I provini: passaggio ineludibile per un’effimera esperienza radiofonica o per la scelta di una vita. In entrambi i casi, un segno indelebile nella memoria di chi vi è passato.
Mentre il futuro vola sempre più velocemente verso una radio svincolata dalla modulazione di frequenza e progressivamente più vicina all’universo IP e a tutto quello che gli ruota intorno, il pensiero a volte ritorna a quello che è stato nella prima era ed a come consuetudini consolidate per decenni oggi siano cosi desuete da sembrare mai esistite.
E anche per non fare travolgere tutto dal passare del tempo, con il rischio concreto che certi avvenimenti sembrino poi solo mitologia, ci sembra giusto, in questa età di mezzo, raccontare cosa significasse a livello pratico, ma soprattutto emotivo, la prassi di realizzare provini nell’epoca pionieristica della radiofonia.Pratica, per carità, ancora attuale, ma, come è ovvio che sia, visto il trascorso del tempo, con nessun punto in comune rispetto al passato.
Va premesso che proprio agli inizi non ce ne era quasi bisogno, in quanto tutte le emittenti che nascevano ovunque in garage e mansarde si popolavano e implementavano grazie al circuito delle conoscenze e spesso anche all’interno della ristretta cerchia familiare: padri, madri, figli, zii, cugini e a volte nonni, contemporaneamente “on air” non erano affatto una stranezza, anzi!
In fondo era la seconda metà degli anni ’70, era l’inizio di tutto e la cosa più importante era occupare in qualsiasi modo una frequenza e con la stessa velocità popolare il “palinsesto” di qualunque voce, in modo che ci fosse quanta più gente possibile in diretta in virtù del fatto che organizzare una diffusione musicale autonoma a causa di mezzi tecnici spesso approssimativi diventava problematico; e risultava quindi più facile usufruire della manovalanza umana che, volontaria o “involontaria”, comunque non si faceva fatica a trovare, cooptando amici e conoscenti vicini e lontani.
Finito il primo assalto alla diligenza e arrivato il momento di un’apparente fase di sistemazione delle cose, in ogni città alcune radio più strutturate delle altre, sia per disponibilità economica che per capacità organizzative, cominciavano a selezionare le persone da mandare in onda e quindi cominciava a diventare consuetudine quella di “provinare gli speaker”.
E da qui nacque una routine che come tante cose in quel periodo era costituita da una sana dose di follia.
Per chi voleva proporsi senza aver mai fatto nulla in precedenza e per ovvi motivi, visto il periodo nell’impossibilità di registrare qualcosa di decente a casa propria, spesso ”l’esame” veniva effettuato in diretta nelle cosiddette “ore buche” (o di presumibile basso ascolto), complice anche l’endemica carenza di sale di registrazioni funzionanti.
Il malcapitato, già in preda a crisi di panico, veniva fatto accomodare negli studi e dopo aver osservato qualcuno più esperto durante il programma, dopo pochi giorni se fortunato o dopo pochi minuti se l’esigenza di avere nuove voci era impellente, veniva catapultato davanti ad un mixer per imparare quella che prima era la cosa assolutamente imprescindibile: saper “fare la regia”, cioè sgravare il conduttore dall’attività tentacolare di gestione di mixer, piastre (con annessa sequenza di cassettine C3), giradischi, telefonate, scalette, ecc.
Anche oggi dopo 30 anni molti sentiranno scorrere un brivido freddo dietro la schiena ripensando alla prima volta da soli in radio: esperienza equiparabile per paura probabilmente solo alla prima volta in acqua alta o alla guida in auto nel traffico.
Magari oggi la cosa ci farà sorridere, ma organizzarsi per far suonare un disco dietro l’altro senza spazi vuoti, provare dopo qualche tempo a mettere anche in onda la pubblicità armeggiando su quelle piastre infernali e dovendo anche trovare il tempo e la concentrazione giusta per annunciare ogni tanto il nome della radio, la “magica frequenza” e il davvero mitologico “buon ascolto” che per quell’epoca era un autentico must have del linguaggio radiofonico.
Questo iter che sembrava un po’ un girone dell’inferno più che l’approccio ad una passione era inevitabile; in difetto di autonomia difficilmente potevi aspirare ad andare in onda e, cosi come le ore di pratica alla guida, anche le ore a mettere dischi e annunciare frequenze si moltiplicavano se dimostravi costanza e una qualche attitudine.
Potevi aspirare a progredire ma spesso la franca rudezza e il poco tempo a disposizione degli ”editori” dell’epoca ti scaraventava fuori dagli studi senza troppi indugi, magari a causa di una qualche banale disattenzione; quello ti faceva comunque capire che il tuo tempo era scaduto e che il test non era stato superato, potevi chiaramente riprovare da qualche altra parte e ritentare la fortuna.
