Radio. Ritorno marchi storici FM a distanza di decenni dalla scomparsa: opportunità per recupero di notorietà latente o inutile riesumazione?

adesivi radio raccolta, marchi storici

Spesso, in Italia, negli ultimi anni, si è assistito al recupero di marchi storici radiofonici che avevano concluso il proprio ciclo vitale da 10, 20 od addirittura 30 anni. Si è trattato (e si tratta), quasi sempre, di riproposizioni digitali di brand iconici da parte degli stessi fondatori che avevano alienato la consistenza impiantistica FM che li reggeva o di alcuni dei protagonisti delle rispettive vicende editoriali.
Tuttavia, raramente tali operazioni sono risultate sorrette da modelli di business sufficientemente robusti da sostenere, dopo l’esaurimento della propulsione nostalgica dei loro artefici, il decorso del tempo ed i costi d’esercizio conseguenti.
Si tratta, tuttavia, di un fenomeno meritevole di approfondimento, posto che, alla presenza di determinati presupposti, iniziative di brand revival potrebbero anche avere un senso commerciale.
Newslinet ha deciso, quindi, di esaminare a fondo il fenomeno insieme agli analisti di una società di ricerche di mercato in ambito mediatico.

Sintesi

Negli ultimi anni, il panorama radiofonico italiano (quasi mai quello estero) ha assistito a un fenomeno curioso ed, in alcuni casi, malinconico: il ritorno digitale di marchi storici di emittenti FM, dismessi da tempo, alla ricerca di una seconda vita su piattaforme digitali DAB, IP, DTT.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale di operatori e nostalgici, questi progetti raramente hanno raggiunto il successo sperato. Anzi, nella maggior parte dei casi, sono stati abbandonati dopo poco tempo.
Perché accade questo?
E, soprattutto, ha senso riproporre un marchio radiofonico storico in un’epoca in cui le logiche di consumo e di branding sono radicalmente cambiate, piuttosto che partire con una insegna inedita?
Uno studio commissionato da Newslinet alla società di analisi strategica in ambito radiotelevisivo e di ricerca di mercato Media Progress (gruppo Consultmedia) tenta di rispondere a tali quesiti.

I dubbi di partenza

Il pubblico radiofonico quanto è realmente interessato al ritorno di marchi storici radiofonici dismessi spesso anche da decine d’anni?
Siamo certi che il loro ricordo sia ancora nitido presso il pubblico potenziale, piuttosto che solo radicato nei cuori e nell’immaginario dei protagonisti iniziali?
Le regole di ingaggio attuali possono conciliarsi con marchi adottati al tempo con logiche completamente diverse (semmai di logica di marketing si potesse parlare)?
Il principio di coerenza del brand originario e della sua mission con la sua riproposizione è rispettato?
E se non lo è quali sono le conseguenze?
Esiste un modello di business nelle operazioni nostalgia o si tratta di iniziative esclusivamente romantiche?

Perché la riproposizione digitale di marchi storici FM spesso fallisce?

Il ritorno digitale di marchi radiofonici storici è sempre accompagnato da grandi aspettative e non raramente da molte sopravvalutazioni.
Tanto è vero che la maggior parte di questi progetti non riesce a replicare il successo avuto nel passato.
Secondo lo studio Media Progress realizzato per Newslinet, ci sono diverse ragioni alla base dei numerosi fallimenti registrati. Ma anche alcune condizioni tattiche che potrebbero evitarli.

Il vettore (quasi) esclusivo

Fino alla prima metà del primo decennio del nuovo millennio la modulazione di frequenza era concretamente il solo vettore delle trasmissioni radiofoniche italiane (fuori dal caso delle reti RAI e della Radio Vaticana che utilizzavano anche le onde medie).

Punti di riferimento sociale e culturale

Le stazioni radiofoniche erano punti di riferimento culturali e sociali ed i loro marchi erano associati a un’identità precisa: un format musicale, uno stile di conduzione, una comunità di ascoltatori.

Limitazione dell’offerta

La limitatezza delle frequenze ricevibili in un singolo territorio concentrava l’offerta al di sotto di una novantina di stazioni nella migliore delle ipotesi. Ciò, ovviamente, favoriva l’affermazione di un prodotto secondo il principio della facilità di consultazione dell’offerta.

Il contesto mediatico è cambiato

Oggi, però, il contesto mediatico è radicalmente diverso. La radio compete con piattaforme di streaming come Spotify, YouTube e – per quanto riguarda i contenuti parlati – con il podcasting. Si tratta di ambienti di consultazione che offrono contenuti on-demand anche estremamente verticali. Inoltre, le stesse stazioni fruibili sul web sono nell’ordine delle 150.000; numero che, chiaramente, determina una polverizzazione del mercato, al punto che non è affatto raro avere emittenti che totalizzano una media di 20 ascolti contemporanei, dove chi ne raggiunge 300 è già considerato un prodotto di successo (nella cerchia di riferimento)”, anticipa il rapporto Media Progress.

