Le trasmissioni in onde medie per l’Italia di Radio Montecarlo prendono il via ufficialmente alle ore 14 del 6 marzo 1966 sui "1466 kilocicli pari a 428 metri", come recitano i primi animatori e si possono ascoltare lungo la fascia tirrenica fino a Napoli e nel Sud-Est della Francia.
All’inizio, il palinsesto, curato da Noel Coutisson, prevede un programma quotidiano di due ore, ma nel giro di poche settimane si passa a quattro, poi otto, e infine a tredici ore, dalle 6,30 alle 19,30. Cinquanta anni di trasmissioni che hanno attraversato le epoche musicali delle radio pirate off-shore, delle radio libere italiane e francesi, dell’avvento della FM e del tramonto delle Onde Medie, con momenti di enorme successo cui hanno fatto seguito pesanti cali di gradimento e succesive risalite. Nel nostro paese, in particolare, RMC ebbe un ruolo di primordine quale fonte d’ispirazione per le radio private. Sino al 1975 il panorama radiofonico italiano era infatti costituito dai segnali Rai, da quello di Radio Montecarlo, in alcune zone d’Italia di Radio Capodistria, e di poche altre stazioni straniere. Radio Montecarlo ebbe (in Italia) il suo apice d’ascolto e di popolarità tra il 1966 ed il 1975, per aver rotto la tradizione radiofonica Rai, con uno stile innovativo, di cui in Italia si era avvertita la necessità. Dalle due ore di trasmissione pomeridiana (tra le 14 e le 16), nell’estate 1966, condotte da un cantautore molto noto per quegli anni, Herbert Pagani (foto), ascoltate prevalentemente sulle spiagge italiane della costa tirrenica, a causa dell’inaspettato grande successo, si era successivamente passati, in forma progressiva, a dar vita ad un’intera stazione di programmi in lingua italiana. Il formato della stazione pubblica italiana era profondamente differente da quello di Radio Montecarlo per diversi aspetti. Innanzitutto, il palinsesto Rai era caratterizzato da una massiccia presenza di programmi "parlati", mentre l’emittente del Principato di Monaco dedicava ampio spazio alle trasmissioni di musica leggera. E proprio la musica divenne il cavallo di battaglia di Radio Montecarlo che, probabilmente, dovette il suo successo al favorevole contesto sociale nel quale ebbe modo di agire. Lo sviluppo economico impetuoso degli anni 1958-63, che sarebbe proseguito, sia pure a ritmi meno intensi, nel corso di tutti gli anni Sessanta, salutò l’emergere di nuovi modelli di consumo, incarnati, per esempio, dallo sviluppo dei supermercati (cioè dell’approvvigionamento veloce, tipico di una società fortemente consumistica). Simbolicamente parlando, questo tipo di atteggiamento sociale, ci conduce, come riferimento, all’industria. Come nella catena di montaggio, dove i pezzi vengono assemblati in forma sequenziale, con una meccanizzazione dell’attività umana, nei grandi magazzini, i prodotti posti sugli scaffali, assumono lo stesso concetto di monetizzazione del tempo. In questa variazione dei costumi, la comunicazione di massa assume, senza difficoltà, né particolari sensi di colpa, la veste di produzione industriale di suoni (di immagini, per la tv) ed atteggiamenti. Per quanto concerne il medium radiofonico, il prodotto consumistico per eccellenza è la musica (e, in secondo piano, l’informazione ed i "quiz"): questa affermazione deriva dalla valutazione che essa è il supporto più utilizzato nella programmazione delle emittenti radio italiane. Radio Montecarlo elargiva musica a volontà, ed i suoi conduttori utilizzavano, per proporla, il meccanismo, tipico dell’industria, dei tempi veloci e della minima dispersione, all’insegna del more music less talk. Non dimentichiamo che è proprio in quel periodo che la musica leggera ebbe ad incrementare lo sviluppo delle vendite con la frammentazione dei prodotti: non più pochi autori di successo con molti dischi venduti, ma tanti artisti con un numero di copie vendute, per ciascuno, inferiore. Questa tendenza, iniziata in sordina, sarebbe andata, via via crescendo negli anni, sino ad arrivare, enormemente accentuata, ai nostri giorni, a testimoniare che il consumismo musicale, in gran parte dovuto alla radio, si sviluppa parallelamente a quello di altri settori più classici. Tale orientamento conduce, inevitabilmente, a coinvolgere anche il mezzo stesso che la produce, ovvero la radio, che diventa, a sua volta, oggetto di consumo veloce: identificato dai radiofonici nell’ascolto estemporaneo, che ha portato, gradatamente, a