.
Sono stato in passato accusato di voler distruggere il sistema. Da allora la valutazione è rimasta la stessa, ho smesso però di esternare pubblicamente e oggi non vengo più definito un eretico.
Ma su switch-off FM/DAB Rai è ancora isolata. Probabilmente è solo questione di tempo e anche su questo tema potremo un giorno dire che Rai era arrivata in anticipo.
Roberto Sergio, l’eretico
Torniamo a parlare, dopo qualche tempo, con Roberto Sergio, direttore di Radio RAI con un’intervista che, al solito, tocca temi caldi per il settore radiofonico.
CATI
Partendo dalla annosa questione della metolodogia dell’indagine d’ascolto TER, fondata sul sistema CATI (Computer-Assisted Telephone Interviewing), che indica una modalità di rilevazione diretta di unità statistiche realizzata attraverso interviste telefoniche, dove l’intervistatore legge le domande all’intervistato e registra le risposte su un computer, tramite un apposito software.
Quel che manca è proprio la visione complessiva dell’ascolto
(NL) – Rieccoci con l’esame dei dati TER; per parte nostra questa volta abbiamo deciso di non pubblicare i comunicati stampa delle emittenti. Del resto, hanno vinto tutti…
(Roberto Sergio) – Questo è l’effetto di una ricerca telefonica che tenta di analizzare diversi aspetti: l’ascolto medio, il quarto d’ora, la share.
Non esiste un parametro che sia universalmente riconosciuto come il vero indicatore dell’ascolto della radio. Ci sono poi le fasce orarie, i week end e ciascun gruppo si concentra su un dato o su un altro. Quel che manca è proprio la visione complessiva dell’ascolto, che tenga conto anche delle piattaforme social, dello streaming, dell’on demand, degli ascolti televisivi, degli aggregatori e così via. Tutti elementi che solo marginalmente rientrano nella Cati di Ter.
Non abbiamo mai letto i dati Ter con l’interesse e anche l’ansia che possono avere i miei colleghi televisivi quando attendono i dati Auditel delle 10 di ogni mattina
(NL) – A proposito: siete soddisfatti dei vostri dati?
(Roberto Sergio) – Sulla scorta di quanto appena detto, devo dire che non abbiamo mai letto i dati Ter con l’interesse e anche l’ansia che possono avere i miei colleghi televisivi quando attendono i dati Auditel delle 10 di ogni mattina. Proprio perché sappiamo che si tratta di una fotografia non completa delle abitudini di ascolto.
La ricerca premia soprattutto chi fa comunicazione per aumentare la propria brand awareness, quindi sappiamo già in partenza quali sono le radio che andranno meglio e quelle che andranno peggio
Trattandosi di una Cati, la ricerca premia soprattutto chi fa comunicazione per aumentare la propria brand awareness, quindi sappiamo già in partenza quali sono le radio che andranno meglio e quelle che andranno peggio. Per quanto riguarda il nostro gruppo, leggiamo con piacere i dati di Rai Radio 2, ma soprattutto perché li confrontiamo con gli altri indicatori in nostro possesso e ne otteniamo una riconferma (anzi, una sottostima verso il basso da parte di Ter).
Fedeltà e flessioni
Per gli altri canali, Rai Radio 3 incrementa sul quarto d’ora medio, segno di una crescente fedeltà di ascolto; mentre flettono Rai Radio 1 e Rai Isoradio. La prima probabilmente paga la moltiplicazione dell’offerta calcistica, che ha ridimensionato la centralità della fruizione radiofonica; mentre Isoradio è ancora in pieno riposizionamento e assestamento di palinsesto.
Non siamo soli
(NL) – Una volta RAI era l’unica voce dissonante a riguardo del metodo CATI. Ora sembra non sia più così…
(R.S.) – Ci sono voluti un po’ di anni, ma oggi non siamo più soli. Segno che le nostre osservazioni sulla metodologia di Ter non erano così campate per aria. Oggi la necessità di comprendere negli ascolti altri indicatori è evidentemente sotto gli occhi di tutti. Diciamo che abbiamo anticipato i tempi…
Sono stato un eretico
(NL) – Ormai ogni gruppo ha una sua indagine di total audience ed anche Auditel l’ha adottata come formula. Tutti d’accordo, ma per tutto il 2023 si proseguirà come sempre….
(R.S.) – E’ vero, ma credo che ormai sia solo questione di tempo. Come ci siamo appena detti, l’obiettivo di andare oltre l’intervista telefonica oggi è sempre più condiviso. Sono stato in passato accusato di voler distruggere il sistema e sono stato oggetto di infinite critiche. Da allora la valutazione è rimasta la stessa, ho smesso però di esternare pubblicamente e oggi non vengo più definito un eretico, anzi, sento sempre maggior condivisione di quei temi.
Futuro roseo
Credo che il panorama stia davvero maturando e sono sicuro che il futuro della rilevazione degli ascolti radio sarà a breve molto più roseo di quanto non sia oggi.
A chi conviene oggi il CATI? Non so…
(NL) – Siamo il crocevia delle indiscrezioni: ci riferiscono che un grosso gruppo all’interno del TER non vuole il cambiamento. A chi conviene oggi il CATI?
(R.S.) – Non so rispondere a questa domanda.
La radio è l’unico mezzo analogico rimasto
(NL) – Cambiamo discorsi: ancora convinto della necessità di uno switch-off della FM?
(R.S.) – Ecco, qui invece Rai è ancora isolata. E potrei tornare a essere l’eretico. Probabilmente è solo questione di tempo e anche su questo tema potremo un giorno dire che Rai era arrivata in anticipo. Assolutamente convinti che l’Fm sia obsoleta, dispendiosa, inquinante. Ricordiamoci sempre che la radio in Fm è l’unico mezzo di comunicazione ancora analogico oggi esistente al mondo. E che la tv è diventata all digital 11 anni fa.
Podcast un bluff? Non credo…
(NL) – Il podcast in Italia è un bluff? Tanti investimenti per risultati tutto sommati modesti. Oppure la svolta è dietro l’angolo?
(R.S.) – Non credo sia un bluff. Sicuramente l’Italia è arrivata in ritardo su questo settore, sia come domanda sia come offerta. Noi di Rai abbiamo oggi all’attivo circa 150 titoli originali e gli altri gruppi non sono da meno. Gli ascolti ci sono e ci stanno insegnando anche molto su come fare al meglio i podcast.
Piuttosto manca il decollo pubblicitario.
Quel che mi sembra che manchi invece è il vero decollo dal punto di vista pubblicitario. Ci sono tante sperimentazioni, molte case history, ma credo che le aziende stiano sottovalutando la forza di questo strumento soprattutto per azioni verticali, mirate, quasi chirurgiche su target e nicchie specifiche.
Appello
Ecco, su questo faccio anzi un appello a clienti, agenzie e concessionarie: gli editori (penso di poter parlare anche a nome degli altri) sono pronti a spingere sul branded podcast. Costruiamolo insieme. (E.G. per NL)