Pro e contro

“In questo scenario, se è vero che un marchio storico potrebbe godere di pre affermazione rispetto ad un brand inedito, sotto altro aspetto il primo potrebbe apparire da subito obsoleto e poco attrattivo per un pubblico abituato a scelte illimitate e tagliate su misura.

Valore aggiunto

E soprattutto per tutti coloro che non lo hanno conosciuto nella sua precedente esistenza e non traggono novità dal brand revival, attesa l’inesistenza di valore aggiunto rispetto all’offerta già disponibile”.

La mancanza di un’offerta distintiva

D’altra parte, spesso, i progetti di ritorno digitale si limitano a riproporre il nome e il logo di una stazione storica, senza offrire un contenuto innovativo o distintivo. “Si tratta di un approccio nostalgico che può funzionare (ammesso che lo faccia) solo per un breve periodo, attirando l’attenzione di chi ricorda con affetto la stazione originaria, ma che difficilmente riesce a costruire un pubblico fedele e duraturo.

Operazioni nostalgia

Senza un format studiato per competere nella sterminata offerta attuale, la rivisitazione di marchi storici finisce per essere percepita come una mera operazione nostalgia, priva di sostanza e innovazione“, scrivono gli analisi della società di ricerche incaricata da NL.

La frammentazione del pubblico

Un altro problema è la frammentazione del pubblico. Negli anni d’oro della FM, le stazioni radiofoniche potevano raggiungere un vasto pubblico con un’offerta relativamente generica. “Oggi, invece, gli ascoltatori sono abituati a contenuti altamente specializzati e “tagliati” per i loro gusti. Un marchio storico, legato a un’epoca passata, fatica a trovare un posto in questo panorama segmentato“, spiega Media Progress.

La sfida tecnologica

Le piattaforme digitali richiedono competenze e risorse specifiche, che non tutte le emittenti possiedono. La transizione dal mondo analogico a quello digitale non è solo una questione di tecnologia, ma anche di cultura aziendale e di approccio al mercato. “Molti progetti falliscono perché non riescono ad adattarsi alle logiche del digitale, come l’interattività, la personalizzazione e l’analisi dei dati, limitandosi, anche per questioni di budget alla riproposizione di playlist che fondavano il palinsesto della stazione di origine, senza alcun valore aggiunto rispetto alle selezioni già offerte da altre stazioni o, soprattutto, dalle piattaforme di streaming on demand”.

Il pubblico è davvero interessato? Il caso delle stazioni per giovani degli anni ’80

Uno degli aspetti più controversi del ritorno digitale dei marchi storici è il loro appeal presso il pubblico. Spesso, questi progetti sono guidati da operatori del settore che hanno un legame emotivo con il loro specifico passato, senza tener conto del fatto che il pubblico potrebbe non condividere lo stesso entusiasmo.

Il problema della nostalgia

Prendiamo l’esempio del caso più frequente, quello di una stazione di contemporary music di successo negli anni ’80. Quel marchio è ricordato da un pubblico che oggi ha sessant’anni o più. Per queste persone, il ritorno della stazione potrebbe evocare ricordi piacevoli relativi alla gioventù, ma è improbabile che riesca a coinvolgerli in modo duraturo. “La nostalgia è un’emozione potente nel marketing, ma non basta a sostenere un progetto mediatico nel lungo termine“, avverte Media Progress.

Il paradosso del target

Un altro problema è il paradosso del target. Se da un lato il marchio è riconosciuto da un pubblico più anziano, dall’altro il format originale era stato concepito per un pubblico giovane. “Adattare il layout per quei giovani invecchiati potrebbe alienare i nostalgici, mentre mantenere il format originale rischierebbe di apparire anacronistico. In entrambi i casi, il progetto rischia di non trovare un pubblico sufficientemente ampio”.

La sfida della rilevanza

Infine, c’è il problema della rilevanza. Un marchio storico può avere un forte valore simbolico, ma se non riesce a connettersi con le esigenze e gli interessi del pubblico contemporaneo, è destinato inevitabilmente a fallire. “Ad esempio, una stazione che negli anni ’80 era all’avanguardia nella musica dance potrebbe apparire fuori luogo in un’epoca in cui i generi musicali e le tendenze sono completamente diversi”, sottolinea il rapporto predisposto per NL.

Le logiche di naming digitale e il conflitto con i brand storici

Un ulteriore ostacolo al successo della riproposizione di marchi storici nel digitale è rappresentato dalle logiche di naming contemporanee. “Oggi, i brand radiofonici devono essere immediatamente riconoscibili, facili da ricordare e adatti a un contesto globale, come la regola del nomen omen impone. I marchi storici, invece, spesso rispondono a esigenze e contesti specifici del passato, che non hanno più ragione di esistere”.

La semplicità dei nomi digitali

Le piattaforme digitali privilegiano nomi brevi, semplici, evocativi del contenuto, facilmente ricercabili e memorizzabili. “Un marchio storico, con un nome lungo o complesso (spesso assunto non con la finalità di imporsi, ma impostosi naturalmente e quindi ricordato perché affermatosi spontaneamente) rischia di essere penalizzato in termini di visibilità e memorabilità. “Inoltre, i nomi digitali devono essere adatti a un contesto internazionale, mentre i marchi storici sono spesso legati a un’identità locale o comunque territoriale.