sviluppare palinsesti in ragione di tempi veloci, nell’intento di tenere l’ascoltatore sempre sveglio e, di conseguenza fedele. Un’altra sostanziale differenza, stava nell’organizzazione interna e nell’agilità della conduzione: staff molto più complessi e burocratizzati in Rai, organigrammi più snelli (soprattutto per l’equipe numericamente inferiore) e spregiudicati quelli in Radio Montecarlo, che riusciva a proporre, oltretutto, una programmazione più agile, simpatica e cordiale. In modo particolare, nella Radiotelevisione Italiana non esisteva la figura del conduttore musicale, nel senso che ci è familiare oggi. Ciò avveniva poiché la struttura artistica prevedeva un sostanziale distacco dalla fase di scelta della programmazione musicale a quella di messa in onda della stessa. La lista dei brani da trasmettere non aveva nulla a che vedere con lo stile proprio del conduttore, e spesso non c’entrava nulla nemmeno con il programma o, peggio, con il target al quale quella trasmissione era diretta, essendo frutto, più che di una verifica dei gusti musicali dell’utenza, di selezioni legate ai contenuti dei testi dei brani musicali, alle ingerenze dei funzionari ai livelli più alti, agli ambienti politici di appartenenza degli autori o dell’esecutore della canzone, o ai vari favoritismi di turno. Il differente atteggiamento, nei confronti dell’audience, di Rai e Radio Montecarlo, può essere oggetto di attenzione anche sotto l’aspetto positivistico dell’azione. In Rai il conduttore doveva strettamente seguire gli schemi che il ruolo stesso gli imponeva. Doveva, cioè, vestire la "facciata", per usare una, già espressa, terminologia goffmaniana, e recitare il suo "copione". In sostanza, l’azione comunicativa da lui svolta, andava intesa in termini di reazione ad uno stimolo esterno, priva cioè di propri intenti, o comunque con volontà subordinata ad un’imposizione superiore (la direzione, e ad una impostazione, tipica delle radio statali, vincolata a schemi precisi di indottrinamento delle masse). Con la libertà di conduzione dello stile di Radio Montecarlo, si mette in risalto l’aspetto volontaristico dell’azione. Per utilizzare il concetto parsoniano di azione, il conduttore non soltanto rispondeva ad uno stimolo, ma, in un certo senso, cercava di conformare la sua azione a modelli, ritenuti desiderabili dall’attore e da altri membri della collettività. Del resto, seguendo questa logica, la comunicazione radiofonica è veramente sociale, solo quando "fini e norme sono riconoscibili in un contesto di interazioni che non consentono che tali fini e tali norme siano considerati indipendentemente dalla situazione sociale". Radio Montecarlo agiva in virtù di una comunicazione pura, aschematica e, di conseguenza, virtualmente libera. La Rai dirigeva l’azione comunicativa dei suoi conduttori in toto, vincolando ogni iniziativa ad un disegno specifico di comunicazione dall’alto, senza grandi possibilità di intervento individuale e quindi, in generale, di scarsa soggettività. I giovani, generalmente inclini, per natura, ad una maggiore dinamicità, alla libertà di spirito e all’apertura di idee, raramente riscontravano nell’ente radiofonico pubblico il soddisfacimento delle proprie necessità, soprattutto, musicali che, invece, riuscivano a raggiungere con l’ascolto di Radio Montecarlo, che dava ai suoi conduttori la possibilità di fare utilizzo dello stile, e della musica, ritenuti più consoni alla propria personalità, facilitandone il ruolo a tutto vantaggio di una comunicazione più immediata. La liberalizzazione della programmazione discografica aggiungeva, così, potenziale alla funzione "referenziale" della musica, cioè, in base alla sistematizzazione del tema delle funzioni della comunicazione del sociologo Jakoboson, permettendo al messaggio (il brano musicale) di mettersi in rapporto col mondo, di parlare di qualcosa. Infatti, anche la musica – e, ci sentiamo di aggiungere, soprattutto questa, nel pubblico giovanile – come qualunque altro fatto linguistico e segnico, può essere messa in contatto con realtà esterne. Non dimentichiamo, infatti, che gli accadimenti di cui stiamo parlando, ebbero luogo in un momento di massima valorizzazione della musica "impegnata", delle produzioni discografiche fortemente rappresentative del disagio giovanile: Radio Montecarlo ebbe l’acume di afferrare l’occasione, ad essa propizia, facendosi portavoce – musicalmente