Poco più di un mese fa titolavamo nuovamente sul Piano FM, osservando come, da due anni a questa parte, rispuntasse con sempre maggiore frequenza. Ne parlammo la prima volta nell’estate 2021, col famoso scoop sul dossier che prevedeva la disattivazione di 1500 diffusori interferenti con emissioni straniere (essenzialmente sulla costa adriatica); notizia che destabilizzò il settore.
Poi l’estate successiva, dando conto del tentativo di inserimento nel DL Energia di una norma che avrebbe imposto la riduzione generalizzata della potenza dei trasmettitori. In verità, in entrambi i casi, il Piano FM, pure previsto dal Testo Unico sui servizi di media audiovisivi, rimaneva sullo sfondo, in quanto gli interventi proposti miravano a ridurre, direttamente o indirettamente, il debordo dei segnali FM italiani sui territori di Croazia e Slovenia.
Allarme anche dalle associazioni di categoria
Ad ottobre 2022 l’argomento della rimozione delle interferenze internazionali ritornò d’attualità, tanto che, poco dopo, anche Confindustria Radio Tv recepì le indiscrezioni di NL con un comunicato dai noti allarmistici,
Sollecitazioni UE
Rinverdimento, va detto, causato anche dalle continue sollecitazioni sui tavoli del Radio Spectrum Policy Group (RSPG) in seno alla Commissione Europea affinché l’Italia adottasse piani di assegnazione o quantomeno di coordinamento internazionale.
Aggiornamento
Prospettive
Se nella direzione di un refarming della banda FM, con la sola soppressione dei diffusori incompatibili con quelli esteri (e forse di quelli ridondanti per recuperare risorse da assegnare in luogo di quelli disattivati), oppure in quella di misure radicali attraverso un Piano FM, sarebbe stato tutto da verificare.
Aspetti giuridici
Per parte nostra ci limitavamo ad osservare come, piuttosto, sul piano giuridico, sarebbe stata paradossalmente più difficile da imporre la disattivazione dei soli impianti interferenti che un Piano FM, vista l’inevitabile disparità di trattamento (che è una figura sintomatica dell’eccesso di potere, uno dei vizi di legittimità dell’atto aministrativo) che sarebbe discesa dalla prima.
Piano FM: cui prodest
Un Piano FM, invece, certamente avrebbe avuto maggiori probabilità di successo, anche se difficilmente avrebbe potuto essere ipotizzato prima di 3 o 4 anni. Circostanza che, però, ci conduceva all’inevitabile domanda: cui prodest?
2025: refarming d’abitudini
Dal 2025, probabilmente, la fruizione digitale di programmi radiofonici (DAB+IP) supererà quella FM e da lì in poi gli editori, come accaduto prima con le onde medie e poi con i diffusori FM in aree a bassissima densità demografica, effettueranno valutazioni di convenienza sul mantenimento in esercvizio di impianti divenuti nel frattempo sostanzialmente inutili o comunque non giustificati dall’utenza servita.
Incentivazione di processi
A questo punto, piuttosto di una pianificazione alle soglie dell’avvio dell’abbandono spontaneo della FM, sarebbe più proficuo incentivare la naturale successione attraverso formule specifiche (non necessariamente sotto forma di indennizzi per la dismissione di impianti FM, difficilmente prevedibili stante il fatto che la modulazione di frequenza al momento non interessa alle telco che potrebbero concorrere ai diritti d’uso).
Meno ostacoli e più sostegno
Pensiamo alla rimozione di ostacoli burocratici per la messa in funzione di impianti DAB, piuttosto che alla ricomprensione degli interventi tecnici nelle misure di sostegno per gli ammodernamenti tecnologici.
Qualcosa succederà col dossier
Tutto ciò per dire che i rumors di questi giorni danno come avvistatata la riemersione del dossier Piano FM sui tavoli ministeriali. Se nella direzione dura e pura seguita per il DTT oppure secondo un approccio più affine alle considerazioni di buon senso di cui sopra sarà tutto da vedere. Ma che qualcosa accadrà, è certo.