La città nel nome

Il caso classico è la denominazione che ricomprende la città di origine del progetto. Una limitazione che al tempo era da ricondurre alla dimensione del servizio radioelettrico ma che oggi è priva di significato se la distribuzione avviene in streaming ed il contenuto non è connotato a quella città eletta come riferimento nel naming“, sottolinea Media Progress.

Il conflitto di identità

Un altro elemento rilevante è il conflitto di identità. Un marchio storico è associato a un’epoca, spesso ad un format e un pubblico specifici. “Riproporlo in un contesto completamente diverso può creare confusione e dissonanza. Ad esempio, un marchio che negli anni ’70 era sinonimo di rock progressivo potrebbe apparire fuori luogo in un’epoca dominata dalla musica elettronica e dal pop. Salvo, ovviamente, che la nuova stazione decida di ritagliare il pubblico in forma estremamente verticale, rivolgendosi, nel caso di specie, agli amanti di progressive rock”.

La mancanza di flessibilità

Infine, i marchi storici sono spesso rigidi e poco flessibili, mentre il digitale richiede adattabilità e capacità di evolversi rapidamente (pensiamo alle logiche alfanumeriche che regolano oggi gli elenchi delle autoradio e che un tempo non aveva rilevanza sostanziale). Un brand che non riesce a innovarsi e a rispondere alle esigenze del mercato è destinato a essere superato dalla concorrenza.

Ha senso riproporre i marchi storici nel digitale?

Alla luce di queste considerazioni, è legittimo chiedersi se abbia senso riproporre i marchi storici nel contesto digitale. La risposta non è semplice e dipende da diversi fattori.

Potenziale emotivo

“Da un lato, i marchi storici hanno un potenziale emotivo e simbolico che non va sottovalutato. Possono attirare l’attenzione dei nostalgici e generare un interesse iniziale, soprattutto se rispondenti alle attuali regole dell’autoidentificazione del contenuto e delle logiche alfanumeriche. Tuttavia, per avere successo nel lungo termine, i progetti sottesi devono essere in grado di innovarsi e di offrire un’esperienza rilevante anche per il pubblico contemporaneo”, si legge nel rapporto.

No alla nostalgia fine a sé stessa

Dall’altro lato, il rischio di fallimento è alto, soprattutto se il progetto si limita a sfruttare l’effetto nostalgia senza offrire un contenuto di qualità. In un mercato sempre più competitivo e segmentato, i marchi storici devono dimostrare di avere ancora qualcosa da dire e da offrire, altrimenti rischiano di diventare poco più di un ricordo del passato.

Retrofuturismo

Dicevamo in apertura che alla presenza di determinati presupposti, iniziative di brand revival potrebbero anche avere un senso commerciale. Una prospettiva operativa, per esempio, potrebbe essere quella di fondare il progetto sull’ampia tendenza culturale del retrofuturis+mo, cioè quella corrente estetica ed ideologica che reinterpreta visioni del futuro passate, combinandole con tecnologie e sensibilità contemporanee.

Nostalgia culturale

In questo senso è possibile intercettare la corrente parallela della nostalgia culturale – alimentata dalla riscoperta di estetiche e suoni vintage –, che rappresenta una risposta ad un presente sempre più frammentato e incerto.

Retrofuturismo e nostalgia culturale: definizioni e impatti sulla radiofonia

Come noto, il retrofuturismo è una tendenza che si manifesta in vari ambiti: dalla moda al cinema, dalle fiction alla vita sociale, dal design alla – appunto – musica.

Proiezione del passato nel presente

“Una corrente estetica e culturale che recupera elementi immaginari del passato proiettandoli – attraverso un soggetto definito immaginifico – nel presente”, ricordava Gianluca Costella, responsabile delle radio digitali del gruppo GEDI (Radio DeeJay, Radio Capital, m2o) ed esperto di format radiofonici, in una intervista risultata tra le più lette del 2024 su Newslinet.

Il formato oldies

D’altra parte, anche se può sembrare un paradosso, uno dei formati radiofonici considerati immarcescibili, quello “oldies”, deve essere aggiornato proprio al cospetto delle piattaforme SOD, come Spotify, YouTube, Apple Music che lo inflazionano.

Sogni spaziali

“Pensiamo ai sogni spaziali degli anni ’60 o alle visioni tecnologiche degli anni ’80“, puntualizzava Costella. “Allo stesso modo, la nostalgia culturale non è solo un ricordo idealizzato, ma un motore per reinterpretare il passato con una sensibilità moderna”.

Conclusioni

In definitiva, “il ritorno digitale dei marchi storici in FM può essere producente, ma solo se accompagnato da una visione chiara, un format innovativo e una profonda comprensione delle esigenze del pubblico. Altrimenti, rischia di essere solo un’operazione nostalgica destinata a fallire come spesso è avvenuto negli ultimi anni“, conclude il rapporto Media Progress. (E.G. per NL)

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