parlando – di questa tendenza. Lo speaker dell’emittente di Monaco, fortemente responsabilizzato nel suo ruolo, poteva partecipare alla scelta, ed alla conseguente programmazione, dei dischi, contribuendo a dare grinta al palinsesto, con la trasmissione di brani particolarmente graditi al pubblico più giovane, alla costante ricerca delle novità musicali (elargite con il contagocce dalla Rai). Naturalmente la maggiore percentuale di programmazione dedicata alla musica leggera e lo stile della conduzione, effettuata da Radio Montecarlo, fecero sì che questa riscontrasse, come già detto, un maggior gradimento da parte del pubblico giovane, rispetto al servizio statale, mentre lasciò pressoché indifferente l’utenza adulta, che continuava a dare la propria preferenza alle trasmissioni Rai. La differente scelta della radio ascoltata, divenne, in un certo senso, distintiva dell’atteggiamento culturale e sociale. Nel paese in radicale mutamento, la divisione anche culturale fra le generazioni, assunse un’importanza pari (e forse, alla distanza, superiore) rispetto a quella tra le classi: la peculiare durata e vastità sociale del ’68 italiano, nacque proprio dal fatto che in quel conflitto precipitarono insieme molte diverse tensioni, lo scontro intergenerazionale e quello sociale più classico, i conflitti industriali e "postindustriali". Gradatamente, ma allo stesso tempo rapidamente, tutte le resistenze al cambiamento vennero travolte: in pochi anni, crollarono tutti i tabù antipornografici e venne messa in discussione radicale la stratificazione gerarchica di alta cultura e cultura di massa. Proprio mentre l’egemonia culturale della sinistra sembrava al culmine, e (complice la crisi petrolifera) area laica e comunista parevano convergere su un progetto di contrazione dei consumi di merce e restrizione dei bisogni culturali, l’esplodere del broadcasting privato svelò l’esistenza di un mercato e di una domanda inevasa di pluralità informativa, di necessità comunicative, ma anche di divertimento e di piccoli piaceri. L’avvento delle radio locali accentuò il fenomeno sopra riportato. Esse videro nello stile di Radio Montecarlo, l’esempio positivo per le proprie trasmissioni. Nella maggioranza dei casi, si attuarono delle pessime copie dell’originale, ma in varie occasioni vennero introdotte interessanti e costruttive variazioni allo stile sino ad allora utilizzato. Infatti, oltre a diffondere ulteriormente gli originali caratteri delle trasmissioni di Radio Montecarlo, le emittenti indipendenti, "crearono" nuove formule, come, ad esempio, la programmazione musicale 24 ore su 24, che costituiva una vera novità per i tempi. Con le trasmissioni nelle ore della notte, si valorizzò, in forma ulteriore, il mezzo radiofonico, che acquisì tutta una serie di ascoltatori, sino allora trascurati, costituiti dalla schiera di lavoratori notturni e di insonni. L’allargamento delle fasce dedicate alle trasmissioni, contribuì ad aumentare il ruolo sociale del medium radiofonico, che poté configurarsi come uno strumento più efficace contro la solitudine. Sotto questo aspetto, appare piuttosto emblematico l’atteggiamento, di totale disinteresse, da parte della radio di Stato, nei confronti del pubblico serale. Il mezzo radiofonico – se accettiamo il concetto del sociologo Durkheim che "la funzione di un’istituzione sociale consiste nella corrispondenza tra tale istituzione e le esigenze dell’organismo sociale" – non può prescindere dal suo ruolo primario di servizio nei confronti del pubblico, prima che di veicolo dell’informazione del regime di appartenenza. Questa applicazione del ruolo del medium diventa assolutamente determinante se, oltretutto, tale mezzo è controllato dallo Stato e, quindi, di fatto, è un "servizio pubblico" a tutti gli effetti. Ma il fenomeno della distribuzione dell’offerta radio(televisiva) sull’intero arco delle 24 ore è tanto più curioso e significativo se si pensa che veniva proprio poco tempo dopo le misure di austerity connesse alla crisi energetica del ’73, che avevano, tra l’altro, imposto una contrazione obbligata degli orari, nella speranza di indurre ad un minor consumo di energia, ma probabilmente (almeno nella politica dei repubblicani) anche nella speranza di frenare le tendenze al "consumismo". La dilatazione degli orari è quindi uno dei tanti modi nei quali la nascita delle radio (e tv) locali si presentava come controtendenza rispetto