Per chi invece aveva già dei trascorsi e voleva tentare il grande salto in qualche emittente più ambita, se si era stati bravi a registrare un programma valido nelle precedenti esperienze, ci si poteva presentare con quello, sperando che risultasse gradito ma, anche in questo caso, le prove e gli altrettanti dinieghi potevano essere molteplici e i tentativi senza fine.
E se, come spesso capitava, ci si voleva proporre a quante più emittenti possibili nelle speranza di essere presi, l’unico modo per trovare telefoni a cui chiamare o indirizzi a cui recarsi erano o l’ascolto della radio o sfogliare gli elenchi telefonici dopo il cognome “Radice” e le pagine gialle.
Sicuramente l’era pre-Google presentava qualche difficoltà, in quanto sull’elenco pochi figuravano, e tra l’altro quasi mai con il nome della radio che poteva pure mutare all’improvviso, le utenze, quando c’erano, risultavano a nome del proprietario o di qualche familiare e capire da quei dati a chi realmente ti stavi rivolgendo non era facile e poteva anche risultare imbarazzante.Erano molti anche coloro che, come posseduti da una bramosia irrefrenabile, camminavano per la strade scrutando i tetti alla ricerca di collineari di dipoli in modo da intercettare sul nascere, e prima degli altri, imminenti aperture.
Tutta questa fatica per poi ritrovarti con la tua cassettina in mano a chiedere udienza davanti ad uno sconosciuto esaminatore di provini che ti immaginavi essere migliaia e che ti esaminava come se tu fossi candidato per partire per un viaggio sulla (Radio) Luna.
Ma di contro non c’erano molte altre possibilità se non sottoporsi a questo stillicidio, l’ambito programma poteva conquistarsi solo così; ammesso che quello che avevi registrato andasse bene, spesso non era finita ugualmente in quanto risultava inevitabile il solito processo di avvicinamento alle nuove attrezzature che quasi mai corrispondevano a quelle che avevi usato in precedenza, quindi, anche se avevi pratica, era sempre un ricominciare da capo, vista anche l’incredibile varietà di marchi e modelli di mixer che popolavano le sale regia e che spesso poco avevano a che fare con il broadcast, essendo spesso recuperati da sale di registrazione e quindi poco funzionali ed estremamente complicati da gestire in diretta radio.
Nell’attualità dell’evoluzione della specie dei provini, cioè quei talent show, purtroppo anche radiofonici, qualcuno si chiederà quanta abnegazione ci volesse per sottoporsi a tutto questo quando il presente dà, almeno in teoria, la possibilità di essere proiettato in poche settimane da una web radio di provincia ad un network nazionale senza passare dal via e senza alcuna fatica.
Ma erano assolutamente altri tempi, una follia collettiva che già altre volte abbiamo raccontato su queste pagine e che faceva sembrare tutto normale, sia per l’enorme dose di passione che alimentava i giovani di quel periodo, sia, inutile tacerlo, anche per una diversa educazione familiare e scolastica sicuramente più severa che ti insegnava il rispetto per la gavetta e per chi aveva fatto o sapeva più di te.
Infatti nel primo decennio della FM in pochi albergava l’idea di poter essere alla pari con le radio delle grandi città; giusto per fare un esempio, ascoltando Radio Milano International quando eri in vacanza o da qualche registrazione, nella maggior parte dei casi ti sentivi piccolo piccolo e non avresti mai trovato il coraggio di suonare quel citofono interpellare il gestore dei provini, ma, nella migliore delle ipotesi, utilizzavi quell’ascolto per cercare di imparare qualcosa.
Generazioni differenti e se vogliamo anche qualità differente, le voci che sentivi una volta ti mettevano soggezione per carisma e professionalità, oggi anche sulle radio più ascoltate, in certi casi, noti un certo livellamento verso il basso che contribuisce ad alimentare i sogni di gloria di molti.
Per chi come noi ha dovuto subire, volente o nolente, un’inevitabile gavetta, che nella maggior parte dei casi è rimasta circoscritta nel proprio comprensorio, il ricordo di quei provini incisi su cassetta, frutto di tante fatiche e solo per ambire di arrivare in qualche radio che avesse un po’ di watt in più, costituisce in ogni caso un affettuoso ricordo sepolto nella memoria di molti.
E in questo caso è un bene che i nastri si smagnetizzino e che il tempo li abbia fatti finire chissà dove, l’idea di risentirsi ragazzini immersi in provini sussurrando “1,2,3 Sssaah, prova” prima di cominciare una registrazione provocherebbe un tuffo al cuore ma probabilmente anche tanta vergogna. (U.F. per NL)