alla politica dell’austerità, uno dei tanti aspetti che la facevano apparire come un carnevale dopo la quaresima. Del resto, un piccolo segnale dell’importanza attribuita all’emissione ventiquattro ore su ventiquattro, fu l’apposizione del termine "non stop" ai nomi di tante stazioni sorte nel 1975-77: le nuove emittenti sembravano rivendicare come caratteristica fondamentale proprio l’orario. Ma se oggi, probabilmente la trasmissione "full time" è soprattutto segno di una radiotelevisione "self service", che si vuole flusso continuo a disposizione di chiunque ritenga di accedervi, negli anni ’70, quell’orario aveva un significato, anche soggettivamente, ben più dirompente. La radio (e la tv) notturna apriva spazi nuovi al medium e sembrava sottolineare l’esistenza di un pubblico più libero ed "adulto" di quanto non si supponesse in precedenza. Perché questa "conquista della notte"? Se ne può dare una spiegazione in termini prevalentemente economici, come ha fatto, per esempio, la studiosa dei palinsesti radiotelevisivi, Nora Rizza: la colonizzazione di tempi diversi da quelli della programmazione "normale" è stata la premessa da un lato per la conquista di audience in momenti nei quali non c’era concorrenza del soggetto pubblico, dall’altra per la moltiplicazione degli spazi, cioè della risorsa vendibile (la pubblicità). Naturalmente questa è solo una delle spiegazioni: un’altra, infatti, può esse considerata la reazione ad una crescita, reale o presunta, della domanda, alla maggiore flessibilità dei tempi di vita attribuiti all’ascoltatore. Il tempo della radiotelevisione indipendente (ed in generale di tutta la radiotv post ’75), non è solo un tempo dilatato rispetto alla fase precedente, ma è anche diversamente organizzato, soprattutto meno standardizzato nelle sue durate e più frammentato. Alla luce di queste considerazioni, emerge che le emittenti locali seppero, con questa intuizione, colmare una lacuna, decisamente significativa, della radiofonia italiana. Paradossalmente, poi, le radio locali, pur disponendo di esigue risorse economiche, riuscivano a misurare meglio il gradimento da parte del pubblico di un prodotto musicale, di quanto potesse fare l’ufficio programmazione della radio di Stato. Ciò era possibile grazie all’utilizzo di una serie di strumenti che le radio locali dimostrarono di saper impiegare al meglio: primo fra questi, come abbiamo scritto e come avremo modo di puntualizzare ulteriormente in seguito, il telefono, mezzo col quale si misurava immediatamente il riscontro o meno di una determinata programmazione, interagendo con il pubblico all’ascolto. Il fatto, poi, che, spesso, il dj di una stazione locale collaborasse con le discoteche ed i negozi di dischi della propria zona, permetteva un reciproco scambio di informazioni circa il variare dei gusti musicali del pubblico, così come l’assoluta elasticità delle radio locali, in termini di approvvigionamento di materiale musicale, le metteva nelle condizioni di recuperare, tramite il mercato dell’importazione (sviluppato dai negozi di dischi soprattutto in seguito al boom della radiofonia indipendente), brani musicali non ancora presenti sul mercato nazionale (e quindi non disponibili all’ente radiotelevisivo statale, che, invece, seguiva il solito rigido iter di acquisizione del materiale fonografico tramite i distributori interni al paese), ponendole, di fatto, in una posizione di vantaggio nel rapporto col target giovanile di riferimento. Sull’esempio delle radio americane (ma anche della stessa Montecarlo), e in aperta contrapposizione con quanto avveniva in Rai (dove la radio è sempre stata la "cenerentola" della situazione) le stazioni locali italiane, capirono l’importanza della autopromozione e introdussero una moda che dilagò letteralmente tra i giovani: quella di diffondere il proprio marchio (unitamente alla frequenza di emissione) tramite adesivi, dalle più disparate forme e dai più variegati colori. Il fenomeno assunse un’importanza rilevante, anche dal punto di vista sociale, poiché divenne, tra i ragazzi, uno strumento di identificazione, in alcuni casi, addirittura, di riconoscimento visivo di gruppi di individui accomunati dalla passione per la radio preferita. Auguri RMC, ad maiora! (R.R. e M.L. per NL)
Estratto rielaborato da: M. Lualdi, "Le radio locali: una esperienza comunicativa per il pubblico giovanile (1975-77)" – 1996 – Planet s.r.l. – Milano